STORIE

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NOVANTASETTESIMA STORIA-Nel nostro paese gira una leggenda, la notte di ogni 9 del mese si risveglia un essere a noi estraneo che si ciba di bambini, per questo ogni mese, in quel determinato giorno ci barrichiamo in casa ad attendere l'alba, ora in cui scompare chissà dove. Quel pomeriggio dell' 8 ottobre io e i miei amici andammo come di consueto nella boscaglia per completare la nostra capanna. Come luogo non era granché, siccome si trovava vicino ad una vecchia casa diroccata che metteva i brividi solo a guardarla, casa che pensavamo fosse abitata dal "Dottore", così chiamavamo il mostro, siccome gira con una maschera medievale da dottore. Quel pomeriggio riuscimmo a completare la capanna, ma ormai si era fatto tardi, si stava facendo buio era meglio tornare. Il bosco di sera cambia completamente aspetto, i sentieri si confondono con le ombre, e ogni rumore può essere chissà cosa. Non badammo all'orario, ma ormai stavamo girando per ore, così per non stare allo scoperto ci andammo nella nostra rudimentale capanna. Alle 00:00, indicate dal suono delle campane in lontananza, la porta della casa si aprì, e il "dottore" uscì, e non badando a noi si diresse in paese. Approfittando della sua mancanza entrammo in casa sua. Era completamente vuota se non per delle foto sparse appese su un vecchio muro, che ritraevano noi, noi intenti a costruire la capanna, noi dispersi nel bosco, noi nascosti nella capanna. Era come se ci stesse tebendo d'occhio da sempre. Le foto apparivano una ad una quasi per magia, come se dopo essere state scattate il rullino le proiettasse qui. Un'ultima foto, noi di spalle a guardare le foto.... Ho paura a girarmi.  

NOVANTOTTESIMA STORIA-Eravamo la coppia perfetta, quella invidiata da tutti, nessun litigio, nessun tradimento, fino a che non tornò il suo ex dall'università. Lo avevo notato, lei non era più la stessa, si comportava in maniera diversa dal solito, e mi lasciava la mano ogni volta che lo incontravamo per strada.  Le chiesi spiegazioni, ma nulla, non volle parlarmi. Uscivamo sempre di meno, ci si vedeva di rado, leggeva i miei messaggi e non rispondeva. Cosi cominciai io a trascurarla, a non risponderle e ad evitarla, la gelosia si faceva sentire.  Un pomeriggio, ero uscito con i miei amici per una passeggiata in centro, e la vidi, mano nella mano con il suo ex. Era finita, basta, i miei amici mi stavano vicini per affrontare insieme il momento. Quel pomeriggio mi vide pure lei, ma era troppo tardi, me ne stavo già andando. Appena arrivato a casa mi trovai un suo messaggio: "Hei, come va?", quel messaggio mi fece solo infuriare a tal punto da togliermi la vita. Lasciai un solo messaggio a casa, una lettera: "Troppo perfetti per stare assieme, troppi segreti per stare lontani, hai voluto nascondermi tutto, ma da quassù non potrai più mentirmi".  

NOVANTANOVESIMA STORIA-Vuoto. Neppure una lattuga marcia, una lattina di birra aperta, una mela col verme. Maledizione! Da quant'è che non esco?

Lo stomaco brontola.
Ho fame. Sbatto la porta del frigo. Apro gli sportelli dei pensili. Niente.
Gironzolo per le stanze buie. C'è tanfo di chiuso. Sono mesi che non apro le finestre. La corrente l'hanno staccata il mese scorso. Ed ora ci sono troppe ombre in questa casa e il fetore della carne guasta. Un tormento.
Non dovevo lasciare le provviste di sotto. Che stupido! Perché ho messo la porta blindata alla cantina?
Sono un esiliato. Nessuno viene a trovarmi. Si sono dimenticati di me da quando lei se n'è andata. Egoisti. Non si abbandona a se stesso un povero vecchio.
Dove ho lasciato le chiavi? Sono settimane che le cerco. Mi fa rabbia pensare alla roba che marcisce in cantina.
Ho fame.
Devo distrarmi. Penso a Cristiana, al suo sguardo sorpreso.
"Che vuoi fare con quel cuscino?"
E' giù adesso, con gli altri. Il postino, il rappresentante di libri e quel tipo cocciuto che, a forza, voleva leggermi la Bibbia.
Sono tutti di sotto e stanno marcendo, mentre io sto crepando di fame.
Il campanello! Il cuore esulta. Non riesco a crederci. Hanno bussato. Qualcuno mi cerca...
Corro, anzi no, mi precipito. Spalanco la porta. Sono esterrefatto. Non mi aspettavo di essere così fortunato.
-Dolcetto o scherzetto?
Tre adorabili vampiri coi sorrisi a fossette. Guance morbide e bocche di prelibata ciliegia.
Mi guardano. Sanno ancora intrigare i miei occhi di larva. Neri nel pallore della faccia.
Sorrido scoprendo appena i denti aguzzi. Ho già l'acquolina in bocca. La casa è un intrigante sussurro di ombre. Ho fatto bene a mettere la zucca sul davanzale. Un richiamo perfetto.
"Finalmente si mangia".  

CENTESIMA STORIA-"Bevi questo. Ti sentirai meglio"

La donna si avvicina al letto, reggendo una tazza di the caldo. Il bambino scosta le coperte, solleva il cuscino e si siede.
"Resti con me, mamma? Almeno stanotte."
"Vedremo. Intanto bevi, e cerca di tranquillizzarti."
"Non voglio stare da solo..."
"Dai, che si raffredda."
Il bambino stringe la tazza fra le mani. La donna va alla finestra, chiude le tende.
"Non ne voglio più."
"Dammi la tazza, la porto via."
"Tieni."
"Ma stai tremando ancora?"
"Ho... ho paura, mi sembra di sentirli anche adesso."
La donna appoggia la tazza sul comodino. Accarezza il viso del figlio.
"Non c'è niente, hai capito? Ti sei immaginato tutto."
"Non è vero. Io li ho visti, ne sono sicuro!"
"Ascolta, in soffitta ci sono solo vecchi mobili impolverati, scatole e tante ragnatele. Le ombre creano strane figure, a volte."
"No, mamma, c'era qualcosa! Quando sono arrivato in cima alle scale ho sentito dei rumori."
"Che tipo di rumori?"
"Come... non so, come dei respiri. Come delle persone che respiravano forte."
"Ma è assurdo."
"Non vedevo niente, perché era troppo buio, poi ho alzato gli occhi..."
Il bambino si guarda attorno terrorizzato, solleva le coperte fino al mento.
"... ed erano là, sul soffitto."
"Sul soffitto?"
"Sì! Strisciavano sul soffitto... delle cose nere, che si muovevano sopra la mia testa. E quel rumore continuava, tutti quei respiri!"
Per un lungo istante la stanza rimane sospesa in un silenzio ovattato.
La donna afferra la tazza di the, bacia il figlio sulla fronte.
"Ti prometto che ora vado a controllare, va bene?"
"Sì."
"Tu, però, promettimi di non salire mai più in soffitta, soprattutto senza una lampada. E' pericoloso, potresti farti male."
"Sì, mamma. E..."
"E ?"
"Mi lasci la luce accesa?"
"Va bene."
La donna esce dalla stanza. Attraversa un corridoio immerso nell'ombra. Entra in cucina, appoggia la tazza nel lavello.
Si dirige verso un secondo corridoio. Si ferma di fronte ad una porta. Infila una chiave nella toppa, la gira due volte, apre la porta.
Un rampa di scale.
Inizia a salire lentamente, appoggiandosi ad un vecchio corrimano di metallo. Giunge in cima. Osserva in silenzio le travi umide della soffitta, le ombre ammassate negli angoli più bui, inspira il familiare odore di muffa e polvere. La luce dei lampioni in strada filtra attraverso due piccole finestre.
Ad un tratto un rumore. Qualcosa rotola sul pavimento, in un punto imprecisato del solaio. La donna sobbalza, indietreggia verso la scala. Poi, sopra di lei, il soffitto prende vita.
Ombre che si muovono lungo le travi, come enormi ragni deformi.
La donna sorride.
"Ah, siete voi... mi avete spaventata..."
Chiude gli occhi.
"I miei bambini..." sussurra.
Rimane ad ascoltare quel suono familiare.
Quei respiri caldi e rassicuranti che conosce bene.

M.

Bene ragazzi, se le mie storie vi sono piaciute e volete che continui a raccontare altre storie scrivetemi nei commenti:)  

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