SPRING DANCE

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Francesca

Mi guardai allo specchio, il riflesso che mi fissava con occhi freddi e impassibili. Il volto pallido, incorniciato da capelli scuri come l'inchiostro, sembrava una tela su cui il tempo aveva dipinto cicatrici invisibili. Il vestito, ricamato di fili d'oro e rubini scarlatti, si adagiava su di me come una seconda pelle, una maschera di regalità e potere. Eppure, il mio cuore pulsava in un ritmo inquieto, un tamburo di ansia che non si faceva silenziare. Oggi sarebbe stato il ballo di primavera, l'evento che ogni anno univa le corti degli imperi perduti, un incontro tra monarchi e re, tra nemici e alleati, tra voci sussurrate e tradimenti nascosti.

Sapevo che la mia presenza non sarebbe passata inosservata. Questo ballo sarebbe stato il mio debutto ufficiale, la mia dichiarazione silenziosa a tutto il mondo: io, Francesca, regina dei mari, ero pronta a reclamare il mio posto. Ma il pensiero di trovarmi sotto gli sguardi di chi mi considerava solo un'ombra tra le ombre, un capitano ribelle con un cuore di fuoco e una bocca tagliente come la lama di una spada, mi fece stringere la mascella.

Mi stavo preparando per qualcosa che non era solo una cerimonia, ma una guerra travestita da festa. Ogni sorriso, ogni parola, ogni passo doveva essere calcolato come un movimento sulla scacchiera, ogni scelta un'opportunità per dimostrare che non ero solo la figlia di un uomo che aveva osato sfidare gli dei, ma la donna che avrebbe piegato gli imperi al proprio volere.

Il mio riflesso mi guardava, e il mio sguardo si fermò sul braccialetto doro che avevo stretto al polso. Un monile senza valore, ma che portava un significato più profondo. Era il regalo di mio padre, un ricordo di un tempo che ormai non esisteva più, eppure il suo tocco era indelebile. Mi portava fortuna, mi ricordava chi ero, chi avrei sempre dovuto essere: una regina temuta e rispettata, un'incarnazione del mare stesso.

Jack mi strinse il corsetto con mani esperte, il tessuto stretto che mi avvolgeva come un abbraccio spietato, e un brivido mi percorse la schiena. Sentivo il calore delle sue mani, il tocco deciso e familiare, ma c’era una tensione in quell'istante che non riuscivo a ignorare. La mia pelle si inarcò sotto il suo contatto, il cuore che si gonfiava di emozioni contrastanti.

«Sarai bellissima,» sussurrò, il suo alito caldo contro il mio collo. La sua voce era rotta da una nota di nervosismo, un timbro che tradiva il suo solito coraggio. Io, con lo sguardo perso nello specchio, mi fissavo mentre il riflesso di una regina, sfavillante e letale, si delineava davanti a me. Mi alzai il mento, il volto impassibile, il cuore che batteva a ritmi impazziti.

«Lo so,» risposi, la mia voce una promessa e una sfida, un’ammissione a me stessa e a Jack. Il mio sguardo incrociò il suo nei vetri dello specchio, e i suoi occhi, scuri come il mare di mezzanotte, mi scrutavano con una intensità che quasi mi spaventava. C’era qualcosa di più profondo lì, un silenzioso riconoscimento di quello che entrambi eravamo, di quello che eravamo diventati.

Jack posò un dito delicato sulla mia guancia, costringendomi a voltarmi verso di lui. I suoi occhi brillarono di una determinazione che non avevo mai visto prima, un misto di protezione e desiderio che mi fece tremare.

Siamo partiti ieri da Shambala per avviarci a Hyperboria, il mare e la nebbia come una barriera tra il nostro passato e il futuro incerto che ci attendeva. La nave aveva ondeggiato sotto il nostro peso, le vele squadrate e tese come ali di un corvo, e per ore il rumore del mare aveva cantato una melodia triste, come se stesse piangendo la nostra partenza. Finalmente, il sole era sorto dietro di noi, gettando la sua luce incerta e pallida sull'acqua.

Quando avevamo messo piede a terra, era stato come entrare in un altro mondo. Hyperboria, avvolta in una luce soffusa, si era mostrata con il suo volto più gentile, almeno all'inizio. Il villaggio era piccolo, ricco di case di legno dai tetti spioventi e finestre piccole che sembravano occhi curiosi. Non c'era molta gente in giro e l'aria era fredda, carica di una tensione palpabile, un senso di attesa che pesava come un manto sopra di noi. Nessuno ci aveva accolti, nessuno ci aveva chiesto chi fossimo o cosa volessimo. Per loro eravamo solo ombre, volti sconosciuti tra i mille della loro quotidianità.

Francy- la maledizione dell'imperatrice Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora