Capitolo settimo

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Il concerto era finito da un pezzo. I ragazzi si erano fatti pagare dal proprietario del locale senza tanti complimenti per l'esibizione che io invece avevo ritenuto grandiosa. Erano così euforici che avrebbero voluto offrirmi da bere con i soldi appena guadagnati, ma mi rifiutai categoricamente.
- È stata una delle nostre migliori esibizioni! - esclamò Ashton mentre stipava la sua batteria nel bagaglio dell'auto di Luke. Gli altri risero concordi.
- Avrei ancora la forza di suonare per tutta la notte. - affermò Michael appoggiando la sua custodia con quella di Luke nello spazio che rimaneva nel bagagliaio e lo chiuse. Rimasi accanto a Luke che non aveva ancora detto una parola da quando avevano ricevuto i soldi, sembrava deluso e stanco a differenza degli altri. Gli toccai il braccio e con lo sguardo gli chiesi se stesse bene, lui accennò ad un timido sorriso. Mi aprì lo sportello facendomi accomodare nel posto a fianco a lui alla guida, mentre i ragazzi si arrangiarono da soli nell'accomodarsi dietro insieme alla custodia di Calum. Luke fece partire l'auto e senza fiatare accompagnò i suoi amici alle rispettive case, fino a che non rimanemmo solo noi due davanti alla casa di Michael. Mi girai il cellulare nervosamente, per poi decidermi a scrivere.
"Cosa c'è che non va?" chiesi preoccupata del suo silenzio cupo. Luke si morse il labbro scuotendo la testa.
- Niente di grave. - disse. La sua espressione eppure non diceva "niente di grave". Aspettai che continuasse e fui accontentata. - È solo che mi chiedo se a volte tutto questo ne valga davvero la pena. Veniamo pagati una miseria per suonare in locali scadenti, ed a fine serata tutte le persone a cui ci ritroviamo a suonare sono così tanto sbronze che l'unica parola che si ricordano è il loro nome. -
Quello sfogo di Luke mi sorprese.
"È solo l'inizio." digitai. Gli sorrisi dolcemente. "Forse dovreste cambiare pubblico, qualcuno che vi apprezzi di più, anche se potreste essere pagati anche meno di adesso." azzardai. Non era l'idea che mi era venuta in mente prima, ma poteva essere un'idea per loro.
- Cosa intendi? - chiese Luke confuso.
"Per Sydney ci sono collocati diversi pianoforti vicino ai monumenti o nei parchi, sai. È un modo per diffondere la cultura musicale ed anche artistica nella città, tra la gente. Chiunque può suonare quegli strumenti che sono messi a disposizione di tutti." scrissi. "Potreste provare ad esibirvi per strada, solo per farvi un po' di pubblicità. Potreste fare un cartellone e scrivere il prossimo luogo in cui vi esibirete."
Luke mi guardò inespressivo. - Credi davvero che possa funzionare? Potremmo farci arrestare... -
"Basta che non vi facciate pagare. Fatelo una volta alla settimana."
- Ma gli strumenti... -
"Fate una versione acustica delle vostre canzoni. Fareste un successone lo stesso."
Gli sorrisi, ma lui non ricambiò.

Il giorno dopo Luke non si presentò a scuola e nemmeno il giorno successivo. Dopo che gli avevo scritto il mio indirizzo non ci eravamo parlati più, non mi aveva nemmeno salutata quando ero scesa dall'auto. Dovevo averlo offeso in qualche modo ed io stupida com'ero non avevo nemmeno il numero di telefono di nessuno dei ragazzi. La madre di Luke entrò nell'aula.
Non sapevo cosa aspettarmi, ma oltre ad un fugace senso di delusione che si dipinse sul suo viso quando si accorse che non c'era suo figlio, la professoressa non mostrò altri sentimenti.
Le lezioni finirono abbastanza in fretta, così mi ritrovai ben presto a camminare in compagnia di Ed Sheeran e Taylor Swift per le strade di Sydney. Stavo cercando un lavoro che potessi svolgere per racimolare qualche soldo, ma non ne avevo ancora trovati adatti a me. Era questa la mia idea per aiutare i ragazzi, non volevo che tutti i loro sacrifici fossero vani e volevo aiutarli in qualche modo. Passai davanti ad un ristorante dove c'era un foglio dietro la vetrina che diceva "Cercasi personale". Mi morsi il labbro inferiore staccando la musica e mi feci coraggio. Entrai, il locale a quell'ora era quasi vuoto e un ragazzo stava dietro la cassa con fare annoiato. Quasi si spaventò quando gli schioccai le dita davanti agli occhi.
- Oh, ciao... - disse nervosamente. - Volevo dire salve. Uhm, hai già prenotato un tavolo o... -
Quasi scoppiai a ridere ai suoi gesti goffi. Tirai fuori un taccuino dallo zaino e una penna.
"Sono qui per il lavoro." scrissi. Il ragazzo mi scrutò incuriosito, ma cercai di non apparire a disagio.
- Sei... - disse senza convinzione.
"Muta." Avevo mentito, certo, ma era complicata da raccontare la mia situazione. Lui annuii e sparì dietro una porta. Rimasi lì ad aspettare. Un paio di minuti dopo apparve una donna alta e robusta, che mi squadrò dall'alto al basso.
- Mi hanno detto che sei qui per il lavoro. - disse scontrosa e sospettosa. Annuii. - Sei muta giusto? - chiese. Annuii nuovamente. - Ma ci senti, non devi leggere le labbra. - Di risposta tirai fuori gli auricolari consunti. Lei afferrò e mi fece segno di seguirla. Mi portò davanti ad un lavandino in acciaio. - Non devi parlare per il lavoro che ti offro, quindi riuscirai a sbrigartela anche da sola. Ogni sera mi servi qui, dopo l'orario di chiusura per lavare i piatti. - disse diretta. Era un lavoro che non richiedeva doti speciali, insomma, il lavoro che faceva per me. Annuii. - Ti pagherò alla fine di ogni serata di lavoro e a seconda dei piatti che hai lavato, ok? - Assentii. - Puoi iniziare questa sera? - Annuii. Prima avrei iniziato, prima avrei racimolato soldi.

Words. || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora