Pazienza

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Dopo aver passato quei momenti così emozionanti con Leonardo, io ed Emèlie avevamo cominciato a parlare seriamente di avere un altro figlio. Eravamo entrambi convinti che fosse il momento giusto: la nostra vita a Bologna stava andando bene, il lavoro era stabile e avevamo finalmente trovato il nostro equilibrio. Emèlie era entusiasta, lo potevo vedere nei suoi occhi ogni volta che parlavamo di allargare la nostra famiglia. Ma col passare dei mesi, quella gioia si era trasformata in una tensione palpabile.

Era iniziato tutto con entusiasmo e speranza, ma ogni mese che passava, ogni test negativo, sembrava che spegnesse un po' della luce che Emèlie aveva dentro di sé. Mi ricordo la prima volta che prese un test di gravidanza dal cassetto del bagno e aspettammo insieme il risultato. La sua mano tremava leggermente, ma sorrideva, speranzosa. Guardai il suo viso mentre fissava il test, e poi vidi il suo sorriso spegnersi lentamente. Non ce l'avevamo fatta.

"Non è niente," mi disse allora, cercando di scrollarsi di dosso la delusione. "Forse il prossimo mese."

Ma i mesi passavano, e ogni volta che il test risultava negativo, era come se le sue speranze si infrangessero contro una parete invisibile. Cercava di non darlo a vedere, di non far pesare troppo la situazione su di noi. Ma io vedevo tutto, e ogni volta che la sua delusione emergeva, sentivo il peso della nostra situazione crescere anche su di me.

Emèlie era cambiata. La sua solita energia era scemata, la sua allegria sembrava distante, quasi soffocata. Era sempre stata una donna forte, ma vedere quel tipo di tristezza in lei mi distruggeva. Volevo fare qualcosa, qualsiasi cosa, per farla stare meglio, per riportare un po' di serenità nella nostra vita.

"Amore," le dissi un giorno, dopo un altro test negativo. Ero seduto accanto a lei sul divano, le sue spalle curve sotto il peso di tutto quello che stava attraversando. "Non possiamo lasciarci abbattere da questo. So che è difficile, ma non siamo soli in questo. Ce la faremo."

Lei mi guardò, con gli occhi pieni di lacrime. "Lo so, Stephane. È solo che... non riesco a non sentirmi così delusa. Ogni volta che penso che potrebbe essere quella giusta, poi... non lo è. Mi sento come se stessi fallendo."

Quelle parole mi colpirono al cuore. Emèlie non era una che si arrendeva facilmente, e sentirla parlare così mi fece capire quanto stava soffrendo. Mi avvicinai di più, prendendola per mano e cercando di rassicurarla. "Non è colpa tua. Non stai fallendo in niente. E non importa quanto ci vorrà, l'importante è che affrontiamo tutto insieme."

Passammo il resto della serata in silenzio, stretti l'uno all'altra. Sapevo che non era facile per lei. E non era facile nemmeno per me. Volevo più di ogni altra cosa riuscire a darle quello che desiderava, ma era come se fossimo impotenti davanti a qualcosa di più grande di noi.

Le settimane seguenti furono difficili. Emèlie si chiudeva sempre di più in sé stessa, e ogni tentativo di tirarla su sembrava fallire. Organizzavo piccole sorprese, cene romantiche, cercavo di farla ridere, ma ogni sforzo si infrangeva contro una barriera invisibile. E più lei si allontanava emotivamente, più io mi sentivo frustrato, impotente.

Una sera, decisi di provare a fare qualcosa di diverso. Eravamo a letto, lei guardava il soffitto, persa nei suoi pensieri. Mi avvicinai lentamente e cominciai a sfiorarle la schiena con delicatezza. "Stephane, non ho voglia..." mi disse, quasi meccanicamente.

Ma io non volevo forzarla. Volevo solo starle vicino, farle sentire che ero lì per lei, anche senza parole. Le presi la mano e la portai sul mio petto. "Non devi dire niente. Voglio solo che tu sappia che sono qui."

Le lacrime che aveva trattenuto iniziarono a scorrere. Mi abbracciò forte, come se volesse aggrapparsi a qualcosa di solido in mezzo alla tempesta di emozioni che la travolgeva.

Je dois l'épouser mais je t'aime Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora