42 - JANE

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Subito cerco la macchina di Marc e lo convinco ad accompagnarmi in ospedale.
Mi sento nel panico più totale: Christian è vivo, ma non è detto che lo sarà anche all'arrivo in ospedale.
Potrebbe non accadere, e io allora devo vederlo un'ultima volta.

Il tragitto in auto non dura molto, ma a me sembra che il tempo si sia improvvisamente dilatato.
Continuo a piangere e a ripensare a quanto è successo.
Rivivo l'attimo in cui Christian mi ha spinto via, quello in cui è stato sbalzato in aria... rivedo il suo viso sporco di sangue... e tutto, ogni singolo istante e momento mi ricorda che ho sbagliato tutto con lui.
E che devo dirglielo.
Non posso perderlo senza averglielo detto.
Christian non può lasciarmi così.

Quando arriviamo in ospedale esco frettolosamente dall'auto e raggiungo l'ambulanza.
Arrivano due persone dall'interno della struttura a prendere la barella su cui c'è Christian.

Mi avvicino a lui, ma solo per rendermi conto che ha definitivamente perso conoscenza.
«Come sta?» Domando allarmata ad uno dei due uomini che stanno portando la barella all'interno.
«Deve essere operato immediatamente,» mi risponde.
Lo seguo nell'ospedale, «mi dica quante possibilità ha!»
L'uomo continua a camminare senza voltarsi a guardarmi. Lo fa solo quando orami è vicino ad un ascensore dove ha già infilato la barella.

«È una parente stretta?» Domanda.
Scuoto il capo, ma non rispondo nulla.
«Prenda questo. Avvisi qualcuno,» mi dice allora l'uomo passandomi il cellulare di Christian, che deve aver recuperato dal suo giubbotto.
Lo afferro e poi l'uomo entra in ascensore.
«Io resterò qui ad attendere notizie!» Urlo sperando di essere sentita.

Indietreggio di qualche passo, andando a finire addosso a Marc.
«Ho appena parcheggiato. Come sta?» Mi domanda lui.
Mi viene da piangere. Di nuovo.
«Io... io... non lo so. Deve essere operato...»
Mi sento incredula e impotente.
«Mi hanno dato questo, mi hanno detto di chiamare qualcuno...»
Marc mi abbraccia, «io voglio aspettare qui, Marc, non voglio andare a casa!»
«Va bene, aspetterò con te, Juju.»

Cerchiamo delle sedie per l'attesa, più che altro è Marc a farlo, mentre io mi trascino seguendolo.
Trova un posto più appartato, vicino ad un distributore, e ci sediamo vicini.
Accendo quindi il telefono di Christian ed entro nella rubrica.

Non ho idea di che numero comporre.
Praticamente non conosco nessuno della sua famiglia.
Né nessun amico.
«Magari la mamma,» mi fa notare allora Marc.
Vado alla lettera M e trovo il contatto che mi ha suggerito, quindi faccio partire la chiamata.
Ma la saliva mi si prosciuga al primo squillo.
Sento improvvisamente un nodo in gola e il cuore che sta per uscirmi dal petto.
Come si può dare una simile notizia a qualcuno senza spaventarlo?
Non riesco a farlo...

Quando una voce femminile risponde io non parlo.
Marc mi sfila prontamente il telefono, che si porta vicino un orecchio. Poi si alza e va a parlare più distatane.
Io prendo a sfregarmi nervosamente le mani, mentre fisso l'orologio, cosa che non si rivela affatto una buona mossa: questo sembra essersi fermato.
Le ore, i minuti, persino i secondi sembrano più lenti quando ci si concentra troppo sul loro scorrere.

Marc torna e io non ho il coraggio di domandargli nulla.
«Sta arrivando,» mi informa però lui e io annuisco.
Poi mi alzo e inizio a camminare avanti e indietro nel lungo corridoio in cui siamo, quasi avessi l'intenzione di consumare le suole delle mie scarpe.

Circa mezz'ora dopo arriva una donna alta, bionda, dagli occhi azzurri e il fisico snello.
Ha un viso preoccupato e la pelle paonazza, che mi fa subito intuire che è la madre di Christian.

Le vado incontro, «come sta?» Domanda lei quasi annaspando.
Sento gli occhi riempirsi di lacrime. Non so perché ma intuisco che la madre di Christian sa della mia esistenza.
«Lo stanno operando,» spiego.
«Ma cosa è successo?»
«Beh, Christian mi ha...»
Deglutisco a fatica.
Non riesco a continuare.
Però devo farmi coraggio e rendere onore al suo gesto.
«Lui mi ha salvato la vita.»
Spiego la dinamica dell'incidente, che ascolta anche Marc per la prima volta.

Quando ho terminato mi sento davvero in colpa. Christian è in sala operatoria per colpa mia e chissà sua madre cosa penserà di me.
Lei però mi abbraccia, sorprendendomi.
Prende anche ad accarezzarmi le spalle e la schiena.
«Andrà tutto bene, cara. Non dobbiamo smettere di sperare,» mi dice.
La guardo con aria ancora più meravigliata: come può mantenere la calma?
«Ne ha passate tante. Questo di certo non è il peggio che ha vissuto,» aggiunge quasi come se sapesse di dovermi spiegare di più.

Poi la madre di Christian si presenta e dice di chiamarsi Jane. Non è sorpresa di trovarmi qui e quasi inizio a sospettare che sappia chi sono.
Ci sediamo vicine nella sala d'attesa e lei prende a raccontarmi di Christian da piccolo.
Me lo descrive allo stesso modo in cui io già avevo immaginato di lui, un ragazzino dolce e un po' introverso, ma con un gran cuore.
Sempre circondato di amici, sempre pronto ad aiutare tutti. E sempre curioso ed entusiasta verso la vita.

Mi racconta della sofferenza che ha vissuto quando il padre ha accettato un lavoro all'estero, che ha man mano allontanato la famiglia, fino a quando poi non è arrivata la richiesta di divorzio.
Mi racconta degli studi che ha fatto, dei sogni che ha avuto e di quelli che ha già realizzato.

Mentre Jane parla, in qualche modo sento di essere più vicina a Christian. Realizzo che sono stata così presa dalle mie vicende da essere stata egoista con lui, tanto da aver percepito solo determinati aspetti del suo carattere, quelli di cui avevo più bisogno, che mi servivano per andare avanti e distrarmi dal disastro che stava sconvolgendo la mia vita.

Ma c'è ancora un vecchio sentimento, quello che mi ricorda perché, in fondo  e forse inconsapevolmente, ho sempre tenuto Christian alla larga da me: un ragazzo speciale e buono come lui, merita di conoscere un altro tipo di amore, quello più profondo, vero e puro, che solo l'arrivo di un figlio è in grado di suscitare.

Mi alzo e prendo a camminare nel corridoio, ma pochi istanti dopo arriva un medico.
«Siete qui per Christian Davis?» Domanda.
Jane si mette in piedi, «come sta?»
«L'intervento è riuscito con successo. Abbiamo dovuto asportare un grosso ematoma che si era formato nel cranio, e ha diverse costole e una gamba rotte. Adesso è in rianimazione e dovrà restare qui un bel po' di tempo, ma siamo fiduciosi che si risveglierà presto.»

Subito Jane si volta ad abbracciarmi, poi si volta ancora, «possiamo vederlo?»
«Per pochi minuti, sì. Una sola persona.»
Il dottore va via, quindi io abbraccio ancora Jane e capisco che per me è arrivato il momento di andare via.
«Ti lascio il mio numero di telefono, Jane,» dico prima di congedarmi.

Il tempo, nei giorni successivi, sembra passare ancora più lentamente.
L'ansia dettata dalla consapevolezza che Christian non si è ancora svegliato è tanta e, nonostante io sia in continuo contatto con Jane che mi assicura che le condizioni di Christian sono stazionarie, io non riesco a sentirmi tranquilla.

Il bambino e l'uomo che guidava il furgoncino che ha investito Christian stanno bene, sono stati anche loro in ospedale ma sono stati dimessi il giorno stesso.
La dinamica dell'incidente è ancora da chiarire, a quanto pare l'uomo deve aver perso il controllo del mezzo.

Il mio malumore è aggravato da Brenda e Malcom, che, ignari di tutto, iniziano, ogni pomeriggio, quando è l'ora dei compiti, a domandarmi quando tornerà a farli con loro il maestro di teatro, che a quanto pare ha più carisma e pazienza di me in questo.
Ogni volta che accade avverto una fitta nel petto, non solo ricordando quei momenti, ma anche per l'angoscia che questo potrebbe non accadere più.

E poi c'è Bernie, ovvio che c'è Bernie.
Continua a ronzarmi intorno per assicurarsi che mi ricordi della sua esistenza.
E si trascina sempre dietro Clarissa, che non manca mai di mettersi al centro di ogni discussione o dialogo con il mio ex marito.
Continuo a non sopportare di averli entrambi sempre davanti agli occhi, ma non avverto più alcun tipo di risentimento o rancore quando accade, né verso Bernie, né nei confronti di Clarissa.
Realizzo allora che il mio matrimonio era davvero finito già prima che scoprissi di Clarissa, quando io e Bernie stavamo ancora insieme.

Fractured - quello che non vediDove le storie prendono vita. Scoprilo ora