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Il professore di composizione letteraria, un uomo sui cinquant'anni con un paio di occhiali che gli scivolano costantemente sul naso, si sistema dietro la cattedra con un fascicolo in mano. Siamo circa a metà settembre, e dopo due settimane dall'inizio del liceo, posso dire che mi sento finalmente un po' più a mio agio. Grazie a Claire, che mi ha consigliato questo corso, ho scoperto un angolo del liceo che potrebbe davvero piacermi. Lei e io abbiamo legato molto ultimamente; siamo più simili di quanto pensassi. Mi piace come ci capiamo al volo, senza bisogno di troppe parole.

Dominique a volte fa delle battutine sul fatto che passiamo meno tempo insieme, come se ci fosse una sottile punta di gelosia, ma sa anche quanto fosse importante per me uscire dalla mia zona di comfort e trovare nuovi spazi. E in fondo è felice per me, lo vedo da come mi guarda quando le racconto entusiasta le mie giornate.

Il professore schiarisce la voce per richiamare l'attenzione e annuncia: «Benvenuti al corso di composizione letteraria avanzata. Vi guiderò in un percorso che non sarà solo tecnico, ma personale. La scrittura è un riflesso di chi siamo, delle nostre esperienze e delle nostre ferite. Vi chiederò di scavare a fondo, di confrontarvi con le vostre ombre. Se cercate un corso facile, siete nel posto sbagliato.» Fa una pausa teatrale, scrutando la classe. «Ora, chi è pronto a mettersi in gioco?»

Mi preparo mentalmente. Questo corso è esattamente il tipo di sfida che cercavo. Ma prima che possa rispondere, sento dei passi pesanti dietro di me. Il rumore improvviso mi fa voltare di scatto, e il sangue mi si gela nelle vene.

Blaze.

Non l'avevo mai visto in un contesto diverso dal cortile o nei corridoi, sempre circondato dai suoi amici. E adesso... è qui? A un corso di composizione letteraria? Mi irrigidisco sulla sedia, sentendo un brivido corrermi lungo la schiena.

Il professore lo fissa per un attimo, visibilmente confuso. «Gallagher, giusto?» chiede, con una sfumatura di incertezza. «Non ricordo che tu fossi iscritto a questo corso.»

Blaze si limita a fare un sorrisetto beffardo, il tipo che ti fa capire subito quanto gli importi delle regole. «Volevo vedere se c'è qualcosa di interessante,» risponde con la sua solita arroganza. «O magari solo perché mi va di fare il cazzo che voglio.»

Il professore sembra combattuto tra il lasciar correre e il rimproverarlo, ma alla fine si limita a sospirare e gli indica un posto libero in fondo all'aula. «Va bene, ma sappi che qui si viene per imparare, non per disturbare.»

Blaze non risponde nemmeno. Si siede con un'aria annoiata, appoggiando le braccia sullo schienale della sedia. Ma quando incrocia il mio sguardo, il mio cuore salta un battito. I suoi occhi mi fissano per un secondo di troppo, con quella strana luce che ho imparato a riconoscere. Non è qui per ascoltare la lezione. È qui per me.

Devo lottare contro l'impulso di abbassare lo sguardo, di farmi piccola e invisibile. Ma poi mi riprendo. Non posso permettere che lui rovini anche questo spazio. Non qui.

Il professore continua la lezione, spiegando come la scrittura possa diventare una via di fuga o un mezzo per esprimere ciò che non riusciamo a dire ad alta voce. Parla di come alcune delle più grandi opere letterarie siano nate dal dolore e dal conflitto interiore.

«Vorrei che qualcuno di voi condividesse un pensiero, un'idea, o magari una bozza su cui ha lavorato. Chi vuole rompere il ghiaccio?» domanda, guardando gli studenti uno a uno.

Sento un'ondata di panico attraversare la classe, ma non esito. Alzo la mano con determinazione. «Io.»

Il professore mi guarda con un leggero cenno d'approvazione, ma percepisco l'attenzione che si sposta anche su di me dagli altri studenti. Tra loro, Blaze. Lo sento sorridere, come se stesse aspettando di vedere se crollerò sotto la pressione.

VEIL OF BLAZEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora