28|anime divise

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"Dimmi che lo farai anche tu" , aveva detto Adam qualche sera prima spiazzandomi.
Non ero riuscita a dargli una risposta.
Avevo semplicemente indugiato più del dovuto nel suo sguardo, poi ero corsa via, lasciandolo senza dire una parola.
Quelle notti le avevo passate tra il sonno e la veglia, domandandomi ripetutamente se, quella di lasciarlo andare via fosse stata  realmente la decisione giusta, e in alternanza mi ero risposta di sì e poi di no.

Si. Non avrei sopportato abbandoni continui e relazioni a distanza, mio padre l'aveva fatto con mia madre per tanto tempo ed il loro matrimonio era andato in frantumi.
Si. Il mio posto era a Cleveland. Dovevo finire l'università e trovarmi un lavoro per essere completamente indipendente. Adam sarebbe rimasto qui, tra missioni e licenze ci saremmo visti una, al massimo due volte al mese.
La passione si sarebbe affievolita per poi spegnersi del tutto.

No, era stato uno sbaglio.
Da quando l'ho lasciato andare via, nel mio petto c'è solo posto per il vuoto e per il dolore.
Le giornate sembrano scorrere lente, e gli occhi rimirano tutto con velata tristezza.
Essere consapevole di amare qualcuno che ti ama, ma di non poterlo vivere ogni giorno è struggente, ma ciò che spezza ancora di più la mia anima, è la consapevolezza di rinunciare ad un amore così grande per dare ascolto alle paure che mi perseguitano.

Cerco di infilare le mie cose in valigia, facendo palline di pantaloni, maglioni e camicie, non mi importa minimamente che le mie cose si stropicceranno, sembra non mi importi più di nulla in realtà.
Mio padre non è felice della mia decisione di ritornare a Cleveland, per lo meno, non è d'accordo che lo faccia così in fretta, ma pare essersi già rassegnato alla mia decisione, gettandosi a capofitto nel lavoro e nei preparativi che la nuova missione in Syria richiedeva. Già. Proprio quella missione, pensai gettandomi di peso sulla valigia nel vano tentativo di chiudere dentro tutta la negatività che mi circondava da giorni.

ADAM

Mi aveva voltato le spalle ed era andata via, guardandomi, ma senza dire una parola.
Eppure quei suoi occhi avevano tante cose da dirmi. Ero riuscito a leggervi dentro.

Ho passato gli ultimi due giorni incazzato e maledettamente triste.
In vita mia non mi ero mai legato a qualcuno così intensamente come con lei, la sua assenza si stava dimostrando capace di mettere al tappeto anche una macchina da guerra come me.

Negli addestramenti preparatori alla missione degli ultimi due giorni, mi sono comportato come un folle, ho tirato pugni ai sacchi così forti, da spaccarmi le nocche delle mani, e quel dolore fisico mi piaceva.
Quel dolore fisico ero addestrato a sopportarlo, non mi spaventavano le ferite e le cicatrici, ma il dolore del cuore e dell'anima, beh quelli, non ero pronto ad affrontarli, e non sapevo bene come guarirne.

La sveglia mi riportò velocemente alla realtà, tra un ora sarei partito per la missione, nessun bacio di arrivederci, nessun abbraccio rassicurante, non mi stavo lasciando proprio niente alla spalle, non sarei mancato a nessuno.
Per un istante mi ero concesso all'idea che, questa volta, il destino stesse giocando per me una buona partita da cui ne sarei uscito certamente vincitore, ma la realtà mostrava il contrario, il destino ancora una volta si era preso beffa di ciò che volevo io.

Fatta la doccia e preparato le ultimissime cose per la partenza ero pronto per andare via, mi ero trovato nella piazza centrale sotto l'asta della bandiera americana che sventolava ritmicamente gonfia e fiera.
Con un piede su uno scalino dell'autobus, e uno ancora poggiato a terra, mi guardavo intorno speranzoso di incrociare quei due meravigliosi occhi nocciola che tanto amavo, ma che, con grande delusione non trovai.
Lei non era venuta a fermarmi.
Lei non mi amava come la amavo io se stava rinunciando a darci una possibilità.
Questa nuova consapevolezza mi fece portare su anche l'altro piede e andai a sedermi in fondo da solo, dove ultimamente mi sentivo di stare a mio agio.

CAMILA

Le mie amiche avevano fatto i salti di gioia non appena gli dissi che sarei tornata a Cleveland.
Mi mancavano da morire.
Si erano offerte di venirmi a prendere alla stazione e di portarmi a casa loro per recuperare un po' di tempo insieme.
In questi mesi in mia assenza, avevano preso un monolocale vicino al campus per ammortizzare le spese dei trasporti, ed i ritardi costanti di Paige. Adesso quindi, abitavamo a mezz'ora di macchina e probabilmente le nostre abitudini sarebbero cambiate.
Per quanto mi sarebbe piaciuto unirmi a loro in questa nuova avventura, non potevo lasciare la casa in cui abitavo con la mamma.
La mamma. Sarei andata a trovarla non appena  sarei arrivata a Cleveland.
La porta di casa si spalancò furiosa e incontrai lo sguardo cupo di mio padre
" è così, te ne vai"
"Si papà, il semestre all'università inizia tra una settimana, e devo ancora sistemare alcune cose prima che partano i corsi"
Speravo veramente di non aver fatto trapelare la tristezza che avevo dentro dal tono della mia voce. Se mio padre era venuto a salutarmi significava che il pullman non era ancora partito e che Adam era ancora a due passi da me. Questa nuova consapevolezza mi ha smosso qualcosa dentro, il cuore prese a battermi all'impazzata.
Ero stata una codarda a pensare di poter rinunciare alle emozioni che quell'uomo mi regalava.

"Devo andare, passo a prendere la valigia tra un po', mancano ancora un paio di ore prima di andare via"
"Ma dove vai così di corsa Cam?"
"Ho dimenticato una cosa importante" gli sorrisi e iniziai a correre più veloce che potevo .

Avevo dimenticato di dare una risposta .

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