15. Incubi e ricordi

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Ray

Rientro in casa, mi cambio, indosso il pigiama e cucino per me e mia madre. Preparo il vassoio con tutto l'occorrente e mi dirigo nella sua stanza per portarle da mangiare - come da routine. Busso, anche se non ricevo risposta. Busso ancora, e il silenzio è tutto ciò che sento.
Preoccupato spalanco velocemente la porta, ritrovandomi mia madre sdraiata sopra il lenzuolo, con gli occhi sbarrati, immobile a fissarmi.
La teglia cade a terra, frantumando i piatti ed i bicchieri in mille pezzi. Mi inginocchio accanto al letto, non facendo caso al dolore dei frammenti di vetro che si incastrano nella mia carne, e cercando di agitare il corpo di mia madre. Non può avermi lasciato. Non così. Non adesso.
"Mamma! Mamma svegliati!" inizio ad urlare, mentre le lacrime rigano il mio viso.
"Mamma! Per piacere!" la imploro, cercando di farmi sentire, ma ormai sento solo il silenzio della morte. Afferro la sua mano, sperando che senta il calore della mia pelle, la mia voce o semplicemente le mie suppliche. Guardami mamma, sono qui.
"Mamma... Per favore..." sussurro, appoggiando la testa sul materasso...

Spalanco gli occhi e fortunatamente riconosco la mia stanza. Era solo un incubo.
Sono sdraiato sul letto, completamente sudato e con il respiro affannoso. Preso dallo spavento mi alzo, e per sicurezza, controllo la stanza di mia madre, che sta dormendo tranquillamente.
Ogni tanto ripenso al fatto che quello che è successo nel mio incubo, succederà anche nella vita reale, ma finché posso ritardare questo avvenimento, lo farò, mettendoci tutto il possibile per starle accanto. Gli incubi servono solo a prepararmi mentalmente, anche se non sono ancora pronto a lasciarla andare. Egoisticamente parlando, preferisco avere mia madre qui con me.

Daphne

Il tempo va avanti, mentre io rimango ferma nello stesso e identico punto.
La data di scadenza si avvicina e l'arrivo del mostro è alle porte.
Come posso scappare? Come posso urlare senza farmi sentire? Come posso soffrire in pace se quel mostro vive della mia sofferenza?

Dieci anni fa...

"Avanti Daphne, mettiti davanti allo specchio e ripeti tutto. Un'altra volta." non riesco più a respirare. I singhiozzi sono così forti che sobbalzo sulla sedia, mentre le lacrime sono talmente tante che ormai il mio viso è completamente bagnato.
Io mi sto spezzando, frantumando la mia anima in piccoli pezzettini, mentre il mio mostro mi ricostruisce e mi rimodella a suo piacimento.
"Sono D-Daphne White. Ho se-sedici an-" il mostro mi tira per i capelli, obbligando ad avvicinare il mio viso al suo.
Ora siamo faccia a faccia.
"Brutto sgorbio, ti ho detto di non piangere! Devi dire tutto questo, senza piangere! Ripeti!" mi urla addosso.
Lascia la mia chioma, permettendomi di avere di nuovo il controllo. Guardo il mio riflesso, nella speranza di trovare una faccia amica, finché nello specchio non vedo Elisabeth.
Il suo volto è terrorizzato, mentre le sue pupille mi studiano con attenzione, scrutandomi fino in profondità.
Mi sembra di avere davanti il mio polo opposto: lei vorrebbe brillare, io invece vorrei vivere nel buio. Elisabeth vuole vivere, Daphne vuole morire.
La guardo un'ultima volta, poiché non so quando la rivedrò. La osservo, finché lentamente non la vedo sparire dalla mia vista: si dissolve con calma, sciogliendosi in una lacrima che asciuga di fretta. Ora sono sola.
"Io sono Daphne White. " sospiro "Ho sedici anni. Mia madre è Mary Doon. Il mio sogno nel cassetto è seguire le impronte dei miei genitori." prendo fiato ancora una volta, per darmi coraggio "Io sono l'erede al trono. Io prenderò il possesso di tutto questo, perciò portatemi rispetto." il mostro dagli occhi infuocati e dalla lingua ammaliatrice mi guarda compiaciuto. È contenta quando riesce a dominare la mia mente.
"Bravo sgorbio." afferma, con un sorriso diabolico sul viso.
"Grazie, mamma..." guardo la mia immagine sullo specchio, disprezzando la persona che mi sta mostrando. Quella non sono io. Mi rifiuto di esserlo.
Mia madre sembra accorgersi del mio sguardo, per questo si inchina, avvicinandosi a me. Afferra la mia mandibola, ed avvicina la sua bocca al mio orecchio.
"Devi capire piccola Daphne... Che la mamma fa un lavoro estremamente difficile, non è per tutti. Vedi in che posto vivi? I tuoi amici hanno tutto questo oro e tutti questi vestiti firmati?"
"No, mamma..."
"Immaginavo. Il mio lavoro può essere ingiusto e spesso sono costretta a fare cose brutte. Ma tu sai benissimo, che tua madre lo fa perché non ha avuto scelta, vero?" non rispondo perché, se emettessi un solo verso, rischierei di piangere un'altra volta. E non le voglio dare questa soddisfazione.
Assisto alla deformazione del suo volto, che in un'istante, ha plasmato la sua espressione decisa in una molto più indignata. Probabilmente il mio silenzio deve averla irritata non poco.
"Tu vivi nel lusso, lurida ingrata! Io ero in mezzo a una strada! Sono stata abbandonata a causa della povertà! Perciò ringraziami!" grida ferita, come se la mia assenza di parole da rifilarle l'avesse offesa. Cerca di intimorirmi - riuscendoci come sempre - ma questa volta, gli occhi di Elisabeth mi regalano un briciolo di coraggio: decido di non rispondere.
Mantengo le labbra serrate, senza darle la risposta che lei desidera. Sembrerebbe una sfida ad armi pari, finché il mostro stringe il mio collo soffocandomi.
"Gr-gra... Ah" devo affrettarmi a dire quello che vuole sentire. Cerco di liberare le sue sudice mani dalla mia pelle, ma lei stringe più forte.
"Gra-zie ma-ma..." lascia la presa, permettendomi di riprendere fiato per vivere.
"Non farmi mai più dire la stessa cosa due volte, chiaro?"
"Mh-mh."
Mi guarda un'ultima volta attraverso lo specchio. Lascia la stanza, ed io affogo nel buio.
Oramai queste tenebre sono la mia casa.

Il Riflesso Di Una BugiardaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora