𝟒𝟒.

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SILVJA'S POV

Il fischio finale rimbomba nello stadio come un tuono.

Il Milan ha vinto.

La Juventus è fuori dalla finale, e il mondo sembra fermarsi per un istante.

Gli occhi di mio fratello Dusan sono fissi sul campo, vuoti, mentre io, seduta al limite della tribuna, stringo i pugni sul bordo della giacca per non lasciarmi andare alle emozioni.

Non dovrei neanche essere qui, non da sola.

Ma non importa.

Penso solo a Francisco.

Lo vedo mentre cammina a testa bassa verso lo spogliatoio, il suo corpo che sembra portare il peso di tutto il mondo, soprattutto per il fatto che non ha potuto giocare.

Ho un nodo in gola, ma mi faccio forza.

Devo stargli vicino.

È tutto quello che posso fare.

Quando arrivo davanti alla porta degli spogliatoi, respiro a fondo.

Mi faccio coraggio e busso piano.

«Francisco? Sono io»

Un silenzio che sembra infinito.

Poi la porta si apre, e il suo viso appare.

I capelli gli cadono sulla fronte, le sopracciglia corrugate in una smorfia che non gli ho mai visto prima.

È arrabbiato, ma c'è qualcosa di più dietro quella rabbia: frustrazione, stanchezza, forse anche delusione.

«Che vuoi, Silvja?» sbotta, senza neanche lasciarmi entrare del tutto
«Volevo solo vedere come stai. So che è una serata difficile e-»
«Difficile?» mi interrompe, e la sua voce si alza
«È un disastro! Un'umiliazione. Non capisci, Silvja! Non puoi capire!»

Faccio un passo indietro, sorpresa dal tono della sua voce.

«Sto solo cercando di aiutarti, Francisco. Sono qui per te»

Lui sbuffa, passandosi una mano sul viso.

«Sempre così. Sempre a cercare di aiutarmi. Ma non capisci che a volte sei pesante? Sempre addosso, sempre a voler sapere come sto, a volermi 'consolare'»

La sua parola colpisce come una frustata.

Pesante.

Mi si stringe il petto.

«Io cerco solo di esserti vicina» dico, con la voce che trema
«E io invece non riesco a respirare!» esplode, alzando le mani come a sottolineare l'ovvietà delle sue parole
«Sei sempre lì, Silvja, sempre a controllare ogni cosa che faccio. È troppo. È... è soffocante»
«Quindi la colpa è mia?» ribatto, cercando di mantenere la calma
«Perché voglio solo che tu stia bene?»

Lui scuote la testa, come se ne avesse abbastanza.

«Non è questo. Ma forse è meglio che ci prendiamo una pausa. Io ho bisogno di spazio, Silvja»

Le sue parole mi gelano.

Una pausa?

È sul serio quello che vuole?

Mi sembra di precipitare nel vuoto, ma stringo i denti.

«Quindi vuoi lasciarmi. Dopo tutto quello che abbiamo passato, vuoi buttare tutto via?»
«Non sto buttando via niente» replica lui, senza guardarmi negli occhi
«Sto solo cercando di aiutare me stesso»

𝐡𝐞𝐚𝐫𝐭𝐥𝐞𝐬𝐬||francisco conceiçãoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora