Capitolo 2 - Spettro

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«E quella dove l'hai presa? L'hai comprata in questi giorni?» chiede mia madre mentre si aggira per la cucina alla ricerca di qualcosa. È una donna sulla cinquantina, ma porta bene gli anni che ha: i lunghi capelli castani, il viso delicato e il fisico slanciato le conferiscono un aspetto più giovane di quello che ci si aspetterebbe conoscendo la sua età. Molti dicono che le somiglio, ma a parte il colore dei capelli e la costituzione non ho mai trovato particolari similitudini. Il sorriso, forse.

«Eh? No, l'ho trovata» rispondo, capendo che si riferisce alla gemma verde che porto al collo. È da quando mi sono svegliato che fa domande sull'ultima settimana, strano che l'abbia notata solo adesso. Vedendo che continua a girare per la cucina, indico una borsa nera poggiata sopra una sedia, quasi nascosta sotto il tavolo.

«È molto bella» commenta mentre la afferra. Per un attimo mi viene in mente di spiegarle come ho avuto la pietra, ma ci ripenso subito.

"Sai, l'ho presa da un piedistallo in cima ad una montagna in un sogno e me la sono ritrovata addosso completamente a caso".

È ridicolo. So che lo penserebbe, lei come chiunque altro, e come darle torto? Fatto sta che è andata proprio così, ma devo trovare un modo migliore per spiegarglielo, deve suonare meno stupido.

«Beh, io ora vado. Ci vediamo oggi pomeriggio» mi saluta mentre si avvicina per darmi un bacio.

«Ciao, mamma» rispondo mentre attraversa la porta. Mi alzo dal tavolo e do un'occhiata all'orologio a parete di fronte a me. Dovrei sbrigarmi a uscire anche io.

Vado in bagno e mi do una lavata veloce cercando di non fare rumore per non svegliare mio padre: non lavora, oggi, e penso che dormirà fino a tardi. È solo il primo giorno in cui sono costretto a svegliarmi presto e già lo invidio, dato che anche quando lavora dorme più di me.

Finito di lavarmi, vado in camera e infilo dei jeans, un paio di scarpe e la prima t-shirt che mi capita sotto tiro, poi prendo uno zaino dall'armadio e ci infilo dentro un paio di quaderni e una penna. Non penso che me ne farò molto, è solo il primo giorno, ma non si sa mai.

Appena esco di casa vengo investito da una brezza fresca che soffia nel cortile. Il cielo sopra di me è di un azzurro piuttosto tenue, ma non si vedono nuvole da nessuna parte. Fantastico, tra un paio d'ore ci sarà da soffocare per il caldo!

Percorro la salita che mi porta al cancello del cortile e lo scavalco prima di dirigermi a destra, passando davanti all'ingresso principale della mia casa: un piccolo giardino attraversato da una stradina in pietra precede il portone in legno scuro, che contrasta tantissimo con la facciata leggermente rosata e con il rosso delle tegole del tetto. Nel giro di pochi minuti arrivo nei pressi della Western Uxton High School, la scuola che frequento; ce ne sono cinque in tutto, ad Uxton, quattro corrispondenti ai punti cardinali più una al centro della città.

Già da qui vedo distintamente l'ampio cortile frontale con la scalinata che conduce alle porte in vetro dell'ingresso, sovrastate da una grande scritta che riporta il nome della scuola sulle pareti in mattoni rossi. Una grande quantità di ragazzi affolla già la zona quando arrivo, ma individuo subito Matt nel nostro solito punto di ritrovo, ai piedi della scalinata, insieme ad un altro del nostro anno. Appena mi vede, si alza e mi viene incontro con le braccia spalancate.

«Raggionero! Quanto tempo!» esclama.

«Ciao, Matt» sorrido salutandolo con un cinque. Poi, tenendo la mano sollevata, mi rivolgo al ragazzo dietro di lui, poggiato alla ringhiera, un ragazzo piuttosto alto e magro che spicca tra la folla per la maglietta che indossa, di un rosso acceso oltre l'immaginabile, con i capelli biondi corti e un grande paio di occhiali da vista che fanno apparire enormi i suoi occhi neri: «Ehilà, Chris!».

Il Sogno di ArdarionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora