Capitolo 10

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[Pov's Sofia]

Mi aveva trattato da bambina, da una che non sapesse fare assolutamente nulla, una poppante in pratica e tutto il suo bell'aspetto da ragazzo meraviglioso si era trasformato ai miei occhi in un adulto tarpato dalla regole della nostra società.
Era decisamente insopportabile!
Credevo fosse diverso, credevo di averlo trovato, che fosse tutto ciò che avessi sognato e molto di più e che con la musica avrei potuto trovare la mia strada che adesso sto perdendo, come ho perso lui.

Come ho potuto pensare che un ragazzo così grande si interessasse a una come me?
Per lui ero solo una bambina.
Una bambina che doveva essere controllata, che si metteva a fare i capricci, che faceva sciocchezze solo per farsi notare.
Ma per chi mi aveva preso?
Un'idiota ecco per chi.

Alan era ancora attaccato al suo telefono a parlare col suo amico, un tipo di nome Enric Costoçov, per richiedere un passaggio per me. Aveva così tanta briga di mandarmi al college, mi sentivo quasi rifiutata, per un momento avevo creduto che ci sarebbe stata un'opportunità, ma adesso non ne ero sicura, non ero più sicura di chi fosse lui. 

Finalmente concluse la discussione e chiuse il telefono.
Mi guardò attentamente.
Dovevo avere qualcosa in faccia, forse ero così delusa di lui e del suo comportamento che non sprecavo tempo a dimostrarglielo.
Riabbassai gli occhi alla strada sotto di noi e lo evitai.
Alan grugnì, io lo sentii nonostante mi fossi imposta di non guardarlo, e dimuinì le distanze.
Mi fece sussultare.
<<Sofia.>>
La sua voce aveva assunto un tono quasi sensuale. Mi raggiunse più vicino e il mio cuore iniziò a rimbalzarmi nel petto.
Una sua mano si appoggiò al di sotto del mento accarezzandomela e spingendomi lo sguardo all'insù.
Mi costrinse a guardare quelle pietre preziose, che mi fecero avvampare. Era come se tutto ciò che eravamo si stesse congiungendo, in un unico corpo e un unico cuore.
Talmente ravvicinati potevo udire dalla sua maglietta il battito incalzante del suo cuore e il mio; cercava di raggiungermi, parevamo surfare sulla stessa lunghezza d'onda.
<<Ti odio.>> gli sussurrai con voce debole, quasi come se tutto ciò che stessi dicendo fosse solo una sporca bugia. <<Dico sul serio.>>
Lui sorrise.
I suoi occhi luccicarono, mentre lui annullava quei minimi dieci centimetri che ci dividevano e le punte dei nostri nasi si sfiorarono.
<<Sei una bugiarda.>>
Ancora poco poi anche le nostre bocche si sarebbero incontrate, ma tutto ciò non poteva accadere veramente!
Io sedici, lui ventiquattro.
Troppo differenza per un'amore già nato sotto una cattiva stella.
Alan chiuse gli occhi e girò il capo di poco in modo da collidere con le mie labbra che aspettavano solo di accogliere quel gesto e anche io seguii il suo esempio.

Mentre tutto stava per rivoluzionarsi sotto ai miei occhi, proprio al principio di un'enorme peccato, il telefono vibrò nelle tasche di Alan. Ci staccammo, anche contro la nostra volontà, roteando lo sguardo, come se non avessimo capito che era stato il fottuto telefono a fermarci.
Forse era stata fortuna.

Avevo ancora il volto accaldato.
Alan pure, ma lo mostrava a malapena. Aveva di nuovo il telefono premuto all'orecchio, che non prometteva niente di buono.
<<Ah preside Dickens!>>
Io sbiancai.
Speravo che Alan mi coprisse, altrimenti sarei stata nei pasticci.
<<Ah la macchina?>>
Alan mi squadrò.
Il preside urlò dal telefono.
Lo avevo sentito chiaramente, era uscito fuori dai gangheri quando non aveva visto la sua macchina parcheggiata. Alan non riusciva in alcun modo a calmarlo neanche con le più docili delle parole e rabbrividivo già da ora a quale punizione secolare avesse inventato per chi gli avesse rubato l'auto senza il suo permesso.
<<Preside, stia tranquillo.>> cercò di dire Alan. <<Sono stato io.>>
La mia bocca si spalancò.
Di nuovo la sua vena di fare l'eroe.
Non riusciva mai a cambiare, io non volevo che lo facesse.
Questo mi piaceva di lui.
Mi spingeva a volergli bene.
Di lui adoravo tutto, adoravo i suoi occhi, lo avrei ripetuto fino alla nausea quelle pietre azzurre magnifiche mi sconvolgevano; mi piaceva il suo stile elegante, i suoi muscoli scolpiti che si intravedevano dalla maglietta, i suoi lineamenti così adulti, così raffinati, il suo fisico alto, asciutto, ma sopratutto protettivo.
Non sapevo se gli piacevo.
Non conoscevo i suoi segreti pensieri figuriamoci quelli più intimi e volevo che la situazione rimanesse invariata.
Era questo che volevo!
Non ero giunta in Minnesota, catapultandomi in questa pazzesca avventura musicale, per trovare un ragazzo e legarmi a lui, ma solo per cantare, ballare, studiare e divertirmi. Alan non era nei piani.
Non era nei miei piani, nemmeno in futur prossimo?
-Vorresti dire che per Alan sei solo un'alunna?- mi suggerì la mia coscienza, mentre Alan era impegnato col preside.
Sì, certo è un professore. Non è niente di più e niente di meno.
-Tutte sciocchezze!-
Taci.
La odio, la odio quando fa così.
Perché la coscienza ci mette sempre qualcosa di suo quando si tratta del mio interessamento ad Alan?
Comunque, meglio lasciar perdere.

<<Oh, mi scusi Dickens. Non accadrà più.>> gli disse Alan, anche se mi sentivo tremendamente in colpa.
Non poteva prendersi la colpa soprattutto se poi veniva punito al posto mio.
<<Ah un'ultima cosa, ma non meno importante, l'alunna Baglietti è con me. Avevo bisogno di aiuto per quella cosa.>>
<<Ma cosa?>> gli sussurrai di rimando, ottenendo solo un suo gesto come a dire 'ci penso io'.
<<Sì, preside. Ve la riporterò.>>
Sorrise sollevato e chiuse la chiamata. Io lo osservai perplessa, mentre lui allungava la mano verso la mia, che scendeva lungo i fianchi. <<Bene.>>
Sembrava contento.
<<Per quella macchina dovremmo chiamare il carro attrezzi e riportarla al college. Ci penserò io, tu non preoccuparti.>> mi toccò la scapola, e fece una veloce chiamata.
Davvero, Alan era così carino.
Lo dicevo!
Taci, sei di nuovo qui.

Finita la chiamata vidi Alan andare verso la sua Porche, mentre io ero ancora immobilizzata al posto di prima.
Diamine, spero di non essere eccessivamente rossa in viso, di non avete una faccia da ebete perché non voglio sembrare sciocca. Alan è talmente carino.
<<Allora?>> fa lui, aprendo la portiera. <<Vieni?>>
Io sgranai le iridi.
Alan sorrise, accennando un gesto verso l'interno della vettura.
<<Io? Ma la macchina del preside?>> domandai, puntandola alle spalle.
<<Se la verranno a riprendere? Ma tu prima hai detto che mi volevi riaccompagnare al college! Sei serio quindi? Verrò con te?>>
<<Certo, rintronata.>> sottolineò.
Io gonfiai le guance.
<<Ritiro tutto, sei proprio uno scemo, anche se sei un professore.>>
<<Mi piace esserlo solo per assomigliarti.>>
Io arrossii, riabbassando lo sguardo. Lui ridacchiò e con passo deciso si avvicinò, stringendomi la mano nella sua, che sentii fredda.
<<Preferisci che ti chiami principessa?>>
<<No, non ho mai voluto essere una reale, con tutti quei paparazzi.>>
Alan rise di nuovo.
<<Allora se ti infastidiscono, ti proteggerò io con tutte le mie forze. >>
Io ricambiai il gesto.
<<Grazie Alan.>> mi sollevai e gli stampai sulla guancia un bacio a stampo, guardandolo.
<<Allora andiamo?>>
Lui si fermò e un sorriso da imbranato gli si dipinse sul volto.
Io corsi verso la Porche ferma.

Come sarebbe stato viaggiare con Alan nella sua macchina?

**Angolo dell'Autrice**

Salve wappadiani!
Benvenuti nel mio nuovo aggiornamento. Un nuovo screzio fra Alan e Sofia, ma questa volta il quasi bacio è andato in fallo. Cosa accadrà nei prossimi imperdibili aggiornamenti fra il professore e la sua alunna?
Grazie mille per le stelline, i voti, i commenti. Finalmente abbiamo raggiunto le mille visite, grazie mille!
Continuate a seguire :)






Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora