VEIL OF BLAZE

38

Le prove per il saggio di danza sono ufficialmente iniziate, e anche se sono massacranti, per me sono una vera benedizione. Cinque ore al giorno, un ritmo incessante, i muscoli che bruciano e il sudore che mi cola sulla fronte... ma non mi importa. Anzi, ogni minuto passato lì mi tiene lontana dai pensieri che mi assillano, dalle domande a cui non riesco a trovare una risposta.

Blaze, Dominique... tutto sembra essersi messo in un groviglio di confusione e malintesi, e io non so più come districarlo. Ma qui, in sala prove, non c'è spazio per niente di tutto questo. Il battito della musica copre ogni altra cosa, e il mio corpo risponde solo al ritmo. Ogni passo, ogni salto, ogni movimento è un modo per sfuggire a quello che mi tormenta.

La coreografia è complicata, e Harriet non ci risparmia nulla. Ci corregge su ogni minimo dettaglio, la posizione delle mani, l'allineamento dei piedi, persino la direzione dello sguardo. A volte mi sembra di non farcela, le gambe tremano per la stanchezza, ma la mente è troppo impegnata per soffermarsi su altro.

Dopo la terza ora di prove, mi fermo per prendere fiato, mentre Harriet sta dando indicazioni a un gruppo dall'altra parte della sala. Mi siedo un attimo, e il sollievo che provo è immediato. Guardo le altre ragazze, tutte immerse nella stessa fatica, ma c'è qualcosa di confortante nel fatto che stiamo passando questo insieme.

Le parole di Blaze tornano a galla nella mia mente, nonostante il mio tentativo di soffocarle. «E se realmente provassi a cambiare?» Quelle parole mi tormentano. So che non dovrei pensarci, che dovrei lasciarle scivolare via come fanno le gocce di sudore sulla mia pelle, ma è difficile. E poi c'è Dominique, che continua a evitarmi senza motivo. Il suo sguardo schivo davanti all'aula di chimica non mi lascia in pace.

Mi alzo di nuovo, scuotendo la testa per liberarmi da quei pensieri. Mentre mi guardo intorno nel teatro, sento un senso di familiarità avvolgermi come una coperta calda. Non pensavo che anche il teatro di Detroit potesse farmi provare questo, eppure è così. È diverso, certo, meno maestoso di quelli in cui ho ballato prima, ma ha comunque un'aura che mi fa sentire a casa. Le file di sedili vuoti, il palco che si estende davanti a me come un territorio ancora inesplorato, le luci soffuse che lasciano solo pochi angoli nell'ombra... tutto contribuisce a quell'inconfondibile sensazione di appartenenza.

Mentre osservo il palco, Harriet mi chiama. La vedo avanzare verso di me, con quella solita espressione determinata, come se sapesse già esattamente cosa dire. Mi avvicino, curiosa.

«Emma,» inizia, «so che manca poco al saggio, ma ho una proposta per te.»

I miei occhi si stringono leggermente per la sorpresa. Di che proposta potrebbe trattarsi così a ridosso della data?

«Voglio che tu faccia un assolo,» continua lei con tranquillità, come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Ne hai le capacità, lo sai. Vorrei che mostrassi tutto quello che hai imparato, tutto il potenziale che possiedi.»

Rimango un attimo in silenzio, cercando di assimilare le sue parole. Un assolo? A così poco tempo dal saggio? Il cuore mi batte forte, e non so se per l'eccitazione o la paura. Un assolo è una responsabilità enorme. Se sbaglio qualcosa, non c'è nessuno a coprirmi, a nascondere gli errori. Sarebbe tutto su di me.

«Non lo so, Harriet...» dico, la voce più incerta di quanto mi aspettassi. «Manca davvero poco, e non voglio rischiare di commettere errori.»

Lei mi guarda con uno sguardo fermo ma gentile. «Non ti chiederei di farlo se non fossi sicura che puoi riuscirci, Emma. Ti ho osservata, sei pronta. Devi solo crederci anche tu.»

C'è una parte di me che vuole dire di no, che vuole restare nella sicurezza del gruppo. Ma c'è anche un'altra parte, quella che non può ignorare il brivido all'idea di esprimere tutto attraverso quel ballo. Di sfidarmi. Di brillare.