5. Fiori appassiti

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Daphne

Appena tornata a casa da mia zia, la saluto, raccontandole la mia giornata.
"Perciò com'era il test? Fattibile?" si interessa, poggiando una mano sulla spalla per darmi conforto in caso di necessità.
Menti Daphne, menti.
"Onestamente sembrava un test per bambini, mi chiedo come facciano le persone a non superarlo. Davvero una cavolata." forse era uno dei test più difficili che io abbia mai fatto in vita, ma ammettere le mie difficoltà su una verifica basata suoi miei studi universitari, renderebbe la mia preparazione poco approfondita, facendomi sembrare impreparata.
"Bene! Perciò quasi sicuramente l'hai passato, no?" menti Daphne, menti.
"Certo, zia. Staranno sicuramente già preparando la mia scrivania." la mia scrivania come segretaria, quella sarà sicuramente già pronta.
"Ottimo. Hai conosciuto qualcuno al corso?" mi chiede con sorriso ammiccante, accompagnando quell'espressione spavalda con un occhiolino amichevole.
"No, nessuno." In realtà, qualcuno l'ho conosciuto. Ho conosciuto un uomo molto affascinante, con spalle larghe e braccia possenti, ma con una delicatezza emotiva pari a quella di un pesce morto.
"Che gran peccato, vabbè, quando entrerai sicuramente troverai qualcuno di interessante." mi rassicura, allontanandosi da me e dirigendosi verso la cucina per dare inizio ai preparativi per la cena.
"Ma certo che si! Dai zia, chi non mi vorrebbe!" tutti. Tutti cercano fiori freschi, nessuno vuole i fiori appassiti.

Ray

Spalanco la porta di casa per entrare e mi accorgo che tutto è rimasto come l'ho lasciato questa mattina. D'altronde, cosa mi aspettavo? Nessuno poteva spostare gli oggetti lasciati in disordine.
Sono l'unico in questa casa capace ancora di muovermi indipendentemente.
Devi essere forte Ray.
Mi dirigo nella stanza di mia madre ma poiché dorme, non l'ho svegliata. Controllo sul vassoio che le ho lasciato con il pranzo, se il cibo è stato consumato: la ciotola con la zuppa sembra essere vuota, mentre il pane non è stato minimamente toccato.
Entro nel balcone a fianco alla stanza per controllare che non abbia buttato la zuppa nelle piante - come aveva già fatto in passato - ma fortunatamente non vedo tracce.
"Grazie al cielo..." sussurro. Farla mangiare è una delle mie difficoltà più grandi all'interno della mia quotidianità. Io voglio mantenerla in vita, lei invece vuole tagliare la corda. Io voglio salvarla, lei non vuole essere salvata. Spesso ho pensato che fosse egoista nel volermi lasciare solo in questo mondo, ma ogni volta che questo pensiero riaffiorava, ricordavo a me stesso che non è lei a volermi lasciare, ma il tumore a volerla portare via da me.
Se lei se ne andasse, rimarrei ufficialmente solo in questo mondo. Non avrei più una famiglia. Non avrei più una casa.
Mia madre sta per partire per un viaggio di solo andata, anche se io le nascondo i biglietti, mentre mio padre, è già partito da anni.

Ventitré anni fa...

Seduto sulle ginocchia di mio padre, gli racconto la mia giornata trascorsa all'asilo.
"Perciò ti piace andare lì?" si interessa, mentre mi accarezza dolcemente la schiena, riscaldandomi dal gelo dell'inverno.
"Si, mi diverto molto."
"Hai degli amici?" la domanda mi lascia senza parole. Come glielo dico che non ho un gruppo di amici? Nei cartoni, il protagonista viene sempre circondato da amici divertenti, fedeli e carini con cui si diverte ogni singolo giorno della sua vita. Ma io non sono come i protagonisti dei cartoni animati.
"Non ne ho tanti papà... Ne ho solo uno." rivelo dispiaciuto.
"Non importa tesoro, l'importante è averne pochi ma buoni. Ti fidi ciecamente del tuo amico?" rimango qualche secondo in silenzio, finché mio padre non alza un sopracciglio per chiedermi di continuare la chiacchierata. Che espressione buffa.
"È una femmina, in realtà."
"Oh bene, molto bene. È com'è questa bimba?" la domanda mi rende felice. Parlare di Elisabeth mi regala un sacco di energia e spensieratezza. È questa la felicità, giusto?
"Allora, è una bambina bella, molto bella. È simpaticissima, intelligente, coraggiosa, generosa, gentile e soprattutto molto fedele." appena finisco la descrizione di Elisabeth, mio padre rimane a fissarmi negli occhi per qualche secondo, nascondendo una risata silenziosa sotto i baffi.
"Cosa c'è papà? Ho detto qualcosa che non va?"
"No tesoro, assolutamente no. Ma non è che magari questa bambina ti piace?" mi stuzzica, dandomi un pizzicotto sul braccio.
"Non lo so papà. Come posso capirlo?"
"Amore... Lo senti qui dentro, non serve capirlo." mi spiega puntandomi il dito sul petto, proprio all'altezza del cuore.
"Funziona così l'amore?"
"Si." afferma con un sorriso sinceramente intenerito dalle mie risposte ingenue.
"Allora spiegamelo, papà. Cosa bisogna sapere?"
"Tesoro, l'amore è un concetto talmente difficile, che nemmeno gli adulti lo comprendono appieno. Facciamo che questo te lo spiego un'altra volta, intesi?" raccomanda, accarezzandomi la guancia con l'intero palmo della sua mano.
"Perché papà? Dove devi andare?"
"In un altro posto, amore. Un posto bellissimo. Ci rincontreremo, stai tranquillo. Papà tornerà ok? Starà sempre con te."
"Non capisco papà..."
"Capirai amore. Ora svegliati, la mamma ti sta chiamando."

Era un sogno.

Il Riflesso Di Una BugiardaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora