CAPITOLO 2

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"Dove mi trovo!?" urlò disperata.

Un turbinio di emozioni la pervase: angoscia, dubbio, incredulità, tutte queste sensazioni sembravano sopraffarla.

Non poteva fare altro che proseguire sperando di trovare una via o sentiero che la facesse uscire dal luogo da incubo in cui si trovava.

Continuò a camminare per ore, forse giorni: nella perpetua penombra di quel luogo non riusciva a percepire lo scorrere del tempo. Incontrò diverse altre persone nel suo cammino, ma, come gli altri, la ignorarono e lei non osò cercare di fermarli.

Il silenzio pesava su di lei come un macigno, e rischiava di farla impazzire e, quando sentiva delle urla di dolore o delle risate malvagie, le sembravano le più dolci delle melodie.

Il paesaggio cambiò lentamente, delle colline ricoperte di spine cominciavano ad emergere dalla piattezza del panorama e, a quella vista, un sorriso le increspò le labbra e il suo animo sembrò rasserenarsi; si avvicinò ad una di esse incuriosita da una pietra liscia e rettangolare appoggiata alla base e, appena fu abbastanza vicina, con orrore si rese conto cosa fossero in realtà: cumuli funerari, tombe di qualche popolo ormai dimenticato.

Centinaia o forse migliaia di cumuli con le rispettive lapidi la circondavano, mentre migliaia di occhi luminosi la osservavano da sotto quei rovi. In preda al terrore, scappò più lontano possibile inciampando ad ogni passo fino a quando il piede si incastrò in una radice che affiorava dal terreno facendola cadere a terra.

In preda alla disperazione cercò di liberarlo, ma il terrore raggiunse il culmine quando si rese conto che, quella che in precedenza le era apparsa come una radice, era in realtà una mano umana ormai mummificata che sbucava dal terreno. Con orrore la calciò riuscendo a liberarsi e correndo all'impazzata fuggì da quel luogo maledetto.

Corse fino a quanto più poteva per poi femarsi a riprendere fiato, anzi, si rese conto che non vi era affanno nel suo respiro né i muscoli delle gambe le dolevano, eppure il cuore le batteva forte in petto come un tamburo. Forse, pensò, era più in forma di quanto credesse.

Un suono di risate gioiose la destò dai suoi pensieri: provenivano da oltre un tumulo poco distante e, rincuorata, si diresse in quella direzione. Trovò un ampio e lungo fiume che scorreva lento con acque nere come l'inchiostro.

Tre emaciati bambini erano chini sulla riva con i menti poggiati sulle ginocchia e, con un ramoscello, punzecchiavano ridendo un fagotto di stoffa che si era impigliato su alcune pietre della riva. Astra si avvicinò incuriosita dal gioco che stavano facendo i bambini.

L'orrore le si dipinse sul volto quando vide cosa stavano punzecchiando: era una testa umana, il volto stravolto dal terrore e le bocca spalancata in un muto grido di aiuto. Alzò lo sguardo e vide che nel fiume ve ne erano molte che affioravano trasportate dalla corrente.

Cadde a terra paralizzata dal terrore.

"In quale posto sono capitata? Neppure nei peggiori incubi potevo immaginare un più terribile luogo"

Un lungo ponte in pietra attraversava quel fiume abominevole, sembrava l'unico modo per attraversarlo. Costringendosi a distogliere lo sguardo dalle sue acque, Astra cominciò a percorrerlo. Arrivata al centro vide, poggiata alla ringhiera, una splendida donna con lunghi capelli neri che le ricadevano setosi sulle spalle, aveva la pelle di porcellana e indossava un corto abito grigio che le lasciava scoperte le braccia e le belle gambe. Se ne stava a braccia conserte e ad occhi chiusi come se attendesse qualcosa o qualcuno, la sua bellezza e la sua grazia sembravano stonare con l'ambiente circostante.

Astra le passò accanto incuriosita e, al tempo stesso, spaventata dalla sua presenza.

"Ti sei persa?" esordì la donna con voce armoniosa.

Il suono di quelle parole furono come un coro di angeli per Astra.

"Voi, Signora, mi vedete?" chiese Astra incredula e felice allo stesso tempo.

"Vi prego aiutatemi! Sono capitata in questo luogo da incubo e non so come andarmene!" esclamò disperata.

La donna aprì gli occhi fissando Astra con sguardo severo.

Sbuffò come infastidita.

"Eccone un'altra" mormorò stancamente tra sé.

"Sì, posso vederti" rispose sospirando scandendo ogni parola.

Astra tirò un sospiro di sollievo.

"Vi prego, Signora, dove mi trovo? Non conosco queste contrade. È un luogo da incubo! Ho visto cose raccapriccianti e ho incontrato persone che, stenterete a crederci, sembravano spiriti!" esclamò tutto d'un fiato.

"Io provengo dalla città di Lambert, sapete forse in che direzione si trova?" chiese sperando che la donna potesse aiutarla.

La donna continuava a fissarla come se non ascoltasse minimamente le sue domande.

Sbuffò ancora infastidita.

"Tu sei morta e questo è l'Oltretomba" disse infine.

La Mano Destra della Morte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora