Capitolo 19. Ian

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Varco la porta che mi riporta fuori, la mia Jaguar xkr-s nera è ancora fuori ad aspettarmi.
Era da un po' che volevo usarla e tornare a Everfield me ne ha dato l'occasione.

Pensare alla piccola Bambi sul sedile affianco, a quante cose sporche potrei farle.
Spero che domani indossi quel vestitino a fiori.
Se solo potessi, se lei fosse mia...
Lo solleverei, poi le farei spalancare quelle lunghe gambe sul sedile, scosterei le sue mutandine bianche, innocenti e infilerei due dita dentro il suo calore, per sentire che sapore ha.

Salgo in auto e accendo la radio, devo distrarmi da questi pensieri prima di andare a bussare da mia madre con un'erezione.

Mi ci vogliono meno di dieci minuti ad arrivare, mamma è fuori in veranda che innaffia le sue aiuole.

Non appena si gira e mi vede balza in piedi con uno scatto felino.
« Ian! Il mio bambino è qui » afferma lanciandosi su di me con le braccia spalancate.

Me ne frego della terra che ricopre il suo grembiule verde scuro e la stringo a me.

« Oh mi dispiace cucciolo. Ti ho sporcato la camicia! » Esclama quando si accorge di non essersi tolta nemmeno i guanti.
Prova a scostarsi da me, ma la trattengo.
« Mamma non fa niente, davvero. »

Saliamo insieme i quattro scalini che ci riportano alla veranda.

Si siede accanto al tavolo in vimini, sulla poltrona, sfila i guanti e sospira prendendo la brocca di thè alla menta lasciata a portata di mano.

Ne versa un bicchiere e lo spinge leggermente verso di me, che sono rimasto in piedi per guardarla bene.

Sembra stare meglio dall'ultima volta che ci siamo visti.

« Come stai mamma? »

Alza le spalle guardando dritta davanti a sé « ho alti e bassi » sospira.
« Tuo fratello mi manca.
Sono preoccupata per lui, ma allo stesso tempo vorrei prenderlo a schiaffi! » Proprio come quando eravamo bambini e si arrabbiava, o ci sgridava la sua voce diventa più squillante.

« Arya come sta? »

« Come, come fai a sapere che l'ho vista? »

« Oh tesoro... Sono tua madre! È ovvio che sappia certe cose » afferma sorridendo.

« Sono qui per questo...
Ecco non so se hai saputo di Edith, ma è suo il corpo quello ritrovato dopo l'incendio. »

« Si l'ho saputo...
Avrei tanto voluto chiamarla, ma non ho il suo nuovo numero e non mi sembrava il caso...
Sai che è stata qui, a casa di sua madre. Quando l'ho vista » scuote la testa come a liberarsi da quell'immagine.
« Sembrava la stessa bambina sperduta che ho portato a casa la prima volta. Ti ricordi com'era spaventata? Povera piccola...Ne ha passate così tante » spiega con voce commossa.

Non sento più quello che dice.
Quel ricordo è vivido nella mia mente proprio come se fosse appena accaduto.
Non ho mai dimenticato quegli occhi intrisi di dolore

Pioveva a dirotto quel giorno e lei era seduta sotto il portico di casa sua con la testa tra le gambe, piangeva.
Sembrava una bambolina.
Così piccola.
Indifesa.
I capelli sciolti e arruffati dall'umidità che le ricadevano sul viso.
Il vestitino blu e le scarpette nere erano sporchi di terra.

Sarebbe dovuta essere a scuola e anch'io, ma quel giorno ero a casa per una brutta influenza.

La osservavo dalla finestra del nostro salotto e non era la prima volta che lo facevo.
Guardavo sempre mio fratello sedersi accanto a lei, su quella veranda malandata.
A volte giocavano a palla tra l'erba alta del piccolo cortile.
Altre volte ridacchiavano di qualcosa, seduti l'uno accanto all'altra, lui stava lì fermo a guardarla. Non capivo cosa ci trovasse in lei di così tanto interessante.
Ne ero incuriosito e la cosa non mi piaceva.

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