17 - La fuga

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**Satori**

Osservai Hope mentre si allontanava, il suo corpo scosso dai singhiozzi. Un'ondata di emozioni contrastanti mi travolse. La sua confessione mi aveva colto di sorpresa, ma non tanto quanto la mia reazione. La verità era che le sue parole mi avevano colpito nel profondo, svegliando sentimenti che non credevo di avere.

"Ti amo, Satori."

Il peso delle parole di Hope si abbatté su di me come un macigno, schiacciandomi sotto il loro peso implacabile. Non riuscivo a sopportare il terrore che mi assaliva, la paura che mi stringeva il petto, l'incertezza che mi avvolgeva come una nebbia fitta. Mi sentivo soffocare, oppresso dai miei stessi sentimenti di paura e insicurezza, incapace di affrontare la tempesta emotiva che mi travolse.

Quelle parole risuonavano nella mia mente come un eco incessante. Le avevo detto di andarsene, l'avevo respinta con crudeltà, ma solo perché non sapevo come gestire ciò che provavo. La verità era che avevo paura. Paura di lasciarmi andare, paura di essere ferito di nuovo, paura di non essere abbastanza per lei. E soprattutto paura per quando mi avrebbe lasciato. Perché lo avrebbe fatto. Lei non era lì per restare, al termine del suo anno di studio sarebbe tornata dalla sua famiglia, nel suo paese. Ed io? Io sarei rimasto di nuovo solo. Come potevo accettare il suo amore con questa consapevolezza? Mi accasciai sul tetto, il cuore pesante come una pietra. La mia mente un vortice di emozioni. Mi sentii un codardo, un vile per averla trattata così. Avrei dovuto essere sincero e dirle realmente quali erano le mie paure, i miei dubbi. Ma sapevo che in quel caso lei non si sarebbe arresa, ed io alla fine avrei ceduto. Non potevo permettermelo, non potevo permettermi di soffrire ancora. Non potevo permettermi di abbassare la guardia ed essere distrutto più di quanto non fossi già.

Le avevo detto che questo era solo un gioco. Ma sapevo bene che non era vero. Lei era molto di più. Era la mia ancora di salvezza, la mia complice. Era il mio faro nello scurità, lo fu dalla prima volta che la vidi.

Amore. Una parola così semplice, ma così piena di significato, così piena di dolore. Sapevo di non essere fatto per l'amore, di non essere in grado di accettarlo, di abbracciarlo. Eppure, mentre Hope confessava i suoi sentimenti, sentii il mio cuore contrarsi, il mio stomaco stringersi, il mio respiro spezzarsi. Avevo cercato di respingere tutto ciò, di ignorarli, di nasconderli nel profondo della mia anima, ma emersero più forti di prima, come onde infrante contro gli scogli. Mi sentivo in trappola. Intrappolato in un labirinto senza via d'uscita, circondato da muri che si stringevano sempre di più intorno a me. L'amore era solo dolore, solo sofferenza, solo un'altra forma di tormento che non potevo sopportare. Sapevo che Hope non era come tutti gli altri. In lei cera qualcosa di diverso, di unico, di irripetibile. Qualcosa che non potevo permettermi di avere, ma che non potevo nemmeno permettermi di perdere.

Ormai ero in piena guerra con me stesso, una guerra che non potevo vincere, una guerra che non potevo perdere. Mi sentivo diviso in due, diviso tra la voglia di correre da lei, di abbracciarla, di amarla, e la paura di ferirla, di deluderla, di perderla. Non sapevo che fare, come fermare questa tempesta che mi stava divorando vivo.

Alla fine decisi. Dovevo fuggire. Dovevo allontanarmi da lei, da quei sentimenti travolgenti, da quella tentazione irresistibile. Perché l'amore era troppo doloroso da affrontare, troppo insopportabile da sopportare. Con il cuore pesante e lo sguardo vuoto, feci la scelta più difficile della mia vita. Ma era l'unica scelta che potevo fare, l'unica scelta che potevo vivere con me stesso.

Non riuscii a dormire per tutta la notte. Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo il viso di Hope, il suo sguardo ferito, le lacrime che scorrevano lungo le sue guance. Il rimorso mi stava consumando, ma dovevo restare fermo nella mia decisione. Non potevo permettermi di amarla.

Mi alzai dal letto e mi preparai. Ogni movimento era meccanico, ogni pensiero una lotta. Non potevo permettermi di crollare. Mentre camminavo verso la scuola, i ricordi dei momenti trascorsi con Hope mi assalivano, un flusso incessante di immagini e sensazioni. Le risate condivise, le conversazioni profonde, gli sguardi pieni di significato. Ogni ricordo era un colpo al cuore, un promemoria del legame che stavo spezzando.

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Vidi Hope dall'altra parte del corridoio e il mio cuore si fermò. Erano passati giorni da quella sera, e non la vedevo da allora. La sua presenza era come un pugno nello stomaco, un promemoria del mio fallimento. Ma quello che mi feriva di più era il suo aspetto. Aveva gli occhi rossi e gonfi. Il suo sorriso e la sua vitalità erano totalmente assenti.

I nostri sguardi si incrociarono per un momento, il dolore che provava era palese. Mi sentii un codardo, un mostro. Senza un cenno o una parola, abbassai lo sguardo e me ne andai.

Il mio telefono vibrò. Un messaggio di Hope. "Per favore, torna indietro. Parliamone."

Il mio cuore si strinse. Ogni fibra del mio essere voleva tornare da lei, voleva abbracciarla e dirle che mi dispiaceva. Cancella. Rimisi il telefono in tasca, e senza voltarmi continuai a camminare.

I giorni passarono lentamente, il rimorso sempre presente ma meno acuto. Ogni giorno ancora una lotta, ma ogni giorno diventavo più forte. Trovavo conforto negli allenamenti, nella squadra, e ovviamente nelle mie serate di alcol e droga. Serate che lei accettava e assecondava. Non lo aveva mai fatto nessuno. Mi sfuggì un sorriso, ma subito diventò un pugno allo stomaco al pensiero di quei momenti.

Ed eccomi qui, affacciato al balcone della mia camera, all'ultimo piano di questo mal ridotto danchi. Lo stesso balcone da dove la vidi la prima volta. La notte è calma, il cielo notturno è buio, senza stelle, proprio come quella notte. Ma stanotte non cè la luna a fare da faro nell'oscurità. E la luce della sua finestra è spenta.

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Faro nell'oscurità (Satori Tendō x oc)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora