Sospesi nel tempo

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Ogni giorno che passa mi sento sempre più distante. Non solo dal mondo che avevo conosciuto, ma anche da me stesso. È come se avessi perso qualcosa, o qualcuno, che non riesco a ritrovare. Non ho più il telefono, quindi non posso scrivere, non posso chiamare, non posso sentire la sua voce. Non posso nemmeno sentire me stesso, ormai. Quando mio padre l'ha preso, l'ha gettato dal jet, proprio mentre eravamo in volo, l'ha lasciato cadere tra le nuvole come se fosse un oggetto senza valore. E a dire la verità, mi sono sentito come lui: un oggetto senza valore, solo una pedina nelle mani di qualcuno che non mi ha mai chiesto cosa voglio davvero.
Non posso chiamarla. Non posso sentire le parole che mi servirebbero più di ogni altra cosa. Non posso parlare con Émélie, non posso dirle quanto mi manca, quanto la mia vita sia diventata un inferno. È stato mio padre a separarmi da lei, a rovinare tutto. La sua ossessione per il matrimonio, il legame con Soléi... tutto ciò che volevo è andato in frantumi come un castello di sabbia. Ma non posso dirle nulla di tutto questo. Non posso chiederle di tornare. Perché lui è sempre i, alle mie spalle, con il suo sguardo severo che mi segue ogni passo che faccio. Ogni parola che pronuncio. Mi tiene prigioniero. lo sono solo una sua estensione. Solo un altro ingranaggio della sua macchina perfetta.
Mi ritrovo a camminare senza sapere dove andare, cercando di ritrovare un po' di pace, ma ogni passo sembra condurmi più lontano da ciò che desidero. Non c'è più il suono del mio telefono, quella vibrazione che una volta mi dava conforto, che mi ricordava che avevo ancora un legame con il mondo, con Émélie. Ora è silenzio. Un silenzio che mi fa sentire ancora più perso. Mi sento come un naufrago senza barca, senza direzione, senza scopo. Ma c'è qualcosa che non riesco a ignorare: la partita di hockey. La mia squadra. Il ghiaccio. I riflettori che, forse, potrebbero dare un po' di senso alla mia vita in frantumi. Forse la folla mi salverà, forse mi farà sentire un po' vivo di nuovo. Il palazzetto dello sport è quasi come un mondo a parte. Quando entro, il rumore dei tifosi, le urla, le risate, sembrano sollevarmi da tutto ciò che mi opprime fuori da quelle mura. Ma quando mi trovo sul ghiaccio, qualcosa dentro di me non va. È come se stessi cercando di vivere una vita che non mi appartiene. Ogni passaggio, ogni movimento, ogni scivolata sembra essere fatto per qualcun altro. E il pensiero che mi tormenta è sempre lo stesso: Émélie.
Sono a metà della partita, e il mio corpo si muove come se fosse pilotato da un'altra forza. Non penso più a nulla. Solo alla mia squadra, ai miei compagni. Alla vittoria, ovviamente. Ma non è quello che mi dà forza. Non è quello che mi tiene qui. È il pensiero di lei, che mi strappa il cuore ogni volta che penso che ormai mi ha dimenticato. Che mi ha lasciato andare senza nemmeno una parola. E forse è stato giusto così. Forse sono io a non meritarla. Forse sono io a non meritare nulla di vero, di genuino. A non meritare più di un matrimonio imposto, a non meritare la libertà.
E mentre il disco vola tra i miei bastoni, come in un movimento quasi automatico, il pubblico esplode. È gol. La folla esulta, e io dovrei essere felice. Dovrei alzare le braccia al cielo, come sempre.
Ma il mio cuore non c'è. La mia mente è già altrove, a cercare il suo volto, la sua presenza.
Sento la vibrazione del ghiaccio sotto i miei pattini, ma la vera scossa che mi attraversa è quella di cercare Émélie tra la folla. Ho fatto gol, ma non sono davvero li. Non posso sentire la sua approvazione, non posso vedere il suo sorriso. Non c'è nessuna risata che mi faccia sentire che è tutto ciò che conta. La mia mente corre, mentre il corpo sembra fare tutto meccanicamente, come se il gesto fosse ormai vuoto. Mi fermo, scivolando lentamente verso il lato del campo, mentre il mio sguardo si perde tra le persone. Le facce si accalcano, le braccia si alzano per applaudire, ma io non vedo nulla. Non vedo il suo volto. Non la trovo tra la folla, e la sua assenza è come una pugnalata nel petto. Non c'è nessuna scintilla di gioia, solo il peso di un'assenza che non posso più ignorare. Il vuoto. La solitudine.
E mentre i compagni mi battono sulle spalle e la squadra si prepara a tornare in campo, io rimango
I, perso in un mare di volti che non sono i suoi. Non c'è nessuna emozione che risuoni davvero in me. Il mio cuore è altrove. E so che, in quel momento, non c'è nessun gol che mi faccia sentire più
ViVO.
La partita finisce. La folla si alza, ma il silenzio che mi circonda è più forte di ogni applauso. Esco dal palazzetto, mentre le luci si abbassano lentamente. Il rumore dei passi dei tifosi che se ne vanno è l'unica cosa che risuona, ma non è abbastanza per riempire il buco che sento dentro.
Mi fermo all'ingresso, fermo come una statua, il cuore che batte forte nel petto. È tardi, e il freddo di Parigi si fa più intenso. Le luci che illuminano la strada sono fioche, ma mentre giro l'angolo, qualcosa cattura la mia attenzione. Un'ombra tra la folla. Un movimento familiare. Un respiro che
riconoscerei ovunque.
Émélie.
Non ci posso credere. È I, davanti a me. E non solo è lei. È proprio lei. La vedo con la sua maglia, quella che indossava in quella settimana che sembrava una vita intera. La mia maglia con il numero 33, quella che mi aveva rubato il cuore allora e che lo fa ancora ora. Il suo sorriso è appena accennato, ma quando mi guarda, sento come tutto il mondo si fermasse. Non ci sono parole. Non c'è bisogno di dirci nulla, perché tutto quello che c'era da dire era già stato detto nei nostri sguardi, nei nostri baci, nei momenti che abbiamo condiviso insieme.
Il cuore mi batte all'impazzata. Non sono sicuro di cosa fare. Émélie. La vedo, la riconosco, ma allo stesso tempo mi sento perso. La sua presenza mi spezza, mi solleva, mi confonde. Eppure so che la mia vita, la mia strada, sono ormai segnate da altre scelte. Ma non posso fare a meno di sentire che, in quel momento, tutto quello che voglio è rimanere lì con lei. La mia mente mi dice di andare avanti, ma il mio cuore grida per restare. Ci guardiamo per un lungo istante. Poi, improvvisamente, lei sorride di più, ma il sorriso è triste, quasi malinconico. E nel suo sguardo, vedo la tristezza che vedo nei miei occhi. Il cuore mi batte all'impazzata. Non sono sicuro di cosa fare. Émélie. La vedo, la riconosco, ma allo stesso tempo mi sento perso. La sua presenza mi spezza, mi solleva, mi confonde. Eppure so che la mia vita, la mia strada, sono ormai segnate da altre scelte. Ma non posso fare a meno di sentire che, in quel momento, tutto quello che voglio è rimanere lì con lei. La mia mente mi dice di andare avanti, ma il mio cuore grida per restare.
Ci guardiamo per un lungo istante. Poi, improvvisamente, lei sorride di più, ma il sorriso è triste, quasi malinconico. E nel suo sguardo, vedo la stessa tristezza che vedo nei miei occhi. La consapevolezza che non possiamo essere ciò che eravamo. <<E tu?>> le chiedo, mentre un groppo mi sale alla gola. <<Cosa fai qui?>>
Émélie non risponde subito. Si avvicina, quasi timidamente, e con un gesto delicato, mi sfiora la mano, ma non la stringe. È come se anche lei avesse paura di fare il passo sbagliato. Poi, con la sua voce bassa, ma ferma, dice: <<Non so. So solo che ti ho cercato, da qualche parte>> Il vuoto dentro di me sembra crescere, ma allo stesso tempo sento di non voler essere da nessun'altra parte. Ma so anche che tutto è complicato. La sua presenza qui, ora, sembra quasi una prova, un altro pezzo di una vita che non posso più vivere, eppure non voglio lasciarla andare. Per un attimo, mi illudo che possa essere tutto più semplice. Ma non lo è. Non lo è mai stato. Il silenzio tra noi è come una barriera invisibile. Émélie è i, davanti a me, con la sua maglia numero 33, e ogni volta che la guardo, il mio cuore sembra perdere un battito. Non so cosa dire. Non so cosa fare. Mi sembra che il tempo si sia fermato, e tutto quello che c'era prima, quei momenti che avevamo condiviso insieme, sembrano essere stati inghiottiti dalla distanza e dal silenzio che ora ci separa.
Ci guardiamo. I suoi occhi sono pieni di mille emozioni che non riesco a decifrare, come se volesse dire qualcosa ma non sapesse come. Il suo sguardo è fisso sui miei occhi, e nonostante il freddo della sera parigina, un calore improvviso mi avvolge. È come se la sua presenza da sola fosse riuscita a spezzare il gelo che mi attanagliava il cuore da settimane.
"Non ti aspettavi di vedermi, vero?" Mi chiede con un sorriso che, pur sembrando gentile, porta con sé una tristezza che non riesce a nascondere.
Mi mordo il labbro inferiore, cercando di trovare le parole giuste, ma è come se non ci fossero. <<Non so nemmeno io cosa aspettarmi, Émélie>>. La sua presenza mi disorienta, mi confonde, mi riempie di sensazioni che non posso descrivere.
<<Sai, mi hai lasciata senza un addio. Non ho mai capito davvero perché. Non ho mai capito cosa fosse successo>>. La sua voce è calma, ma c'è una sfumatura di sofferenza, come se quelle parole le pesassero addosso più di quanto avesse voluto ammettere. "Non è stata una mia scelta", le rispondo, le parole che escono a fatica. <<Non voglio mentirti, ma non avevo altra via. E sono... sono dispiaciuto per quello che è successo. Più di quanto possa spiegarti>>,Lei annuisce, ma il suo sguardo tradisce una tristezza che non posso curare con parole. Mi guarda per un attimo, poi abbassa gli occhi, come se cercasse di trattenere le lacrime che, a quanto pare,
stava cercando di evitare.
<<Capisco>>, dice, ma non lo penso affatto. So che non lo capisce. Nessuno potrebbe.
Il silenzio ritorna. Stavamo cercando di capirci, ma c'è una distanza enorme tra noi, fatta di scelte sbagliate e parole non dette. Eppure, in qualche modo, entrambi sappiamo che non è la fine. Non può esserlo.
<<Non so dove andremo da qui>>, dico infine, la voce che tradisce la mia incertezza. <<Ma non voglio perderti, Émélie>>.
Lei mi guarda, gli occhi lucidi, ma non dice nulla. Si limita a sorridere, quel sorriso che una volta conoscevo così bene. Ma ora sembra solo un riflesso di ciò che eravamo. Il futuro è incerto, ma in quel momento c'è una cosa che so con certezza: il legame che ci univa non è finito. Non per davvero.
E così, in quel silenzio, capisco che non importa quanto tempo sia passato, o quanto lontani siamo stati. La nostra storia non è mai veramente finita.

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