Capitolo 42

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Kaelen si maledisse per tutta la notte.

Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva lo sguardo di Aria, quella freddezza brutale, quel sorriso tagliente mentre gli diceva di andare a fottersi. E la cosa peggiore? Aveva ragione. Lui era un idiota. Un dannato idiota.

Era stato uno scemo a non parlarle di quello che stava succedendo, ma non gli era sembrata una cosa importante. Aveva dato per scontato che la città magica avrebbe fatto il solito gioco di diffidenza e prudenza, che avrebbero provato a testarla, certo, ma che alla fine avrebbero visto in lei quello che aveva visto lui. Aveva pensato che le cose si sarebbero aggiustate da sole. Stupido, arrogante, cieco.

Perché lei gliel'aveva già detto. Già una volta gli aveva confidato che non voleva essere vista ancora come un mostro.

E lui? Aveva lasciato che la trattassero come un fenomeno da baraccone. L'avevano studiata, continuando a dubitare. Ancora e ancora.

Nella sua assurda ingenuità, aveva creduto che si sarebbero innamorati di lei come era successo a lui. Che avrebbero guardato oltre il pericolo, oltre la minaccia, e avrebbero visto la persona incredibile che Aria voleva diventare.

Ma non era andata così. E lui era stato uno stronzo a non rendersene conto prima.

Era stato dalla parte sbagliata. Lui sapeva chi era Aria, sentiva che, oltre il suo passato, aveva l'anima nobile.

Aveva permesso che la mettessero alla prova, che la scrutassero, che la facessero sentire di nuovo fuori posto. Non aveva alzato la voce quando avrebbe dovuto. Non aveva protetto la persona che, diamine, gli importava più di chiunque altro in quella maledetta città.

E poi era uscita fuori la questione del matrimonio. Del non matrimonio. Qualunque cosa fosse.

Un capolavoro.

Come se non avesse già fatto abbastanza danni, era venuto a galla nel peggior momento possibile. Come aveva reagito Aria? Probabilmente l'aveva presa come la ciliegina sulla torta della serata di merda. Perfetto. Meraviglioso.

Si passò una mano tra i capelli, frustrato.

Chissà cosa pensava di lui, ora. No, in realtà lo sapeva già. Pensava che fosse un bugiardo, un manipolatore, un'altra persona che l'aveva tradita. E la parte peggiore era che, per quanto volesse negarlo, non poteva biasimarla.

Era stato un coglione. Un coglione arrogante che aveva creduto di poter gestire tutto, di poter controllare la situazione senza fare danni. E invece aveva perso la sua fiducia, la sua pazienza, tutto.

Ora doveva trovare un modo per rimediare.

Quella mattina ci sarebbe stata la terza prova del torneo, ma non avrebbe aspettato così a lungo.

Quando giunse un orario decente, si vestì e si diresse a passo svelto verso il dormitorio di Aria.

Voleva che gli urlasse contro, che gli spaccasse la faccia. Tutto, ma non il vuoto piatto di quando si erano incontrati. Tutto, ma non la guardia del Nord, quella figura che aveva impiegato così tanto a smantellare, poco a poco.

Arrivò davanti alla sua porta e bussò. Nulla. Ci provò una seconda, una terza volta, ma ottenne lo stesso risultato.

La scardinò. La stanza era vuota.

Sentì la disperazione insinuarsi nelle ossa. Era un coglione, uno stupido, arrogante, coglione.

Uscì dalla camera e si diresse alla porta di Lysander. Bussò così forte si incrinò sotto le nocche.

Lysander comparve all'istante, in allerta. Ma, quando lo vide, fece un cenno di scherno e si appoggiò al muro con le braccia incrociate.

Kaelen lanciò un'occhiata all'interno della stanza, come se Aria potesse materializzarsi da un momento all'altro. "Dov'è?".

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