Capitolo ottavo

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Mi guardai le mani arrossate. Dopo una settimana avevo racimolato solo trenta dollari, niente di che. Sgattaiolavo fuori ogni notte dalla finestra mentre i miei genitori dormivano e rientravo verso le due di notte. Mi sentivo stanca e le occhiaie erano diventate così scure da diventare difficili da coprire, fortunatamente nessuno faceva domande e di Lucas nemmeno l'ombra.
La professoressa Hemmings non mi rivolgeva lo sguardo, almeno, non più di quanto avrebbe fatto con un qualsiasi studente. Ed anche la campanella della fine delle lezioni era suonata anche per quel giorno. Mi alzai stancamente dal banco e per la terza volta in quella settimana fui l'ultima a lasciare l'aula e la scuola. Era strano vagare per i corridoi semi deserti della scuola.
Uscii dalla porta d'ingresso e mi ritrovai a fissare in lontananza una chioma bionda. Rimasi paralizzata sul posto, con quegli occhi cielo che mi bruciavano la pelle. Cosa avrei dovuto fare ora? Strinsi forte le cinghie dello zaino e mi feci coraggio, che però sparì subito dopo. Luke scosse la testa e salì in auto andandosene. Il respiro mi mancò, ma ricacciai le lacrime indietro.

Quel pomeriggio mi ero tormentata con il continuo ricordo di Luke che se ne andava. Ero davvero esausta, ma mi convinsi che dovevo fare quello sforzo per quei quattro ragazzi. Sgattaiolai fuori dalla finestra ed iniziai a correre per arrivare in tempo al ristorante. Solitamente arrivavo mezz'ora prima che il locale chiudesse, almeno potevo lavare una parte delle stoviglie che si erano accumulate durante la giornata prima della chiusura. Entrai dalla porta posteriore e senza salutare nessuno mi misi subito al lavoro di buona lena. I movimenti che facevo erano diventati meccanici. Mettere il sapone sulla spugnetta, sfregare il piatto, passarlo sotto l'acqua corrente e ripassare nuovamente la spugnetta se il piatto era ancora sporco. Dopo una ventina di minuti la mente vagava pensando a tutto e a niente. Non sentivo quasi più le mani quando i piatti smisero di arrivare e quando non le sentii più del tutto avevo finito di lavare tutti i piatti. Mi asciugai le mani con uno strofinaccio. Mi sforzai di tenere gli occhi aperti mentre asciugavo i piatti, non potevo permettermi di romperne uno. Poi un'ombra mi avvolse.
- Sydney? Sei davvero tu? - Mi voltai di scatto ritrovandomi davanti degli occhi di ghiaccio. Michael mi sorrise radioso. - Lo sapevo che non mi ero sbagliato! - esultò. Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto. Appoggiai con la mano tremante il piatto che avevo in mano sulla pila di quelli già asciutti. Mi inumidii le labbra secche, mentre ancora cercavo di metabolizzare il fatto che Michael fosse davanti a me. Presi la lavagnetta che serviva per le ordinazioni e mi morsi il labbro mentre scrivevo.
"Cosa ci fai qui?"
Michael rise sommessamente grattandosi la nuca. - Siamo venuti qui a mangiare. I ragazzi sono qua fuori, ero sicuro che fossi tu quella che era passata davanti alla vetrina. -
Non riuscii a ricambiare il suo sorriso. Il ricordo di Luke che se ne andava era così vivido nella mia mente da farmi sentire quasi male. Mi morsi ancora di più il labbro fino a farmi male.
"Come sei entrato?"
- Sono semplicemente sgattaiolato qui dentro. - rispose, poi si guardò attorno come se si fosse appena reso conto di dove si trovasse e si corrucciò. - Lavori? -
"Già. Devo finire qui e poi torno a casa."
Mike annuì. - Ti posso aiutare? -
La sua proposta era allettante e la stanchezza si stava facendo sentire molto, ma scossi la testa. "No grazie, me la posso cavare da sola. Credo tu invece debba tornare dai ragazzi, saranno in pensiero per te ora."
Michael fece una smorfia. - I ragazzi sarebbero felici se fossi rapito da dei pinguini. -
Non feci domande riguardo ai pinguini. "Davvero, Michael. Me la cavo da sola qui."
Poi mi ricordai del motivo per cui ero lì e mi sentii quasi una stupida. E se i ragazzi non avessero accettato il mio aiuto? Se si fossero offesi mortalmente?
Appoggiai la lavagnetta e iniziai a frugare nel mio zaino. Tirai fuori i soldi che avevo guadagnato fino a quel momento e li porsi a Michael che mi guardava confuso. Glieli ficcai in mano.
- Sydney? - chiese.
"Sono per voi."
- Come? - Poi sembrò capire. A mia sorpresa si mise a ridere. - Come ti è venuto in mente, Sydney? Ti abbiamo raccontato i nostro problemi perché ci era sembrato che li capissi, ma non pensavo che avessi pensato di fare qualcosa di... materiale per aiutarci. -
"Voglio aiutarvi, non voglio niente in cambio."
Michael sembrò indeciso.
"Pensala come il costo della lezione che mi ha fatto Ashton."
- Allora credo debba darglieli tu a lui. - disse ragionevolmente. Gli indicai le due pile di piatti che dovevo ancora asciugare. - Potresti sempre darglieli un'altra volta. - Mi morsi l'interno della guancia sentendo il gusto ferroso del sangue in bocca. - Luke ha detto che sei stata impegnata tutta la settimana e non sei potuta venire a vederci, era per questo? -
Mi salii un nodo alla gola. Non dovevo prenderla, in fondo anche se non poteva immaginarlo aveva ragione Luke, nonostante avesse inventato quella scusa solo per tenere a bada i ragazzi. Mi limitai ad annuire.
"Ora penso proprio che tu debba andare Michael."
- Ci rivedremo vero? - chiese accigliandosi. Piegai leggermente la testa volgendogli il sorriso più falso che avevo mai fatto, sentendomi subito in colpa.
"Certamente. Cercherò di venire ad uno dei vostri prossimi spettacoli, ok?"
- Ok, allora io ora vado. - mormorò ancora non del tutto convinto. Torturai ancora la ferita all'interno della bocca, per poi sfiorare il braccio di Michael. Lui si voltò di scatto. - Sì? -
"Potresti non dire ai ragazzi che mi hai vista? Per favore."

Words. || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora