Epilogo

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Cinque anni dopo

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Cinque anni dopo

Charles Leclerc

«Ciao papà» mormorai con gli occhi fissi sulla lapide in marmo bianca di mio padre. Piegai le gambe e mi chinai per poggiare i fiori che avevo appena comprato alla base della lapide. «Ti ho portato dei fiori nuovi».

Venti giugno dell'anno venti-ventinove. Erano passati ben dodici anni dal giorno della sua morte, ed oggi era proprio il giorno esatto in cui compiva tali anni. Quattromilatrecentoottantatre giorni senza di te.

Erano passati dodici anni ma i sentimenti non erano cambiati. Amavo ancora mio padre e pensavo a lui sempre, ogni giorno. Amavo ancora mio padre e non smettevo di sentire la sua mancanza. Cosi come non smetteva di sentirla la mamma, o Lorenzo, o Arthur.

«Un altro anno è passato» incrociai le dita delle mani e fissai la foto di mio padre sorridente posta sulla lapide «Le cose continuano ad andare molto bene. Il lavoro è okay, sono in lotta per il titolo anche quest'anno e con un po' di fortuna potrò vincere il mio terzo mondiale. Incredibilmente, sono ancora un pilota della rossa e non so se avrò mai il coraggio di andarmene e dire addio a Maranello. A casa stanno tutti bene. La mamma, Lorenzo, Arthur». Chinai per un attimo lo sguardo per terra, nell'esatto punto in cui avevo poggiato il mio mazzo di fiori «La tua tomba e piena di fiori freschi, il che mi fa pensare che loro siano già venuti a farti visita».

Molte volte, nella strada che percorrevo per arrivare alla sua tomba, mi capitava di vederne molte altre spoglie, senza alcuna candela o alcun fiore. E ciò era triste. Ero immensamente contento che per mio padre non fosse così. Non solo la sua famiglia gli portava fiori, ma anche i suoi amici. Amici che lo amavano davvero, ammiravano e che tutt'oggi sentono ancora la sua mancanza.

«Scusa se io sono arrivato un po' dopo, ma mia moglie è particolarmente irritata in questo periodo. Sta bene, sta bene psicologicamente, quindi puoi stare tranquillo» lo rassicurai quasi come se potesse sentirmi davvero, persino presi a gesticolare. Quella era una cosa che amavo particolarmente fare. Recarmi sulla sua tomba e parlargli come se fosse davvero dinanzi a me. «Sarò sincero, ultimamente proprio non riuscivo a capirla. Aveva continuamente la nausea, stava male...» lasciai la frase in sospeso e mi concessi una piccola risatina. Ancora non ci potevo credere. «Poi però, pochi minuti prima che potessimo scendere da casa, si è presentata nel salotto con un test di gravidanza tra le mani. Ed indovina un po' papà... Vanessa è inc-».

«Papà!». Mi zittii e voltai di scatto il capo verso destra quando sentii la voce di mio figlio rimbombarmi nelle orecchie. E per giunta in tutto il cimitero. Alzai gli occhi al cielo nel vederlo correre veloce verso la mia direzione. Quante volte ancora dovrò ripetergli che non è educato urlare e correre in luoghi come questi? 

Lascia scorrere un braccio intorno al busto minuto di Hervé quando finalmente mi fu difronte. Mio figlio allungò una mano verso di me, mostrandomi come il mazzo di fiori che avevamo comprato pochi attimi prima, per la tomba di suo nonno, si fosse improvvisamente rovinato: «Abu ha mangiato i fiori». Ovviamente.

Ora siamo l'inverso || Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora