Capitolo 7

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Mattia's p.o.v.
I craphfen che ho preso saranno buonissimi! Spero che piacciano anche ad Emma. Arrivo davanti alla porta di casa. Suono il citofono, ma non risponde nessuno, poi mi accorgo che è aperta, in realtà. Mi ricordo bene di averla chiusa quando sono uscito. ...Qui c'è qualcosa di strano... Entro in casa, e sento delle urla. Sono urla di donna, provengono dalla camera da letto. Con orrore, mi accorgo che a gridare, è Emma. Oh cazzo! Emma!
Entro come una furia nella stanza, ed il mio cuore si ferma per un attimo. Lotto per non cedere alle lacrime di paura. Ciò che sto vedendo non é minimamente paragonabile allo svenimento di Emma di ieri, né a come l'ho trovata stanotte, né a qualsiasi orrore io abbia preso parte in tutta la mia vita. Emma è sul pavimento, nuda, in un lago di sangue. Ha un taglio sulla fronte e uno sul ventre. È piena di lividi e graffi. Il suo pianto è quasi invisibile, coperto completamente dal rosso. Sopra di lei c'è quel Borriello. Non oso nemmeno dire cosa le sta facendo. A vedere la scena, la paura cede il posto alla rabbia ed un fuoco felino mi entra nel cuore. Nessuno deve trattare così la mia Emma. NESSUNO. Nel giro di un attimo, quel verme non è più sopra di lei. È sul pavimento, ed io sono sopra di lui. Pugni e calci cercano di colpirmi, ma io mi scanso e in poco tempo lui è fuori dalla porta, sanguinante, quasi privo di coscienza. Io mi precipito da Emma. È svenuta, non posso credere che quello stronzo abbia abusato di lei in questa grottesca maniera. La sento sussurrare il mio nome, prima di perdere i sensi. Subito la prendo in braccio a mo'di sposa e la appoggio sul letto. Anche ferita, sofferente e priva di sensi, sembra un piccolo angelo. Vado subito in bagno a riempire una bacinella con dell'acqua. Poi, in un cassetto, trovo degli asciugamani, e li inumidisco. Lavo via il sangue dal corpo di Emma, dolcemente, senza quasi toccarla. Mi si stringe il cuore a vederla così malridotta, e dolorante. Con l'ultimo asciugamano, mi accosto al suo viso, e pulisco il sangue, mischiato alle sue lacrime, tracciando i lineamenti dolci del suo viso angelico. Lotto contro l'impulso di abbracciarla e baciarla: questo non è proprio il momento. Devo aiutarla, devo essere la sua ancora di salvezza. Quando ho finito di ripulire il suo corpo, vado a prendere delle bende nella cassetta del pronto soccorso, e del disinfettante. Con molta, moltissima attenzione, le disinfetto i tagli, i lividi e i graffi, e vorrei solo che esistesse un modo per spiegare il mio desiderio di baciarli. Quando arrivo ai tagli sullo stomaco, il suo viso, seppur addormentato, si contorce per il dolore, e la sua tristezza, diventa anche la mia. Vorrei che esistesse una magia, incantesimo, sortilegio, o qualunque cosa che possa rendere felice per sempre una persona. E di certo lo donerei ad Emma, la mia Emma. Non avevo mai formulato pensieri del genere su una ragazza, nemmeno su mia madre, però lei è riuscita a cambiarmi. Si, in soli due giorni, i miei muri difensivi, quelli che mi facevano sembrare duro e menefreghista, sono scomparsi. Puff! In un batter di ciglio. Ed è comparso Mattia, il ragazzo dolce e premuroso, che aiuta le ragazze in pericolo, quello che sussurra i complimenti per paura di pronunciarli ad alta voce, quello che si perde in un paio di occhi marroni da cerbiatta. Ma si sa, i duri hanno due cuori.
I tagli e le ferite vengono bendati, mentre resisto all'impulso di scoppiare in lacrime. Perché tutto a lei? Cosa ha fatto di male, questa creatura di Dio, che deve soffrire le pene dell'inferno?
Ora la rivesto. Non vorrei farlo, sia chiaro. Vorrei che restasse così, nella sua nudità ingenua e semplice, non maliziosa, allegra e malinconica allo stesso tempo. Però lei non lo vorrebbe. Ed io la rispetto. Prima di tutto, la sua salute. Non vorrei che si beccasse anche la febbre. Le infilo un pigiama di lana, uno di quelli da orsacchiotto di peluche, e la copro con il lenzuolo, fino alle spalle. Noto che i suoi capelli sono ancora legati nella solita crocchia disordinata, e sono incrostati e sporchi di sangue. Allora glieli slego, lasciandoli cadere, a cricondare il suo viso.
Mi siedo accanto a lei sul letto, aspettando con pazienza che si riprenda, mentre la guardo, contemplando quella bellezza che non ho mai visto in nessuna donna, una bellezza che non sono i suoi capelli biondi, il suo fisico, le sue forme, il suo trucco, e nemmeno il suo carattere, la sua bontà, il suo calore. È una cosa che sta in mezzo: non è bellezza interiore, né esteriore. È quando sorride nervosamente, ed abbassa lo sguardo dopo un complimento, quando sorride, sprigionando la luce della sua anima. È quando mi guarda con quegli occhi da cerbiatta, in un modo ingenuo, e stupito. È quando sono qui, a guardarla dormire, svenuta, piena di lividi e graffi che non si merita, sperando di aggiustarle il cuore.

"QUEL SORRISO MESSO COME SCUDO"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora