Tears

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Cady si sedette sul bordo del divanetto, rigida fino al midollo.

Non sapeva come comportarsi. Come ci si comporta quando si va da uno psicologo?

Guardò le pareti color crema e il divano nero. La moquette, visibilmente nuova, era rosso scuro e i mobili di taglio antico brillavano. Si vedeva che questo era un fanatico della pulizia.

- Allora... Com'è andata oggi? - cominciò Tomphson.

- Signor Tomphson, con il dovuto rispetto... Non credo che sarei qui se oggi fosse stata una bella giornata. Lei che ne pensa?

Tomphson rimase interdetto.

- Chiamami Louis, per favore. E dammi del tu. - le sorrise.

Cady mantenne la più assoluta serietà. Si sentiva scocciata.

- Questo è tutto quello che ha da dire? Le ho appena detto...

- Ho detto che puoi darmi del tu. - la interruppe Tomphson.

- Io preferisco darle del lei, Tomphson. - ribatté Cady.

Tomphson sbuffò. Questa ragazza sarebbe stata difficile da gestire.

- Voglio aiutarti, Cady. Di solito le persone si sentono più a loro agio quando mi danno del tu.

- Mantengo il lei. - s'impuntò la ragazza.

- Possiamo parlare della tua giornata? Oppure vuoi discutere di questo in eterno?

- Okay... Ehm...

Cady pensò a come raccontargli la sua giornata.

- Tagliamo corto: dimmi perché questa giornata non è stata come avresti voluto che fosse. Sia perchè non ho tempo, avendo finito l'orario di lavoro, sia perché non mi interessa quante volte ti sei sistemata il trucco oggi.

- Io non ho bisogno di sistemare il trucco! È sempre perfetto. - replicò Cady altezzosa.

- Certo. Vai avanti ora. - rispose Tomphson con tono piatto.

- Al ballo della scuola sono svenuta, perciò oggi sono dovuta andare a farmi visitare dal dottor Styles. Sapevo già di avere la pressione bassa e so perfettamente che la mia alimentazione potrebbe essere migliore, ma ciò che mi ha sorpresa è stato che lo stress o i problemi psicologici che potrei avere riuscirebbero a influenzare questo mio problema. Ecco perché Styles mi ha mandata qui da lei. - spiegò Cady.

Tomphson ascoltò senza interromperla.

Dopo qualche attimo di silenzio imbarazzante, le chiese che cosa avrebbe voluto di diverso nella sua vita.

- Mia sorella avrebbe saputo calmarmi. Lei sa sempre cosa fare, come parlarmi nel modo e nel momento giusto. Mi conosce abbastanza bene da potermi aiutare.

- Aiutarti... In cosa?

- In tutto. Soprattutto con i ragazzi. Lei è una che sa tutto su questo argomento e mi dà i consigli giusti ogni volta. - ammise Cady.

Rivolse un triste pensiero alla sorella. Chissà quando l'avrebbe rivista.

- Quindi vorresti che tua sorella fosse più vicina. Che altro?

Cady rifletté su suo padre e il loro rapporto... Praticamente inesistente. Ma non disse nulla al riguardo.

- Nient'altro. La mia vita va benissimo. - mentì.

- Sono convinto che tu nasconda tante cose, Cady. E mi piacerebbe scoprirle, ma per oggi credo sia abbastanza. Inoltre si è fatto tardi.

Tomphson le lasciò appuntamento due giorni dopo, nel primo pomeriggio.

Lui salì sulla sua auto, una elegantissima Aston Martin nera, mentre lei rimase appoggiata al muro del palazzo.

C'erano così tante cose che avrebbe potuto confidargli di sé... Ma lei non era il tipo da dare informazioni dettagliate a chiunque. In realtà, non le dava a nessuno.

Sapere che tutti la vedevano con facce illuminate dalla conoscenza e facce buie di ignoranza la faceva sentire protetta. Persino sua sorella non conosceva tutte quante le facce, ed era la persona a cui era più legata.

Il suo sguardo si perse nel cielo percorso da nuvole scure.

L'oscurità non è del tutto negativa, pensò.

Nessuno era costretto a occultare lati di sé, era una scelta libera e consapevole, il che implicava qualcosa di positivo visto dai propri occhi.

Cady si era sempre preposta l'obiettivo di scoprire cosa l'attraesse al buio e cosa alla luce.

Forse Tomphson poteva aiutarla davvero a rispondere alle sue domande.

La mia vita non va benissimo.

- Perché?

Cady sussultò alla vista di Seth.

- Che cosa?

- Perché la tua vita non va benissimo?

L'aveva detto ad alta voce. Si morse il labbro per punirsi della negligenza.

- Potrebbe andare meglio. A te cosa importa? - rispose, protetta dallo scudo di autodifesa linguistica a base di scorza acida.

- Va bene, cambiamo domanda: perché piangi?

Cady odiava quella domanda.

Non si era resa conto di piangere, come non si era resa conto fino ad allora della voglia impellente che aveva di parlare con qualcuno.

Non l'aveva mai desiderato.

Tuttavia non avrebbe parlato di sé così, di punto in bianco. Non era da lei cominciare a parlare di sé stessa e dei propri problemi... Pensava che potessero annoiare gli altri, come lei si annoiava ad ascoltare quelli degli altri.

Per certi versi era questo il motivo per cui anche con sua madre era difficile stabilire un rapporto amorevole: sua madre aveva un costante bisogno di attenzioni partecipi. Voleva che l'interlocutore l'ascoltasse, le facesse domande e ogni tanto commentasse. Cady si annoiava a farlo, perciò aveva lasciato il compito alla sorella.

Il padre di Cady era diverso. Non aveva bisogno di attenzioni, a dire il vero non parlava molto. Aveva pochi amici con cui discuteva delle partite di calcio, baseball e pallacanestro e si limitava a guardare tutti con occhi seri.

A Cady non piaceva molto nemmeno questo atteggiamento. Fare l'asociale era sicuramente qualcosa che voleva evitare.

- Non ti devo alcuna spiegazione.

***

- Amore, com'è andata dal dottore? - chiese la signora Wharton.

Cady la fissò, sperando che gli occhi potessero evitarle un lungo discorso.

Sua madre le porse una tazza di tè e tre biscotti.

- Non ho fame mamma.

- Mangia.

Ordinò lei.

Cady sbuffò.

Osservò l'arida pastafrolla impregnata di denso cioccolato.

Prese i biscotti in una mano e uno ad uno li lasciò cadere per terra.

Schiacciò il cibo con le scarpe e se ne andò, con la mente libera da ogni pensiero.

Cady (Teen Wolf)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora