Capitolo 14 - Fuori di casa

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Un leggero arpeggio di chitarra si diffonde nella stanza, attirando la mia attenzione verso il cellulare, poggiato sulla scrivania: aiutandomi con le braccia, mi alzo dalla posizione rannicchiata in cui mi trovavo e mi avvicino lentamente per spegnerlo, cercando di ignorare il dolore sordo alla testa con cui ormai convivo da parecchi giorni. Mentre faccio scorrere il pollice sul display per bloccare la sveglia, un mugugno alle mie spalle mi distrae: mi volto, e un sorriso compare spontaneamente sulle mie labbra quando vedo Liz che si rigira tra le coperte del letto. Convincerla a dormire lì è stata un'impresa, dato che non voleva che io stessi per terra, ma alla fine ce l'ho fatta: un paio d'ore dopo essere arrivata qui, è crollata come un sasso, mentre io ho passato la maggior parte del tempo seduto sul pavimento a sonnecchiare, senza mai addormentarmi.

Dopo aver poggiato il cellulare, attraverso lentamente la stanza illuminata dalla luce soffusa dello schermo del PC, che è rimasto acceso tutta la notte, e mi avvicino a Liz: se vuole davvero che vada a scuola con lei, è ora che si svegli.

«Ehi, Liz» sussurro dopo essermi inchinato accanto al letto. Non ricevendo nessuna risposta, le poggio una mano sulla spalla e la chiamo ancora, un po' più forte; questa volta, qualcosa succede: il suo viso si contrae in una smorfia infastidita e la sua mano destra si solleva lentamente verso il mio volto; la scuote debolmente, come se cercasse di scacciare una mosca, facendo tintinnare rumorosamente i numerosi bracciali che porta al polso, prima di riabbassarla.

«Dai, Liz, ti devi alzare» ridacchio, scuotendola leggermente.

«Blake...?» biascica lei, confusa, socchiudendo gli occhi.

«Già. Scusa se ti ho svegliata, ma ci tenevi così tanto ad andare a scuola!» le dico con un sorriso sarcastico.

«Ah, sì...la scuola. Che ore sono?» domanda Liz, puntando le braccia in un buffo tentativo di mettersi a sedere.

«Le sette e mezza passate, dovremmo muoverci» rispondo, alzandomi e dirigendomi verso la saracinesca del garage.

«Sì...sì, solo un momento» annuisce lei. Subito dopo, apro entrambi gli sportelli metallici che fungono da finestre, facendo entrare un soffio di aria fredda insieme alla luce grigiastra ma intensa del sole coperto da un sottile strato di nuvole.

«No, la luce no! Pazzo!» si lamenta Liz, voltandosi di scatto e affondando il viso nel cuscino.

«Dai, che vuoi che sia?» ridacchio, avvicinandomi nuovamente a lei e dandole un colpetto sulla nuca.

«Ti odio!» esclama lei. La voce è parecchio attutita dal cuscino, ma si sente chiaramente che sta ridendo; in realtà, ho il sospetto che sia in parte seria: voglio dire, probabilmente al suo posto mi odierei anche io.

«Beh, già che hai deciso di seppellirti nel cuscino...dovresti farmi il favore di restarci ancora per un po': devo cambiarmi» le dico, ignorando volutamente la sua risposta per provocarla. A causa del cuscino non riesco a capire la sua risposta, ma il dito medio che mi rivolge è abbastanza eloquente.

«Grazie» faccio spallucce, aprendo l'armadio e afferrando dei vestiti in maniera abbastanza casuale. Quando mi ritrovo in possesso di un paio di jeans, una t-shirt e una felpa, tolgo il pigiama e mi cambio nel giro di un paio di minuti, durante i quali Liz inizia ad alzare lo sguardo per abituarlo alla luce, facendo però attenzione a non girarsi nella mia direzione.

«Hai dormito bene?» le chiedo mentre infilo la felpa.

«Sì, poco ma bene» risponde lei, riparandosi gli occhi con un braccio mentre si mette a sedere.

«Già, mi hai dato quell'impressione per tutto il tempo» ridacchio, allontanandomi dall'armadio e mettendomi di fronte a lei per farle un po' di ombra.

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