Capitolo 16

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[Tania Bergazzi in foto]
Continuerò col suo pov ma non vi dico la ragione, per questo leggete e scoprite. Vorrei fare dovuti ringraziamenti a chi ha votato la storia, chi ha commentato, ma soprattutto chi ha solamente letto.
Buona lettura amori.
Jo_14

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[Pov's Tania]

Eccomi qui seduta al mio posto, che tra parentesi è la mia cella di isolamento. Non c'è paragone fra scuola e carcere, ma almeno il trauma ha meno effetto visto che il mio caro compagno di banco Alessio mi sta vicino. Oltre che migliori amici siamo anche coinquilini dello stesso banco, la sua ragazza che è un anno più grande di noi, bellissima, bionda che fa la modella di una famosa rivista italiana sta nella stanza accanto. La loro era una relazione come tante, si volevano bene, lei non era gelosa di me o di Sofia e lui le dimostrava ogni giorno quanto i suoi sentimenti stessero progredendo a un livello più alto.
Avevo imparato a conviverci, a ingoiare con profonda amarezza tutto il disprezzo che provavo nei loro confronti. Anche Sofia era a conoscenza del fatto che avessi un debole per Alessio Baldi, e ogni volta che ci trovavamo a casa mia o sua parlavamo solo di questo con mio disappunto, visto che lei non si era mai invaghita di nessuno e nemmeno voleva che le accadesse. Preferiva conservare il suo cuore, piuttosto che gettarsi a capofitto in una storia che bene o male ha sempre lo stesso identico finale di altre, amore non corrisposto, lacrime, tarli incessanti, chiusura col mondo, incapacità di tornare ad amare. Adesso me ne rendevo conto che avevo gettato al vento le mie speranze e estirpato dal mio petto tutto ciò che poteva legarmi ancora ad Alessio.

L'assenza di Sofia non mi aiutava.
Mi sentivo più sola che mai, ingabbiata da ciò che prima avevo esiliato, i miei sentimenti che premevano per travolgermi, per uccidermi senza alcuna via di scampo. Era per questo che non avevo ignorato il piano malsano di Watson, volevo scappare per preservare la mia coscienza dal perdere del tutto il senno e ritrovare ciò che avevo perduto.

«Tra poco è Halloween.»
La mia coscienza mi aveva condotto altrove, mi ero dispersa nei meandri della mia disperazione anche lì, nonostante tra poco la professoressa di matematica Franchi mi avrebbe imbottito la testa delle inutili formule menmoniche per risolvere le funzioni.
Un'ora di strazio. Già avvertivo la sua presenza che sedeva sulla sedia col registro in mano, pareva fulminarci con quegli occhi verdi al cui interno aveva dei raggi ultravioletti che ogni volta adoperava per forarci lo stomaco.
Era apprensione allo stato puro.
Lo stomaco si contorceva, il dolore si impossessava di ogni minimo tessuto del mio corpo e lanciava fitte sleali finché lei non sceglieva chi sacrificare come un animale al macello alla lavagna ad eseguire un esercizio, sotto il suo controllo, che la faceva assomigliare a Caronte dell'Inferno. Non poteva essere altrimenti, quella donna viveva per farmi salire la bile in bocca. Non la sopportavo, non la digerivo per niente così come l'insalata, che mi disgustava.

Avevo lo sguardo fisso verso un punto imprecisato della soffocante aula. Alessio sedeva vicino a me, cercava un confronto ma io non gli davo retta. Avevo il volto alzato, le mani a coppa al di sotto del mento come per sorreggerlo, lo sguardo svuotato di ogni emozione mentre una scia di pensieri positivi e negativi scuotevano la mia coscienza. Chissà poi perché quel giorno appariva così diverso rispetto agli altri, la mia testa continuava per conto suo a proiettarmi cose astratte, che nella realtà non erano mai esistite o momentaneamente non erano presenti, ma che in me erano raggruppate in cicatrici più o meno visibili, aperte e chiuse.
Continuavano a versare sangue.
Chiudevo gli occhi per allontanare quel difficile ragionamento che mi aveva colta alla sprovvista.
«Non mi ispira il parlare da solo.»
Alessio inclinò il capo verso la sua coinquilina silenziosa, e le sue dita sfiorarono le mie, incatenandosi, al che sussultai. «Oh» mormorai.
Voltai il capo nella sua direzione dandogli un'occhiata, che fino a poco prima gli avevo negato e mi ero sentita in colpa. Riabbassai il volto verso i nostri incavi e le mie guance divennero rosse.
«Ah scusa, non stavo ascoltando.» borbottai in risposta come una stupida. «Dicevi?»
Alessio mi guardò e un sorriso sincero gli apparì sul volto, il ciuffo gli cascava su un occhio ma se lo riaggiustò con una mano portandoselo indietro.
«Forse è meglio che non ripeta.» mi confessò, stringendomi le dita in segno di amicizia. Io smisi di concentrarmi sul flusso immane dei miei pensieri e lo fissai anche io con il rosso scarlatto che faceva posto a quella carnagione paonazza che mi faceva somigliare a un cadavere.
«Dicendoti questo potrei attentare alla tua salute mentale.» sottolineò, lasciandomi stupefatta.
Lui capiva sempre, e certe volte, mi veniva il desiderio di odiarlo.
Per quale motivo dovevo invaghirmi del mio migliore amico, che per giunta, era fidanzato e anche con una ragazza mille volte più bella della sottoscritta. Ad Alessio piacevano le bionde, cenere o non, io invece ero l'esatto contrario, avevo i capelli rosso sbiaditi, lisci, lunghi.
Lui aveva un debole per chi era magra, io mi mantenevo nella norma, ma non ero asimmetrica come Monica. Avevo gli occhi che sfumavano in azzurro, eppure non bastava per farlo innamorare.
Ma ormai avevo perso del tutto l'iniziativa di diventare qualcosa di più per lui, anche se certi suoi atteggiamenti mi facevano pensare il contrario.
«No, dai.» protestai gonfiando le guance che mi davano aspetto infantile. «Ora me lo dici o ti faccio il solletico.» aggiunsi, portando entrambe le mani in alto e dirigendole minacciose verso la sua esile figura da sportivo.
Lui si schermò con le due braccia muscolose.
«Vabbene, non c'è bisogno. Ho semplicemente detto che tra poco è Halloween. Tu hai qualche impegno per quel giorno?»

Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora