Ero appena rientrato in casa quando la tensione nell'aria si fece subito palpabile. Non ci volle molto per capire che qualcosa stava per esplodere. I miei fratelli, Andrés e Charles, erano già lì, seduti accanto a Rafael, mio padre, che mi guardava con un'espressione di freddezza impenetrabile. Nessun sorriso, nessun segno di affetto. Emèlie era in piedi con Leonardo tra le braccia, visibilmente tesa.
Non ci volle molto prima che iniziassero le frecciate. Rafael, come sempre, parlava come se avesse il diritto di giudicare ogni cosa nella mia vita. Il tono condiscendente, il disprezzo mascherato da paternalismo.
"Non ti sei stancato di giocare a fare il padre di famiglia, Stephane?" chiese con quel tono aspro che mi faceva sempre ribollire il sangue.
Lo guardai negli occhi, cercando di mantenere la calma. "Non sto giocando a fare niente, papà. Questa è la mia vita."
Lui rise amaro, scuotendo la testa. "La tua vita? Guarda dove ti ha portato. A vivere con... lei," disse, indicandomi Emèlie con un gesto della mano, come se fosse qualcosa di insignificante. "E un bambino che, probabilmente, non saprai neanche crescere."
Emèlie sussultò, stringendo di più Leonardo al petto. La sua espressione ferita mi fece stringere i pugni. Non potevo tollerare che parlasse di lei in quel modo, non di fronte a me, non di fronte a nostro figlio.
"Non osare parlare così di lei," dissi, con un tono basso ma minaccioso.
Ma Rafael non si fermò. Al contrario, intensificò il suo attacco. "Guarda com'è messa," aggiunse con disprezzo, fissando Emèlie con occhi giudicanti. "Grassa, esausta, debole. Non sei neanche in grado di prenderti cura di tua moglie, figuriamoci di un bambino."
Emèlie vacillò, e vidi nei suoi occhi una lacrima trattenuta. Era troppo. "Basta!" urlai, perdendo completamente il controllo. "Esci da questa casa!"
Andrés e Charles si alzarono, cercando di calmarmi, ma non riuscivano a capire la rabbia che mi stava divorando dentro. Mi avvicinai a mio padre, pronto a scagliargli addosso tutta la rabbia che avevo accumulato negli anni. Era stato un tiranno per tutta la mia vita, e ora stava cercando di distruggere anche la mia famiglia.
Rafael mi fissava, imperturbabile. "Non capirai mai, vero, Stephane? Non sei abbastanza forte per questa vita. Non sei forte come me."
Le sue parole mi colpirono come un pugno, ma quello che accadde dopo fu ancora peggio. In un attimo, vedendomi così vicino a lui, si alzò di scatto, alzando la mano. Non riuscivo a capire cosa stesse per fare fino a quando Emèlie, come un lampo, si mise tra noi. Il colpo era diretto a me, ma fu lei a riceverlo.
Il suono dello schiaffo fu assordante. Tutto si fermò. Rafael rimase immobile, come se non credesse a quello che aveva appena fatto. Emèlie cadde a terra, stringendo ancora Leonardo.
In un attimo, il mondo intorno a me crollò. La mia rabbia esplose come una bomba. "Esci da questa casa!" urlai con una forza che non sapevo di avere, avanzando verso mio padre, pronto a fargliela pagare. Andrés e Charles mi trattennero, cercando di riportarmi alla ragione, ma non c'era niente che potesse fermarmi in quel momento.
"Prendi tua moglie e vai via," disse mia madre, entrando nella stanza. Non c'era più rabbia nella sua voce, solo stanchezza. "Porta Leonardo in camera," aggiunse, prendendo delicatamente Emèlie per il braccio.
Emèlie non disse nulla, gli occhi pieni di lacrime e dolore, mentre mia madre la conduceva fuori. Quando la porta della camera si chiuse, tutto si placò. Mio padre, con lo sguardo vuoto, si voltò verso la porta, poi lentamente uscì dalla casa, seguito dai miei fratelli.
Rimasi solo nel salotto, il silenzio che ora mi avvolgeva era quasi assordante. Dopo qualche minuto mi ripresi e mi diressi verso la camera di Leonardo. Ma quando cercai di entrare, trovai la porta chiusa. "Emèlie... per favore, apri," dissi, cercando di non lasciar trasparire il mio nervosismo.
Non ci fu risposta. Riprovai, ma la porta non si mosse. Sentii i singhiozzi soffocati di Emèlie dall'altra parte e il pianto leggero di Leonardo. Non sapevo cosa fare. L'adrenalina mi aveva lasciato e ora mi sentivo solo stanco, svuotato.
Mi allontanai dalla porta e mi sedetti sul pavimento, con la schiena appoggiata alla parete. "Mi dispiace," mormorai, più a me stesso che a lei. Non sapevo se mi avrebbe mai perdonato per quello che era successo.
Mi alzai, dopo un tempo che mi sembrò infinito, e mi avvicinai nuovamente alla porta. I singhiozzi di Emèlie si erano calmati, ma il silenzio che ne seguì mi preoccupava ancora di più. Sentivo Leonardo emettere piccoli versi, ma tutto il resto sembrava immerso in un silenzio irreale.
"Emèlie, ti prego... fammi entrare. Non possiamo lasciare le cose così. Ti prego, amore," dissi, cercando di mantenere il controllo, ma la mia voce era ancora carica di emozione.
Silenzio. Solo il respiro calmo del nostro bambino dall'altra parte. Mi sentii ancora più colpevole sapendo che il caos che avevamo creato era ricaduto su di lui, così piccolo e innocente. Era questo che volevo per la mia famiglia? No, assolutamente no. Ma le cose erano sfuggite di mano, e io non sapevo come rimetterle a posto.
Mi appoggiai ancora una volta contro la porta, come se potessi sentirla meglio attraverso quel legno spesso. "Non volevo che accadesse tutto questo. Non avrei mai voluto che mio padre... che succedesse a te. Non so nemmeno come dirti quanto mi dispiace," sussurrai.
Poi accadde. Sentii la serratura della porta scattare. Il mio cuore balzò nel petto, e quando la porta si aprì lentamente, mi trovai di fronte Emèlie, gli occhi ancora gonfi di lacrime, il viso pallido e segnato dalla tensione. Leonardo, finalmente calmo, dormiva tra le sue braccia.
Non disse nulla. Mi guardò per un lungo istante, e io vidi tutta la stanchezza e il dolore accumulato in quei pochi giorni di tensione. Un'ondata di colpa mi travolse, rendendomi difficile persino respirare.
Le sue labbra si mossero, deboli, come se volesse parlare, ma non riusciva a trovare le parole. Vidi nei suoi occhi quanto si fosse sentita sola, quanto l'avessi ferita lasciandola affrontare da sola quell'umiliazione davanti alla mia famiglia. Eppure, nonostante tutto, era ancora lì, di fronte a me.
Mi avvicinai lentamente, cercando di non sembrare minaccioso, ma mi sentivo così vulnerabile. Quando ero abbastanza vicino, presi il coraggio di mettere una mano sulla sua spalla. "Sono qui, Emèlie. Non ti lascio. Non ti lascerò mai."
Fu allora che tutto si ruppe. Lei si aggrappò a me, lasciando cadere ogni difesa, ogni barriera, e scoppiò in lacrime sul mio petto. Il piccolo Leonardo, avvolto tra di noi, rimase silenzioso, come se sapesse che quel momento non era per lui, ma per noi.
Stringendola forte, sentii il suo dolore come fosse il mio. Sentii ogni singhiozzo, ogni tremito del suo corpo. Era troppo. Anche per me.
Non riuscii più a trattenermi. Le lacrime che avevo cercato di reprimere da tutto quel giorno iniziarono a scendere. Piangevo insieme a lei, senza vergogna. Non c'erano più barriere tra di noi. Solo noi tre, insieme, in quel silenzio rotto dai nostri respiri.
Restammo così per un tempo che non riuscii a misurare, fino a quando le sue lacrime cominciarono a placarsi. Con il viso ancora nascosto contro di me, sussurrò: "Non so come farò ad andare avanti dopo quello che è successo oggi. Mi sento così debole, Stephane. Mi sento spezzata."
Le accarezzai i capelli, cercando di rassicurarla, anche se non avevo una risposta. "Non sei sola. Non sarai mai sola. Siamo in questo insieme, Emèlie. Qualsiasi cosa accada, ce la faremo."
Lei annuì debolmente, ma il dolore nei suoi occhi non si era ancora dissolto. Era solo l'inizio di una lunga guarigione, lo sapevo. Ma almeno eravamo ancora qui, insieme.
Leonardo, come se avesse percepito il cambiamento, emise un piccolo gemito. Lo guardammo entrambi e un sorriso debole ma pieno di amore si fece strada tra le lacrime. Anche in mezzo a tutto quel dolore, c'era lui, il nostro piccolo miracolo.
Mi chinai verso Leonardo, accarezzandogli la testa con delicatezza. "Mi dispiace per tutto, piccolo," sussurrai, baciandolo sulla fronte. Poi guardai Emèlie, e nel suo sguardo trovai la forza che ci era sempre appartenuta. La forza che avevamo costruito insieme.
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Je dois l'épouser mais je t'aime
RomanceStéphane Noel il secondo figlio dei tre della stirpe Noel una famiglia di imprenditori della Francia deve sposarsi con Soleil Renë, una ragazza appariscente é l'unica figlia del migliore amico del padre di stéphane, e così i due padri hanno deciso d...