39 - Maybe we could happen

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CALITHEA

A distanza di settimane dall'ultima volta che è successo, alla famiglia Cooper, tanto idolatrata dagli abitanti di Boston, è stata richiesta la presenza al lancio di un nuovo apparecchio tecnologico di cui non mi importa un accidente.

Avevo voglia di andarci? No.

Ho accettato di presenziare con i miei genitori e mio fratello? No.

Sto varcando la soglia del luogo nonostante abbia opposto resistenza? Certamente.

Avrei dovuto immaginare sin dall'inizio che esternare le mie volontà sarebbe stato più che inutile. Difatti, così è stato.

A mamma e papà non importa se preferisco recuperare lo studio mancato piuttosto che trovarmi tra una mandria di persone sconosciute, pronte a chiedermi con finto interesse come sto e se mi sono ripresa da quella sottospecie di "incidente" che mi ha impedito di camminare normalmente per giorni. D'altro canto, per i miei genitori è di fondamentale importanza che tutti loro capiscano che, nonostante le difficoltà, i Cooper sono sempre in grado di rialzarsi.

Ecco perché sono qui, per fare scena.

Infilarmi dopo tanto tempo un vestito stretto e che mi blocca il respiro non mi era mancato per niente, tantomeno Vicky che mi tira i capelli il più possibile con tanto di gel e forcine per fronteggiare il rischio che qualche capello fuori posto possa sfuggire.

La prima cosa che ho sentito appena entrata nella sala è stata la soggezione.
Tutti gli occhi erano puntati su di me. E se dico tutti, intendo proprio tutti.

La mamma mi ha inflitto una gomitata nascosta ricordandomi di sorridere cordialmente al resto degli invitati, e l'ho fatto. Anche di fronte a chi ha finto preoccupazione per potersi accalappiare la fiducia di mio padre.

I primi dieci minuti sono stati di una noia mortale, ho sperato ininterrottamente che tutto finisse appena possibile. Poi, d'un tratto, lui è arrivato e la mia voglia di scappare è diminuita.

Anche il mio stato d'animo dipende dalla sua presenza...

Come ogni volta che l'ho visto indossare abiti eleganti, l'ho squadrato da testa a piedi e mi sono soffermata sui dettagli più indistinguibili. Ad esempio, l'orologio e il bracciale che ha al polso, la targhetta militare, i primi bottoni della camicia sbottonati.

È sempre così: più lo guardo più sembra perfetto.

Mi sono concentrata anche sulle sue mani venose che questa sera hanno deciso di indossare qualche anello.
Quelle dita che ho scoperto di cosa possono essere capaci... Arrossisco al solo pensiero.

Mi costringo a voltarmi altrove per cacciare dalla mia mente la sensazione del suo corpo sopra il mio. E il suo respiro che batte contro la mia zona calda, i suoi polpastrelli che mi massaggiano, la sua lingua che mi penetra... No, basta!

Dio, sto impazzendo.

Ripresa da un ricordo del tutto distruttivo per i miei neuroni, incrocio gli occhi di Aleck che già mi stavano fissando.
O, per meglio dire, sono posati sulle mie curve strette nel vestito che ho indosso.

Questo è di un blu notte.
Lungo, ma attillato e con la schiena scoperta.
Fa quasi ridere pensare che un modello del genere, solitamente, viene chiamato 'modello a sirena'.

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