Prologo

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Flaminia Paola Rocchetto è una giovane donna di vent'anni, cresciuta nell'eleganza e nel rigore di una famiglia di spicco a Roma. Figlia unica, è nata e ha sempre vissuto in un ambiente caratterizzato dal successo e dall'alto status sociale. Suo padre, avvocato rinomato, rappresenta la terza generazione di giuristi nella loro famiglia, mentre sua madre è un medico apprezzato, particolarmente stimata per la sua dedizione e professionalità. Fin dalla sua infanzia, Flaminia è stata circondata da comodità e privilegi, con aspettative elevate che l'hanno seguita come un'ombra. La famiglia, non volendo nulla di meno della perfezione, l'ha spinta a eccellere in ogni aspetto della sua vita: scuola, amicizie e ogni sua attività dovevano riflettere l'immagine impeccabile della famiglia Rocchetto.

Queste aspettative hanno iniziato a pesare su Flaminia già in tenera età. La pressione per essere la migliore, unita alla continua ricerca di approvazione, ha generato in lei un profondo senso di inadeguatezza. Nonostante i successi, lei si è sempre sentita insicura e perennemente insoddisfatta, quasi mai all'altezza del modello perfetto imposto dalla famiglia. In lei è cresciuto un bisogno ossessivo di perfezione, che da un lato le permetteva di ottenere ottimi risultati a scuola e di primeggiare in quasi tutto ciò che faceva, ma dall'altro rischiava di sopraffarla.

Un giorno, fu sua nonna materna, Paola, a intuire il peso che questa pressione stava esercitando su Flaminia. Nonostante l'ambizione dei genitori, Paola intravide il pericolo di un'esistenza soffocata dalle aspettative, priva di espressione personale. A soli cinque anni, per dare alla nipote un'opportunità di liberarsi da quel giogo mentale, la iscrisse a una scuola di danza classica. Flaminia trovò nella danza non solo un'arte da praticare, ma anche uno spazio personale e un modo di sfogare quella sua ossessione per la perfezione in qualcosa che amava profondamente. La danza diventò il suo rifugio, un mondo in cui poteva esprimersi e migliorare senza sentirsi giudicata.

Tuttavia, questa passione non fu ben vista dai suoi genitori. Convinti che la danza fosse una distrazione da ambizioni ben più alte, cercarono di convincerla ad abbandonarla, temendo che potesse "perdere tempo" con un'attività che ai loro occhi non aveva il valore di una carriera tradizionale e prestigiosa. Ma Paola, determinata a proteggere quel piccolo angolo di libertà che aveva creato per Flaminia, si oppose fermamente. Disse ai genitori che avrebbe continuato a sostenere economicamente la formazione di danza della nipote finché lei lo avesse desiderato.

Flaminia, così, poté continuare a coltivare quella che era diventata una passione autentica e viscerale. La danza divenne il campo in cui sperimentare e mettere alla prova la propria ricerca di perfezione, ma senza il giudizio costante che sentiva nel resto della sua vita. Grazie alla nonna Paola, ebbe la possibilità di sviluppare non solo il talento, ma anche una parte di sé che, altrimenti, sarebbe rimasta in ombra.

Con il passare degli anni, Flaminia divenne un'eccellente ballerina. La danza classica era diventata non solo il suo rifugio, ma la sua stessa ragione di vita, l'unico ambito in cui sentiva di poter respirare e sfuggire alle aspettative schiaccianti della sua famiglia. Dedicava tutto il suo tempo e la sua energia alla danza, trascurando progressivamente la scuola, che ormai considerava una prigione senza senso. Il suo rendimento scolastico iniziò a calare drasticamente; arrivò a prendere voti sempre più bassi, a malapena sufficiente per passare le materie, fino a che, a sedici anni, prese una decisione drastica: abbandonò la scuola.

Questa scelta scatenò una reazione violenta nei suoi genitori. Erano arrabbiati, delusi, incapaci di comprendere le motivazioni della figlia. Si sentivano traditi da quella ragazza che avevano cresciuto con tutte le possibilità e con aspettative tanto alte. Le dissero senza mezzi termini che era una delusione, un fallimento, una "buona a nulla" incapace di dare seguito alle ambizioni familiari. Secondo loro, la danza non era una carriera, era un hobby senza valore che non l'avrebbe mai portata lontano. Ogni giorno in casa diventava una lotta continua; le urla e i litigi sembravano essere l'unica forma di comunicazione tra lei e i genitori.

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