Capitolo 15

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Attenzione: Tutto il manoscritto ha subìto una revisione, ci sono state delle aggiunte e anche delle eliminazioni, quindi vi invito a continuare a seguire la storia, aggiungerla ai vostri elenchi di lettura e non perdertevi i prossimi aggiornamenti. :)
Buona Lettura!

[Pov's Tania]

Li guardai in volto, erano molto interdetti, sembravano decisamente preoccupati, mia madre iniziò a tossire, dandosi forti colpi ripetuti al petto per far scendere quel pezzo che le era rimasto bloccato in gola, mentre papà le passava un bicchiere pieno d'acqua, che lei bevve avidamente per poi sospirare.
«Oh caro, grazie mille.»
Papà sorrise sollevato, l'ultima cosa che avrebbe voluto nella sua vita era diventare vedovo così in giovane età per colpa delle mie strane idee.
«Di cosa stavamo parlando?» chiese perennemente confusa, mentre mi specchiavo nei suoi occhi. «Stavo sognando o è tutto vero? Nostra figlia vuole lasciarci.»
Papà mosse il volto su e giù.
«Allora non era un sogno.» farfugliò lasciandosi andare sullo schienale della sedia in silenzio.
«Tesoro?» si intromise papà richiamando la mia attenzione su di sé. Lui conosceva benissimo la situazione del mio cuore da quando Sofia mi avevo lasciato, vagavo da sola in una strada irta di ostacoli che avrei dovuto superare senza la mia migliore amica. Sapeva che stavo soffrendo, che dovevo in qualche modo parlare con lei per riaggiustare ciò che da tempo era stato ridotto a brandelli dal mio stupido orgoglio, ma non si aspettava qualcosa di simile a quello visto che avevo ancora sedici anni e non ero responsabile per andarmene in giro in una città di cui non conoscevo né la lingua né i quartieri, ma ero certa che con la loro fiducia e il mio bagaglio di coraggio sarei riuscita a cavarmela. Intanto papà continuò ad approfondire il discorso, talvolta sospeso, da lunghi sospiri.
«Vuoi davvero andare via e lasciarci?»
Non avrei mai voluto farlo, era troppo presto per non godere più della loro compagnia, parlare con loro, uscire con loro, chiedere consigli e ricervene ma ormai avevo capito che la mia vita non poteva più continuare a quel modo, che sentivo la lontananza di qualcosa di speciale e dovevo raggiungerla se non volevo morire di malinconia. Volevo partire, ma non volevo ancora lasciarli.
Ero combattuta.
Da una parte la mia famiglia e Giulia che amavo più di me stessa e con cui avrei sempre avuto un legame forte e duraturo, ma dall'altro la forte convinzione che il mio posto potesse essere non Caserta si faceva strada in me.
Papà aspettava una mia risposta, picchiettando nervoso l'unghia dell'indice sulla superficie liscia della tovaglia.
«Sai che non sono ancora pronta per lasciarvi e che lo farò solo quando sarò abbastanza matura.»
I miei annuirono.
«Il fatto però è che mi manca molto Sofia e io non voglio sprecare questa opportunità come ho sempre fatto per colpa del mio stupido orgoglio.»
I miei si scambiarono brevi occhiate di intesa, usando quei codici indecifrabili da scout che io non riuscivo a comprendere e nonostante questo nei loro volti segnati da profonde rughe di espressione riaffiorava angoscia e inquietudine per la loro bambina a cui mancava qualche rotella e che un giorno li avrebbe fatti ricoverare in ospedale per stato di shock. Ma questo erano i figli, si dovevano accettare con pregi e difetti, volere bene e proteggere dalla vita che più delle volte bastonava duramente; si erano sposati non solo per divenire una sola anima, ma anche per accogliere nella loro ristretta famiglia tutti i bambini che il Dio che tutti conoscono avrebbe mandato ad allietare le loro giornate da neo sposini e dopo un po' giunse anticipatamente Giulia, e dopo otto anni di lunghe attese e sacrifici, anche io.
I piccoli splendidi soli che avevano illuminato il buio delle loro vite.

«Non è che non voglio farti partire.» puntualizzò papà, che mi aveva sempre disposto al primo punto della sua lista anche prima del suo lavoro come capo cantiere. «Ma sarà per me difficile averti visto nascere, crescere e poi abbandonarti sola alle razzie della vita.»
Le sue parole erano dolci e flebili, ma colme di amore e di apprensione.
«Tani noi ti amiamo.» sottolineò mamma, lasciandosi scappare una lacrima giù per il mento.
Cercava di essere forte, anzi di dimostrare ciò che in realtà non era, senza ottenere alcun risultato.
«Se per tuo padre è difficile, per me sarà impossibile, bimba mia.» aggiunse, tirando su col naso.
«Tu sei sempre stata la cosa più importante e questo non cambierà, anche se ci divideranno i continenti io ti amerò e ti aspetterò sempre.»
Tacque travolta dalle incessanti lacrime, mentre recuperava un fazzoletto dal taschino inferiore del suo grembiule e portandoselo al naso se lo soffiò con vigore.
Papà le posò la mano sinistra sulla spalla stringendogliela per darle conforto. «Forza, Carolina.» le disse, mentre la donna debole si appoggiava lasciva sulla sua scapola e sfogava il suo dolore.
«Starà bene.»
«Lo so, Giacomo.»
«Lei starà bene.» poi mi fissò mormorando di acconsentire a ciò che precedentemente aveva affermato. «È vero Tani?»
Io annuì convinta.
«Hai ragione.» affermò infine lei, sollevandosi e asciugandosi con la manica della camicetta per rimuovere gli ultimi residui del suo pianto.
Sapevo che le costava, forse non riuscivo a capirlo nel suo significato più nascosto perché non avevo ancora chi sgridare, chi volere bene con tutta me stessa e chi aveva vissuto e respirato dentro di me per un tempo di nove mesi.
Non volevo che lei soffrisse.
I dolori che toccavano lei, li percepivo anche io amplificati come se ci fossimo unite da un filo invisibile, come una specie di simbiosi tra feto e donna.
Un legame tra i figli e la propria madre non aveva fine manco con la morte, durava per sempre, così come il dolore per quando sarò costretta a dirle addio.
Mi alzai dal mio posto e girai mezza tavola per raggiungerla.
Mamma alzò gli occhi ancora lucidi e io mi gettai fra le sue braccia materne, accarezzando i suoi capelli e nascondendo il mio volto nell'incavo della sua scapola.
«Non rispondermi ora.» le sussurrai, e lei mi strinse un po' a sé tornando indietro nel tempo, a quando da piccola mi rifugiavo nelle sue calde braccia quando mi andava male qualcosa, quando prendevo un voto basso, quando litigavo con qualcuno, quando qualche marachella veniva punita giustamente, credendo fermamente e non volendo sentire obiezioni sul fatto che lei potesse essere il mio angelo.
«Grazie amore.» singhiozzò.
Lasciai le sue comode braccia perché altrimenti avrei fatto ritardo a scuola, e vidi papà anche lui visibilmente emozionato e sul punto di versare qualche lacrima. Guardai in direzione del piccolo orologio appeso che segnava le otto in punto e mi preparai al meglio ad affrontare un nuovo palloso giorno alla scuola 'Enrico Mattei'. Preso monospalla, una mela dal frigo e il mio cellulare mi recai verso l'inizio del corridoio dove incontrai o per meglio dire scontrai la grande sagoma tutta in ghingheri della mia cara sorellona maggiore che si lasciava dietro di sé un'invisibile scia di profumo della Dolce&Gabbana.
Mostrò i denti bianchi a contrasto con le sue labbra tinte di rosso sorridendo.
«Oh, vai a scuola?» mi chiese facendo la finta tonta.
«Secondo te?» ribattei, mostrandomi scocciata e ratichita a causa del duro peso del monospalla.
«Quindi niente tesoro, mi raccomando comportati bene a scuola, non fare a botte, non ubriacarti, non gironzolare nella scuola senza fare lezione.»
Io alzai un sopracciglio.
«Hai finito mamma
Giulia mi mosse un dito sul volto.
«Non picchiare gli sconosciuti.»
«Non starai esagerando?» le domandai timorosa, esaminando con criticità i capelli mori che quella mattina erano acconciati alla perfezione, come tutte le mattine che faceva ritardo.
«Faccio pratica.» tagliò corto.
«Tu e John volete bambini?»
«Non correre Tani, non siamo nemmeno marito e moglie! Intanto già che ho una sorellina più piccola faccio pratica.»
Io la salutai con un cenno e mi avviai verso il portone principale.
Lo aprii mentre Giulia gridava:
«Non assumere hashish!»
Mi voltai nella sua direzione con gelido sguardo e la mandai a farsi fottere, sbattendole la porta in faccia.

Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora