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È passata una settimana dalla festa, ma la sensazione di smarrimento non mi ha ancora abbandonata. E ora che è arrivato di nuovo il momento delle ripetizioni, mi trovo a fissare lo schermo del telefono, indecisa se chiamare Blaze o no. Le ultime parole che ci siamo scambiati ronzano ancora nella mia testa, pungenti come schegge di vetro. Sì, è vero che l'alcool fa uscire fuori la verità, ma se non fosse stato per lui, probabilmente quella macchina mi avrebbe messa sotto.

Un lato di me vorrebbe semplicemente non andare, lasciare che questa sia l'occasione perfetta per tagliare i ponti con quel mondo così oscuro e complicato. Ma l'altro lato – quello che mi ricorda chi sono e come ho sempre cercato di mantenere la mia parola – mi spinge a prendere la borsa e uscire. Dopotutto, è un accordo, e io sono una persona onesta.

«Dove stai andando?» mi chiede mia madre dal salotto, alzando lo sguardo dal libro che sta leggendo.

«Solo una passeggiata, ho bisogno di prendere un po' d'aria» rispondo, con un sorriso che spero sembri abbastanza convincente.

Lei annuisce, senza insistere, e io mi avvio verso la porta. Non mento spesso a mia madre, ma oggi non mi va di darle spiegazioni. La casetta di Blaze non è lontana, e mentre cammino, cerco di mettere ordine nei pensieri. Ho un certo senso di paura, lo ammetto. Non so cosa aspettarmi, e l'ultima cosa che voglio è ritrovarmi in una situazione come quella dell'ultima volta.

Quando arrivo, però, qualcosa mi blocca. Di solito Blaze è lì, appoggiato alla porta o sdraiato sul divano, con quel suo solito atteggiamento da duro. Oggi, invece, la casa sembra vuota. Faccio un respiro profondo e decido di bussare. Non voglio entrare senza essere sicura che ci sia qualcuno.

Aspetto qualche secondo, ma nessuna risposta. Il silenzio è pesante, opprimente. Bussa di nuovo, con più forza stavolta. Ancora niente. Forse è già una risposta, penso, e mi giro per andarmene, quando un rumore strano mi blocca.

Un verso strozzato, quasi un lamento, ma non sembra umano. Mi gela il sangue nelle vene. È un suono disperato, e non riesco a ignorarlo. Contro ogni buon senso, mi avvicino alla porta e la spingo piano. È socchiusa. «C'è qualcuno?» chiedo, anche se so che non otterrò risposta.

Entro lentamente, il cuore che batte all'impazzata. La casa è in disordine, ma è un dettaglio che passa in secondo piano rispetto alla scena che mi si presenta davanti. Void è legato a una catena corta, e dalla sua zampa sinistra si capisce chiaramente che è ferita. Ha un aspetto terribile, come se fosse stato abbandonato lì per giorni. I suoi occhi mi guardano con un misto di dolore e paura, e per un attimo sento il mondo crollarmi addosso.

Nonostante tutto, non posso fare a meno di provare compassione per lui. So quanto sia pericoloso, quanto abbia un morso pronto e facile, ma vederlo così... non posso lasciarlo lì.

«Oh, povero cagnolone...» sussurro, avvicinandomi con cautela. Lui non fa altro che fissarmi, con il respiro affannato e il corpo teso. «Tranquillo, andrà tutto bene» cerco di rassicurarlo, anche se non sono sicura di chi dei due stia cercando di convincere di più.

Mi inginocchio lentamente e con mani tremanti slaccio la catena. Void non si muove subito, come se non credesse che lo sto davvero liberando. Poi, con un gesto rapido, lo accarezzo delicatamente sulla testa, sperando che non mi attacchi. Per fortuna non lo fa. Anzi, quando si rende conto di essere libero, mi segue zoppicando, mantenendo il passo con me.

Mi ritrovo a camminare per la strada con un dobermann ferito al fianco, un'immagine che non avrei mai pensato di vedere. Mi fermo al primo supermercato che trovo, acquistando acqua fresca, una ciotola e del cibo per cani. Void mi aspetta pazientemente fuori, e quando usciamo, ci dirigiamo verso il parco. Mi siedo su una panchina e gli verso l'acqua nella ciotola, poi apro la scatola di cibo.

VEIL OF BLAZEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora