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La mattina di Natale sa di nostalgia, quella sensazione che ti stringe il cuore e ti lascia con un vuoto che sembra non potersi mai riempire. Sono qui da appena tre giorni, eppure sembrano interminabili. Con mio padre ho scambiato appena due parole durante il pranzo, e ogni volta che ci incrociamo in casa, c'è solo il silenzio a riempire lo spazio tra di noi. Quel silenzio che pesa come un macigno, carico di tutto ciò che non diciamo, di tutto ciò che abbiamo perso.

Nessun messaggio da Blaze, nemmeno uno. Il telefono è pieno dei messaggi di Dominique, ma non ho nemmeno la forza di leggerli, figuriamoci di rispondere. Ogni volta che vedo il suo nome sullo schermo, mi sento solo più distante da tutto ciò che pensavo di conoscere. Da tutto ciò che pensavo fosse vero.

Forse questa è la prova che cercavo, la dimostrazione di quello che temevo da sempre. Se fossi rimasta lì con Blaze, forse sarei stata solo una delle tante, una nota a piè di pagina in una storia che non ha mai avuto alcuna speranza di diventare qualcosa di più. È come se il silenzio di Blaze fosse la risposta definitiva a tutte le mie domande, una risposta che fa male più di quanto avessi immaginato.

Quando ero piccola, la mattina di Natale era la mia preferita. Era un momento magico, dove tutto sembrava possibile. I miei genitori andavano d'accordo allora, o almeno così mi piace ricordare. Ho ancora nitido il ricordo di loro due insieme, in cucina, intenti a fare i biscotti alla cannella. L'odore dolce e speziato riempiva la casa, e io, con il mio grembiule troppo grande, cercavo di imitarli, ridendo ad ogni tentativo maldestro di tagliare la pasta dei biscotti. Era davvero bello. Era semplice, e mi sembrava che nulla potesse mai cambiare.

Adesso sono qui, seduta nella piccola veranda dove io e Lucas ci rifugiavamo quando le urla dei nostri genitori diventavano troppo forti, quando la tensione in casa era insostenibile. Qui cercavamo di fare i compiti, di far finta che tutto andasse bene, che quei litigi non ci toccassero. Ma anche quel luogo, che una volta era il nostro rifugio, sembra diverso. Più freddo, più distante.

La neve ha invaso tutto il pianerottolo, coprendo il mondo esterno con un manto bianco che sembra voler nascondere tutto sotto una coltre di silenzio. Ma non può nascondere ciò che sento dentro. Non può nascondere la consapevolezza che, nonostante tutto, io sono qui, sola, a cercare di capire chi sono e cosa voglio davvero. E in questo momento, tutto ciò che riesco a sentire è la mancanza di quel passato che non posso più riavere e l'incertezza di un futuro che non riesco ancora a vedere.

Mi perdo nei miei pensieri, guardando la neve che ricopre il pianerottolo come un velo silenzioso. I ricordi di un passato più semplice, più felice, mi attraversano la mente come un eco lontano. La nostalgia mi stringe il cuore, e per un attimo desidero ardentemente tornare indietro, a quei giorni in cui la mattina di Natale era ancora un momento di magia.

Un rumore improvviso mi riporta alla realtà. Qualcuno bussa sul vetro della veranda. Penso sia Lucas, pronto a fare un altro tentativo di parlarmi. Ma quando alzo lo sguardo, vedo mio padre dall'altra parte del vetro.

Lui esita, poi accenna un sorriso timido. «Posso entrare?» chiede, la sua voce ovattata dal vetro che ci separa.

Mi alzo dal divano con un gesto meccanico, incerta sul da farsi. «Fa' come ti pare,» rispondo con un tono indifferente, anche se dentro di me sento un groviglio di emozioni che non riesco a districare. «Tanto me ne stavo andando.»

Mio padre apre la porta e fa un passo dentro, lasciando che il freddo della veranda si insinui nella stanza. Si ferma per un istante, come se stesse cercando le parole giuste da dire. «Aspetta,» mormora, «vorrei davvero parlarti, Emma.»

Lo guardo, cercando di mantenere il mio muro di difesa, ma la verità è che mi sento troppo stanca per continuare a fingere. «Ti sei ricordato presto di parlarmi,» ribatto con un sarcasmo amaro. «Non l'hai fatto per mesi, cosa c'è di diverso ora?»

VEIL OF BLAZEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora