1 - Un faro nell'oscurità

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Ed eccomi qui, affacciato al balcone della mia camera, all'ultimo piano di questo mal ridotto danchi. Il cielo notturno, buio, senza stelle, con solo la luna a fare da faro nell'oscurità. Se allungo la mano e socchiudo gli occhi mi sembra quasi di sfiorarla. Il vento frizzantino primaverile di maggio soffia sulla mia pelle, portando con sé il fumo della sigaretta tra le mie labbra.

Guardo il telefono, mancano 5 minuti alla mezzanotte. Un sospiro involontario lascia le mie labbra insieme alla nuvola di fumo. Neanche mi piace fumare, diciamo che mi piace più che altro "danneggiarmi", mi dà una sorta di brivido, la fugacità della vita. Chiudo gli occhi, mi lascio cullare dal silenzio dell'esterno e dal russare di mio padre, così leggero, che arriva fin qui dal salotto. L'ennesima sera in cui crolla sulla poltrona abbracciato alla sua fidata bottiglia di whisky.

3..2..1..è mezzanotte, tanti auguri a me! Guardo il telefono, nessuna nuova notifica. So che non dovrei sorprendermi, ma forse una parte di me ci sperava. Ci sperava in quel messaggio, in quel "Buon Compleanno!" oppure "Tanti Auguri!". Ma siamo sinceri, in 18 anni di vita mai nessuno ha festeggiato la mia nascita. I miei compagni di squadra sono gli unici amici che ho. Li conosco da due anni ma non hanno mai saputo il giorno del mio compleanno, loro non lo hanno mai chiesto ed io dal canto mio non l'ho mai festeggiato. Mio padre, beh, come potrebbe mai voler festeggiare la mia nascita? In fondo il giorno della mia nascita coincide con il giorno in cui lui ha perso l'amore della sua vita. L'inizio della mia esistenza è stata la fine della sua, di mia madre, e di conseguenza, anche di quella di mio padre. Il 20 maggio 1994. Quel giorno mio padre ha perso l'amore ed ha trovato l'alcol.

Un altro sospiro mi sfugge dalle labbra. So già che appena sarà l'alba sarà meglio sparire dalla sua vista fino a che non sverrà di nuovo a fine giornata sulla sua poltrona. Se già è difficile stargli vicino nei giorni comuni, domani sarà peggio che mai. Ho provato troppe volte la sua rabbia e la sua disperazione sulla mia pelle e, un tempo, anche sulla mia anima. Dico un tempo perché a volte non sono così sicuro di averne ancora una. Fino ai 10 anni piangevo e mi disperavo, invidiavo gli altri bambini con genitori o parenti che li amavano nonostante tutto. Io invece avevo solamente lui, il guscio vuoto di un padre che non prova altro che odio e rancore per l'assassino di sua moglie, come gli piace chiamarmi. Avrei dei parenti in realtà, ma lui decise di portarmi con sé e tagliare i legami con tutti coloro che gli ricordassero mia madre. Penso che abbia deciso di tenermi con sé solo per assicurarsi che la mia vita sia infelice quanto la sua, per assicurarsi che io non conosca la gioia, o cosa voglia dire essere amati. O anche solo voluti.

Un sorriso amaro mi affiora sulle labbra. Già, magari non fossi mai nato. Ma eccomi qui. Satori Tendō, 187 cm per 71 kg, capelli rossi così come i miei occhi, occhi che la gente definisce "da pazzo", come anche la mia personalità. In fondo loro vedono solo la parte che io mostro loro, quella spensierata, giocherellona e rumorosa. Loro non sanno però che è così rumorosa solo per cercare di coprire il silenzio del vuoto che mi porto dentro. Perché lì, dove prima c'era la mia anima, ora c'è solo un enorme buco nero, che man mano risucchia la mia energia vitale. Nero come questo cielo notturno, senza stelle, con solo la luna a fare da faro nell'oscurità, però io il mio faro non ce l'ho, non l'ho mai avuto, e penso che forse non lo avrò mai.

Guardo il telefono, l'una meno dieci e zero nuove notifiche. Butto la sigaretta nel vuoto e faccio per rientrare, ma una sagoma alla finestra di fronte al mio balcone cattura la mia attenzione. Una luce accesa lascia in bella vista una figura minuta rannicchiata su una poltrona che dorme beata. Riccioli lungi color nocciola ricadono sul viso poggiato sul poggiolo, in grembo un libro ancora aperto. Non so chi sia, né da quanto fosse lì, forse mi ha visto anche lei prima di assopirsi? Nah, non credo. Me la immagino tutta curva e rannicchiata sulla poltrona con il naso immerso nel libro che legge avidamente. Mi accorgo solo ora che a quel pensiero sto sorridendo. Scuoto la testa e rientro in camera. Che strano, eppure non sono tipo da pensare alle ragazze. O meglio, non sono il tipo a cui le ragazze pensano, quindi ho imparato a fare altrettanto. Gli unici sguardi che le figure femminili mi rivolgono sono sempre i soliti due: disgusto o terrore.

Mi butto sul mio letto, odio questa casa, ma la mia camera non mi dispiace, è l'esatto opposto del caos e del buio che ho dentro, tutta bianca e in perfetto ordine. In effetti potrei restare a dormire nel dormitorio della Shiratorizawa che mi spetta grazie alla mia borsa di studio per lo sport, ma ho il terrore che qualcuno possa sentirmi urlare in preda ai miei incubi notturni. Ed in parte ho paura che andandomene mi ritroverei con l'avere un altro genitore sulla coscienza, in fondo, per quanto pessimo sia non odio mio padre, credo che mi faccia pena o tenerezza, non lo so, sto ancora cercando di capire.

Mi giro e fisso il barattolino di sonniferi sul mio comodino, nonostante il loro supporto, non ho memoria di una notte di sonno tranquillo o di un bel sogno, ricordo solo notti in preda agli incubi, ansia e terrore. Non riesco a decidermi se prenderli o no, senza dormire è impossibile, ma se li prendo rischio di non riuscire ad alzarmi prima che lui si svegli. Fanculo, tanto fra un paio d'ore molto probabilmente mi sveglierò urlando, lui mi sentirà, si sveglierà, e lì comincerà la sfida: riuscire a varcare la soglia di casa prima che riesca ad afferrarmi. Impresa molto difficile dato che per uscire devo passare dal salotto in fondo al corridoio, corridoio nel quale spesso mi ritrovo bloccato a subire la sua ira. Prendo due pastiglie e le fisso qualche istante e poi le butto giù. Un tempo ne prendevo una, poi ha smesso di fare effetto ed ho aumentato la dose, forse dovrei aumentare ancora, ma meglio non stasera. In realtà non ho neanche una vera prescrizione, diciamo che me li sono auto-prescritti.

Mi sdraio, chiudo gli occhi e aspetto che arrivi l'effetto. Il silenzio dell'esterno, il russare di mio padre, il buio senza un faro dove prima c'era la mia anima. Un buio senza faro, e poi, una flebile luce.

Sono di nuovo sul balcone, la luce di nuovo accesa alla finestra e ancora quella riccia chioma color nocciola, ma stavolta non è assopita, un sorriso appena accennato sul viso e degli occhi...degli occhi...che colore sono? Non riesco a vederli cazzo, sono abbassati su un libro. Lei è lì, ma la sua mente chissà in quale avventura è. Vorrei chiamarla ma non so chi sia, ne vorrei spaventarla. Ecco sta per alzare la testa, finalmente potrò vedere i suoi occhi e farle un cenno di saluto magari, ci siamo quasi.

Bianco. Il bianco del mio soffitto è tutto ciò che vedo. Cazzo era un sogn...un sogno? Cazzo ho sognato? Per la prima volta in vita mia ho sognato!

Prendo il telefono, le sei e zero nuove notifiche, sono salvo, ho il tempo di uscire prima che si svegli per andare a lavoro tra unora. Ho sognato e, almeno per oggi, sono salvo. Lei mi ha salvato, e nel giorno del mio compleanno. Che sia lei il mio faro nel buio? Ma figurati, un faro per me? Che non ho mai ricevuto neanche una carezza in vita? Come potrei mai avere un faro? Come potrei mai essere amato? Ma soprattutto, saprei io stesso amare? Trattengo una risata, non una di quelle finte che faccio con i miei compagni, ma la mia prima risata sincera, seppur amara. Quante prime volte in questo compleanno, e tutte grazie a lei.

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Un piccolo Satori triste 💔

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Un piccolo Satori triste 💔

Ciao! Questo è il primo capitolo della mia prima storia. Ogni suggerimento e critica sono ben accetti.
Spero vi piaccia, e spero di riuscire a buttare giù una storia avvincente.

Faro nell'oscurità (Satori Tendō x oc)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora