Capitolo 35

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«Ciao occhi blu »

«Elly.»

35.

«So che è appena tornato dal Wisconsin ma non mi ha avvertito che la signorina Baglietti era con lei professore.»

«Devo aver rimosso questo particolare.»

Dickens mi ha scoperto vagare per i corridoi in tarda nottata, ma per fortuna sono riuscito ad evitare a Sofia il noioso interrogatorio che ci avrebbe riservato la più alta autorità del college.

«Vi sta capitando spesso.» si limitò a dire mentre mi precedeva col suo passo flemmatico.
«Ho saputo.» si fermò improvvisamente per voltarsi e guardarmi con quegli occhi scuri.

A volte lo sguardo poteva tradire più delle parole. Una persona bugiarda si riconosceva anche senza lente di ingrandimento e fatti che lo certificassero.

«A proposito di cosa?»

Le parole uscivano a tratti dalle mie labbra, mentre un nodo mi stringeva la gola.

Dickens mi scrutava di sottecchi come un'aquila che si avventava contro la sua preda. Con timore abbassai lo sguardo perdendomi nella trama traslucida delle scarpe ma li percepivo taglienti su di me.

«Di vostra madre Alan.»

Ero appena piombato da una scogliera nel mare della disperazione in cui annaspavo.
Mentre sbattevo le braccia febbrilmente per diminuire le distanze dalla riva, la marea pareva sospingermi al largo.
Sentivo l'acqua salata pizzicarmi la gola e scendere nei polmoni e le forze abbandonare le membra.
Stavo quasi per perdere la lucidità per la gelida temperatura, quando qualcuno mi lanciò un salvagente.

Il grande peso che mi gravava nel petto si dissolse permettendomi di salire a galla.

«Perché lei a chi pensava mi stessi riferendo?» mi chiese perplesso.

«A mia madre, Dickens.» risposi mentre la gabbia toracica si rilassava in un sospiro di sollievo.

Dickens scrollò le spalle e riprese a camminare nel lungo tratto di corridoio per giungere al suo ufficio. La paura continuava ad attecchire con fermezza dentro di me man mano che ci avvicinavamo a quella porta.

La mia mente non faceva altro che montare raccapriccianti visioni.
La coscienza non aiutava di certo, anche per lei quello che stavo facendo era sbagliato.

Avrei rischiato di perdere il lavoro, l'unica forma di guadagno per pagare la possibile operazione al cervello di mia madre, a cui lei non avrebbe mai voluto sottoporsi.
Avrei ridotto in brandelli la mia dignità solo per una banale ragazzata. Per una follia che però aveva rimosso, in quegli istanti magici, tutto il veleno della mia vita. Tutte le sofferenze per un padre che aveva preferito un amore superficiale e dettato dal semplice scambio di fluidi, piuttosto che una sola famiglia, ora distrutta. Tutti gli spasmi involontari rinchiusi nella mia testa nel vedere, appoggiato di schiena al cancello della scuola elementare, i miei amici che correvano trafelati con quei loro sorrisi stampati in volto verso i loro padri, che inginocchiati e con le braccia tese li avvolgevano nel loro caloroso abbraccio mentre io me stavo in disparte ad annegare nel desiderio di affetto.

Affetto che mi era sempre stato negato da un padre che compariva in ogni copertina, che si prestava volentieri alle interviste dei giornalisti per parlare della sua nuova vita, mentre il mio cuore si sbriciolava piano, pezzo dopo pezzo, finché non nè sarebbe rimasto più nulla.
Diventato più grande, comprendendo che non sarebbe servita a nulla la sua presenza, smisi di invidiare gli altri che godevano della loro famiglia, mentre io osservavo apatico la vana felicità consumata nei ritratti della Nikon di mia madre.

Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora