Capitolo 17

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[Pov's Alan]

La nostra coscienza, direi una parte di essa, si ostina a riprodurre come la pellicola di un film una strada deserta e due persone che sono pronte a dare sfogo a ciò che nascondono, non importandosi dello sparlare delle altre persone perché sapevano di non poter ignorarsi a vicenda.
Non più. Anche se si fossero impegnati il cuore li avrebbe condotti nelle braccia dell'altro, dove nessun dubbio offuscasse la mente. Mi ero comodamente seduto sul divano in pelle, con una rivista sulle gambe e gli occhi coperti da spesse lenti attenti alla lettura. Ero solo per il momento, Allison aveva 'confiscato' Sofia ed entrambe erano sparite sulle scale dirette alle stanze superiori. A volte avevo quasi l'impressione che mamma godesse della piacevole compagnia di un ospite che portavo a casa perché così nessuno osava discutere della malattia. Era ancora più contenta al pari di una bimba che scarta il suo giocattolo preferito, quando le ospiti risultavano belle ragazze.
Odiavo quando mamma voleva sistemarmi come Maria De Filippi, facendo il cupido. Da quando avevo proiettato la visione della mia vita all'essere scapolo, mamma si era assunta la mia segretaria e ogni volta cercava di combinare appuntamenti al buio, alcuni decisamente indesiderabili.
'Che devi fare tutto solo, figliolo?' La forza per rigirare la situazione a suo favore la possedeva ancora, sopratutto quando declinavo gli appuntamenti con la scusa che fosse pazza o altro. 'Sei bello, di bella presenza, di certo a questi incontri troverai la tua anima gemella.' mi diceva avvertendomi del cinquantesimo date al buio. Alle volte mi costringeva a partecipare anche alle riunioni in casa con le varie ragazze della mia età nel quartiere e non accettava un mio no come risposta. Era un tiranno cospiratore, speravo che non iniziasse a soggiogare la mente della mia alunna, anche se mamma oscillava sempre su età che coincidevano con i miei ventiquattro, mai più piccole.
Non c'era pericolo, se la tesi era esatta, mamma non avrebbe mai cercato di buttarla tra le mie braccia a meno che non né fosse stata all'oscuro. Sospirai, girando una pagina e trovando in primo piano una teiera a prezzo scontato della Bialetti di marca italiana. Non mi interessava, così voltai di nuovo e la scena cambiò in meglio, un pianoforte nero riempiva lo spazio, non costava molto, magari me lo sarei anche potuto permettere con il budget del mio lavoro di professore al college.
Nel piccolo cottege un mostro di quelle dimensioni avrebbe occupato il poco spazio sufficiente, magari avrei potuto ubicarla nella sala registrazione o regalarlo a Sofia visto che suonava quello strumento con tale leggiadra da sembrare una musa dell'Olimpo.
Aspetta perché adesso penso a lei?
Forse, perché non ti è indifferente.
La coscienza gettava uno spiraglio di luce nella mia interiorità, e al tempo stesso confusione.
Scossi la testa per allontanare quel pensiero che si era appena impossessato delle mie membra, e posai la rivista sul divano.
Percorsi il piccolo ambiente a passi svelti, due colonne che si congiungevano ad arco davano accesso alla piccola cucina dai mobili marroni in legno con intersiature varie. Aprii il mobiletto sopra la cappa e presi un bicchiere di vetro, poi spostandomi verso il frigo presi un contenitore di arancia rossa e lo tergiversai. Portai il bordo alla bocca e ne bevvi finché non rimase una goccia sotto all'orlo.
Era la mia bevanda preferita. Mi distendeva i nervi, li sentivo tesi come le corde di un violino, per colpa di quel stupidissimo pianoforte. Appoggiai il bicchiere sul ripiano e guardai nella direzione dove erano sparite le due donne. Chissà cosa combinavano e quali sconcertati segreti sarebbero venuti fuori.
Avevo quasi paura. Paura delle tattiche di mia madre, paura dei pensieri insistenti che si facevano strada dentro di me, paura di quello che avrebbe potuto pensare Sofia. Speriamo in bene.
Riposta la latte nel suo ordine maniecale tornai a sprofondare nella comodità del divano in soggiorno.

[Pov's Sofia]

Ero a casa di Alan, non mi sarei mai aspettata una cosa del genere, non lo avevo previsto ma proprio io camminavo nei corridoi del secondo piano seguendo una minuta signora senza alcuna obiezione. Le caviglie scheletriche, infagottate nelle piccole pantofole di lana, si trascinavano a forza verso una schiera di porte. Al di sopra dei muri giallo canarino vari quadri che raffiguravano momenti della vita di Alan e io li osservavo per imprimere ogni singolo dettaglio proposto nella foto che non avevo vissuto. Varie foto lo mostravano neonato, di pochissimi giorni, con ancora la targhetta della nursery attaccata al piccolo braccio. In altre più grande, con quegli inconfondibili occhi azzurri che sorridevano all'obiettivo e che si mostravano naturali in ogni scatto e ogni posizione. Alan era da solo, o in compagnia di Allison, in altre anche da una terza persona di sesso maschile, con spalle larghe, un berretto a coprirgli i fini capelli, una barba appena pronunciata sul mento mentre abbracciava Alan che stringeva a sé una trota, ancora penzolante dalla lenza. C'era tutta la vita, ma man mano che avanzavamo, quella figura così maestosa andò svanendo per far posto alla figura ossessiva di Allison, leggermente più formosa rispetto a ora.
La foto che concludeva la trafila aveva Alan con un mezzo sorrisetto in primo piano, con volto giovane e disteso, vestito di nero con una tonaca, un capello per laurandi e una pergamena.
Allison notando la mia curiosità si fermò indicando la foto con l'indice rinsecchito.
«Quanti bei ricordi.» si limitò a dire con una certa nostalgia.
«Alan era stupendo quando si è laureato, non che io sia la madre, ma lui era davvero bellissimo.»
Allison pareva osannarmi ogni dote del figlio, ma non c'era manco bisogno, di lui mi piaceva tutto ciò che sapevo, ciò che non sapevo e ciò che avrei scoperto.
«Non per vantarmi ma ho proprio un bel figlio eh?» mi domandò, se le avessi detto il contrario cosa che non pensavo mi avrebbe incenerito con il suo sguardo molto simile a quello di Alan, sopratutto gli occhi di quel blu intenso che stregava chiunque.
«Certo.» le risposi, e il sorriso le riaffiorò sulle labbra screpolate.
«Alan non sopporta che gli trovi a forza una fidanzata, ma non posso farlo restare scapolo.» fece le virgolette voltando il busto nella mia direzione. «Sopratutto ora.» La sua voce si incrinò e notai un barlume di paura attraversarle lo sguardo che era illuminato dalla luce bianca della plafoniera disposta sulle nostre teste. Di fronte a noi una finestra socchiusa e coperta da un tenda bianca faceva scorgere il timido lampione che fiocamente faceva brillare il giardino retrostante e creava insolite ombre minacciose a terra.
«Bene.» sottolineò quando frenò con le coibenti suole delle ciabatte.
Eravamo dinanzi a una porta, dietro di lei, la esaminavo aprire con scatto metallico il chiavistello.
«Siamo arrivate.» annunciò mentre spalancava la porta, e una camera immersa nel buio mi appariva dinanzi. Non si vedeva niente, lei si inoltrò sparendo al suo interno, ma solo per trovare l'interruttore. Quando la stanza si inondò della luce artificiale il tormento evaporò. Appariva confortevole, con un letto unico, disposto sul lato destro, con le lenzuola fresche di bucato. Una scrivania al lato opposto sgombrata, un piccolo tappeto rosa, un finestrone imponente domava il centro della scena e regalava una vista panoramica sul piccolo Lago Shin che non avevo ancora avuto l'opportunità di visitare, e se ne stava calmo con quelle sue acque ben disposte a non infastidire nessuno.
Mi invitò a entrare.
«Ti piace?»
Vi entrai anche io, aspettando il suo permesso ma che lei non mi diede, perché non c'era alcun bisogno. Non ero un'estranea ma mi sentivo tale.
«Stasera dormirai qui.» non era più un ipotesi era un suo ordine.
«Non voglio disturbare. Dovrei tornare al college e-» ma mi interruppe facendo segno di no col capo. «Non se ne parla proprio, cara. In tutto il quartiere Allison Scott ha sempre avuto disponibilita verso le ospiti di Alan, non è mai accaduto il contrario.» contestò.
«Ma già mi offrite la cena e io ritengo sia già abbastanza.»
«Io dico di no.» mi fece cenno di prendere posto sul letto. Io annuì e mi sedetti mentre le molle ondeggiarono col mio e il suo peso.
Assunse un'espressione seria, come se mi volesse confessare qualcosa di segreto a tutti. Qualcosa che solo lei poteva dire di conoscere e che dal mio canto dovessi custodire gelosamente.
Abbassò il volto, chiuse gli occhi e inspirò forzatamente l'aria che circolava nella stanzetta. Poi li riaprì poco dopo per studiare i miei occhi dalla trama verde in cui la sua figura trascurata vi si specchiava. Il silenzio durò poco, il tempo che la sua mente riordinasse i pensieri e ne costruisse un discorso coerente.
Allison ruppe l'oblio diffuso.
«Tu che conosci Alan già da un po' saprai che non scambia facilmente i suoi pensieri più intimi con gli altri.» Era il tipico ragazzo o uomo che preferiva annegare i suoi dispiaceri senza che nessuno lo vedesse o come si suol dire 'i panni sporchi a casa propria' ma alle volte non era così sbagliato confidarsi con qualcuno, qualcuno che non fosse la tua coscienza e scontrarsi con prospettive differenti.
«Certo.»
«Alan è autodidatta, fa tutto da solo soffrendo e meditando in solitudine come un'eremita.» dichiarò con un breve sospiro rassegnato. Mi sorse un dubbio lacerante che avevo bisogno di dissolvere, per quale motivo Allison mi stava facendo un'analisi psicologia di Alan? Dove voleva andare a parare?
«Tutto quello che volete signora Scott.»
«Signora Scott?» alzò un cipiglio, accompagnato da una risata. «Chiamami Allison, signora è troppo da vecchia non credi?»
Io fece segno di sì con un cenno.
«È troppo da intromissivi? Forse sì, anche se sto sbandierando i fatti di mio figlio ma di te penso di potermi fidare. So che tieni ad Alan più di quanti tu mostri.»
Il cuore mi esplose in petto.
Quegli occhi blu erano a raggi infrarossi, mi leggevano nel pensiero, smembravano le paranoie che mi vincevano, che diamine era quella donna? Un extraterrestre venuto dallo spazio con un potenziale non classificabile di faccia tosta?
Vabbene che Alan aveva i suoi problemi, e che nessuno gli impediva di fare una consulenza da opportune persone specializzate, ma che Allison riuscisse a vedere ciò che mi ostinavo a misconoscere era il colmo dei colmi.
«È così?» mi interrogò al pari di acquirente e delinquente.
Io roteai lo sguardo, guardando al piccolo carillon disposto sulla mensola destra, al di sopra della scrivania, tacendo la risposta.
«Lo prenderò per un sì.» concluse, racchiudendomi nelle sue ghiacciate mani le mie.
«Alan sta vivendo una situazione delicata e ha bisogno che nei prossimi mesi
qualcuno lo sostenga.» mi spiegò cercando di suonare convincente.
«Non voglio fargli da baby sitter, è adulto e può cavarsela da solo.»
Allison si incupì.
«Anche se ciò lo distruggerà?»
«Allison, giusto?» Lei assentì. «Non credo che Alan voglia una ragazzina di sedici anni che gli stia tra i piedi. Peggiorerà ogni cosa se staremo vicini, e lei non vuole che suo figlio venga visto come un maltrattatore di adolescenti, no?»
Mi alzai in piedi e le molle gemetterò, spostando il gracile corpo di Allison che mi osservava.
«Io ci tengo a Alan, ma non credo che basterà la mia presenza a risollevarlo.» Allison si issò in piedi con le gambe coperte fin sotto al ginocchio del tessuto della piccola vestaglia. «Lui non sarà d'accordo ma mi sentirei in colpa se alla mia morte lui si sentisse abbandonato, un'altra volta.» marcò. Una secchiata di acqua gelida mi si scaraventò addosso.
Allison stava morendo. Allora era questo che lo piegava così tanto che pareva debole e indifeso?
Era orribile, anzi io lo ero.
In tutte quelle foto si mostrava solo ciò che di buono c'era stato nella vita del mio professore e chissà però in quale angolino del suo cuore tenesse il marcio della vita. Guardai sconvolta Allison, con le lacrime che mi uscirono silenziose percorrendo le fossette, gli occhi mi divenirono rossi. La mamma di Alan inclinò il volto scavato dalla malattia che la perseguitava, mentre una mano si allungava con materna dolcezza alla guancia e me la asciugava.
«Avrei dovuto dirtelo.»
Sì trascinò verso la porta e la richiuse, in modo che Alan non sentisse dal piano di sotto.
«Sono una persona ignobile.» commentai, stringendo una mano con rabbia al petto. Allison si fermò dietro alle spalle e me le accarezzò. «Sei una brava ragazza, non sei ignobile. Avrei dovuto dirtelo, non conoscevi la situazione per questo reagivi a quel modo.» mi guidò piano verso il letto come se ne fossi incapacitata e mi fece semisdraiare.
«Sono pochi i momenti felici nella vita di Alan. Lui è sempre stato un bimbo ricco di vivacità, affezionato al suo piccolo regno perfetto della nostra famiglia.» mi misi ad ascoltarla con acceso interesse, sopprimendo qualche singhiozzo.
«Hai notato quell'uomo?»
Iniziai a fare mente locale e la coscienza mi portò a quella figura insieme ad Alan, l'unica fra tutte, visto che le restanti foto erano su Alan e Allison.
«Quello è Austin Taylor.»
Fui invasa da mille interrogativi, credevo di averlo già sentito nominare da qualche parte, quando papà, settimane prima che mi trasferirsi, annunciò alla famiglia di voler lasciare il lavoro e lanciarsi in una prospettiva che avrebbe fruttato più soldi. Si sarebbe messo in società con una delle aziende americane di Boston gestite da Taylor A.
Adesso capivo chi era Taylor.
Se lo avessi avuto a tiro lo avrei ucciso personalmente, ma la coscienza mi invitò ad essere cauta che si rischiava il carcere.
«Ci ha abbandonato senza curarsi non tanto di me ma di suo figlio. Voleva cercare avventure, così come ci disse, che se ne andò a convivere con una stronza che gli diede una figlia.»
«Non ci posso credere! Assurdo!»
«Per lui non lo era.» fece lei, con gli occhi lucidi di una che tra poco sarebbe scoppiata a piangere. «Alan s-sì è prodigato per me, io invece no. Mi sento inutile.» e tirò su col naso.
«Non dite così Allison!» cercai di consolarla come lei aveva fatto con me, stringendole la mano sulla scapola. Improvvisamente la porta della stanza si spalancò, era la figura riconoscibile di Alan.
«Mamma?»
Non si aspettava di trovarci così in confidenza, e il vederlo alla porta mi fece immaginare ancora di più i suoi tormenti come se li stessi vivendo io in un corpo da uomo.
Allison si sollevò piano, e camminò verso il figlio, dandogli un buffetto sulla guancia.
«Vi lascio soli.» ci sorrise e si voltò nella mia direzione, strizzandomi un'occhio. «Vado a preparare qualcosa, tu intanto rimani con Sofia, e aiutala a sentirsi a casa sua.» ordinò ad Alan, obbligandolo a restare nella stanza, mentre lei si chiudeva la porta alle spalle.
Quando la sua figura fu ai piani inferiori, Alan incassò lo sguardo, e così feci io seduta sul ciglio del letto. Nessuno di tutte e due pareva guardare l'altro per non fare inutili film mentali. Alan si mise le mani nelle tasche, spingendole fin sotto per evitare che prendessero iniziative senza il suo consenso. «Ehm..» mormorò, mostrandosi agitato a stare nella stessa stanza. «Cosa vi siete detti tu e quella cospiratrice alle mie spalle?» domandò allontanando con una mano il sudore che gli colava dalla fronte.
«Oh, cose da donne.» mentii.
«So che mi menti. Avanti dimmi che ti ha rivelato quella cospiratrice di mia madre. Lasciami indovinare?» si puntò un dito alla tempia. «Ti ha detto che vuole trovarmi la compagna perfetta? E che mi ha organizzato centinaia di date al buio?»
Lo guardai divertita, increspando un lieve sorrisetto. Squadrai la sua figura che mi superava di qualche centimetro, e il mio volto assunse un'espressione bieca. Dal nulla il pensiero delle sue tante sofferenze era tornato alla luce insieme alla rabbia incontrollabile.
«Mi ha detto cose più importanti.»
Alan mi osservò con quei suoi occhi cobalto brillanti.
«Sarebbe?»
«Mi ha detto che tuo padre, di quanto continui a starci male e del modo infame in cui vi ha abbandonato.»
Alan irrigidì il muscolo mascellare, come se fosse urtato dal mio comportamento intromissivo, come se non avesse voluto includermi nei suoi problemi.
«Come si è permessa! E come ti sei permessa tu! Non avresti dovuto chiedere di raccontarti del mio passato, sei stata insensibile!» tuonò. Indietreggiai come se Alan non fosse un mio professore ma un aguzzino e io la sua preda.
Impaurita come non mai sentivo che le mie gambe mi suggerivano di schizzare via di lì prima che il furore degenerasse. Col volto sconfitto di chi accetta una punizione, annullai le distanze e rialzai il capo verso di lui.
«Vorrei ti fidassi, questo quello che desidero più di me stessa. Non era mia intenzione ferirti.» mossi qualche passo in direzione della porta, pronta a uscire dalla vita di Alan che mi avrebbe sempre vista come alunna e mai come qualcosa in più, pronta per lasciarlo solo con i suoi rimorsi, senza una spalla su cui piangere, e avvicinai la mano aperta alla maniglia.
Riuscii a udire quello sciocco, poi mi sentii tirare come in un vortice, risucchiata da un arto avvighiato al mio avambraccio. Mi voltai e vidi quelle cinque dita, poi fui spinta e ricaddi debole nelle sue braccia, nel suo caldo petto che più di tutti mi dava sicurezza.
Mi spinse e riuscii ad avvertire il battito del suo cuore e una mano che si posava dolcemente fra le ciocche corvine. «Mi spiace.» mormorò, mentre io accettavo quella stretta come una cosa essenziale. Mi sollevai sulle punte e giunsi vicino al suo mento, allungando le mani sulle clavicole.
Lui congiunse le due mani a mo di barriera sulla mia schiena, e le sue labbra mi sfioravano il lobo di un orecchio. «Scuse accettate.» gli risposi, nascondendo il volto nella camicia bianca.
Lui mi unì più vicino a sé. Sentii un forte profumo maschile penetrare le mie narici e il cervello annebbiarsi e smettere di essere in lotta come prima.
Ero talmente felice di stare nelle sue braccia, sentire quel lieve respiro muovermi delicatamente il ciuffo spostandolo, che quando la porta si aprì seguita dal richiamo di Allison spinsi Alan con una mano lontano, anche non volendo.
Allison guardò prima me e poi suo figlio, che cercava di tossire per riscaldare la voce.
«Ho interrotto qualcosa per caso?»
Io e Alan scuotendo il capo facemmo intendere che stavamo solamente chiarendo.
«Volevo avvertirvi che la cena è pronta e non voglio che si freddi.» «Certo mamma.» rispose lui, facendomi segno di oltrepassare prima la porta così come un gentiluomo. «Andiamo Sofia.»

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Benvenuti nel nuovo capitolo!
Sofia ha scoperto tutto, e Alan si è molto arrabbiato. Il tutto rimediato da un caloroso abbraccio, sarà l'inizio della loro storia? Per scoprirlo non vi resta che votare con stellina o commentare. Seguitemi :)
Vi aspetto.

#latuacanzone


Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora