Capitolo 28

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[Pov's Sofia]

Balzai con un forte slancio nella Porche del mio professore, in realtà dopo quello che avevamo fatto, non potevo riuscire a definirlo un prof.

Mi accomodai comoda sul sedile destro, accanto al comando delle marce e mi tirai la porta dietro, bloccando di conseguenza la portiera. Sul piccolo cruscotto iniziò a lampeggiare un piccolo pulsante rosso.

Ora le urla del di fuori venivano attutite dal robusto spessore del finestrino, ma bastava fare due più due per concludere che tra quelle confortevoli mura si era scatenato il fuoco dell'inferno.
Alan mi aveva gentilmente spinto fuori dalla questione di massima importanza che stava per proporgli il mostro che aveva come padre.
Doveva esserlo, visto che secondo Allison il suo ex marito aveva abolito quelle visite nel momento in cui suo figlio era stato irremovibile alla riappacificazione.
Dopotutto aveva ragioni più che valide per non concederglielo, dopo tutto quel male, quei dolori, era il minimo che dovesse a sé stesso. Ora poteva riprendersi la sua rivincita, era un uomo con un solido tenore di vita, non era più un bambino a cui non dicevano nulla per paura della sua improbabile reazione, ora guardava la realtà nella sua forma più pura e onesta, e io non avevo mosso proteste, volevo che Alan sistemasse il problema con le sue sole forze per dimostrare che non era debole e non aveva bisogno di quella patetica presenza.

Ero sicura che lui sapesse lottare, anche cadere, ma poi rialzarsi come un guerriero. Una, due, tre ferite non avrebbero fatto altro che rinvigorire il suo spirito.

La vita non era che un rettilineo noioso, disseminato di zone nascoste, pericoli imprevedibili che sbucavano fuori come scheletri per spaventare, ma la difficoltà maggiore era forse resistere, continuare a camminare, superare con un bagaglio povero di ricchezze materiali ma ricco di nobiltà e bontà, perché se un minimo spazio per quello era inesistente allora eravamo un mucchio di ossa, carne senza importanza, che finiva per mutare in polvere, una volta giunti alla fine trascinata, da una leggera folata di vento. Alan forse sentiva questo venire meno, ma lui che più di tutti, aveva ricoperto la sua anima di corazze infrangibili, non avrebbe dovuto farsi vincere.

Non era solo, forse prima non aveva altro che la sua barriera per osteggiare il suo nemico, ma adesso aveva me e in due era più facile abbattere tutti gli ostacoli.

E io gli sarei stata vicino fino alla fine dei tempi, fino al mio ultimo alito di respiro terreno, senza mai abbandonarlo perché anche la morte non era che una dimensione che ci connetteva al mondo in un altro modo, ma ci faceva restare qui.

Finché ci sarai tu al mio fianco, io viceversa starò al tuo ricordi?

Vorrei tanto sentire di cosa staranno discutendo, ma dopo un iniziale ripensamento, decisi di starmene buona nella sicurezza della Porche. Rovistai nelle tasche dei jeans attillati blu scuro e accesi il telefono, che fino a quel momento era rimasto spento, per non aver collegamento col mondo mentre consumavo gli ultimi attimi con Alan Taylor.
Non appena la tastiera si sbloccò, i miei occhi si sgranarono quando si soffermarono sulla cartella dei messaggi ricevuti.
Circa una cinquantina.

Chissà perché quando tenevi il cellulare sempre acceso nessuno ti cercasse, mentre invece se era il contrario, tutti avevano la briga di disturbarti. Aprii con il touch del dito e una fila di messaggi dello stesso mittente mi si presentò dinanzi.

'Ehi, Sofia!'

Era Josh, il mio adorato compagno di stanza, con una spiccata capacità di rompere le scatole.
Aprii il primo, lessi velocemente e lo cestinai per prevenire che si intasasse la memoria.

'Sì può sapere dove sei finita, cretina!'

'Non ti permetto di ignorarmi, né la mia affascinante persona né i miei messaggi birbante!

Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora