Capitolo 11

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Eccomi qui, wappadiani!
Un nuovo aggiornamento della 'La tua Canzone' esprimete i vostri migliori giudizi perché oggi entreremo nel pieno dei misteri.
Cosa succederà fra Alan e Sofia? e cosa fra Tania e Josh? quale sarà il piano che li coinvolge?
Non dico nulla, seguitemi :)

Italia, Caserta.
Ipotetica ora di colazione

[Pov's Tania]

Avevo chiuso gli occhi da un quarto d'ora dopo la chiamata di quell'idiota del Minnesota, e mi ero ritrovata a riaprirli osservando le righe parallele che i raggi diurni disegnavano sulle lenzuola. Mi girai grugnendo e detti una veloce occhiata alla piccola sveglietta sul comodino.
Erano le sette in punto.
Che palle, pensai spostando lo sguardo al mio monospalla già pronto appeso allo schienale della sedia, oggi c'è scuola.
Era martedì, alla prima ora mi aspettava la torturatrice di formule matematiche e dello storpia italiano.
Mi è risultata antipatica dalla prima volta che è entrata in classe, al primo superiore, e credo che la cosa sia reciproca perché io e Sofia eravamo la sua carne preferita.
Per evitare non ci restava che essere assenti. La cosa succedeva spesso, tanto che mandarono a chiamare i nostri genitori che ci fecero la paternale ovviamente.
Mi voltai a pancia in su osservando il soffitto, il torpore della coperta, il fatto che fossi infagottata e la poca voglia di issarmi in piedi mi costrinsero a non smuovermi dalla mia posizione. Mi sollevai di poco, dritto dinanzi a me, la testa a malapena visibile di Giulia chiusa nel suo involucro.
Non mi ero proprio accorta del suo ritorno. Chissà poi a che ora era rincasata, forse alle due, quando io stavo nel pieno dei miei sogni cullata nella braccia di Morfeo.
Serrai di nuovo gli occhi, sospirando. Avevo sonno, le mie palpebre parevano due incudini, nella mia testa c'era ancora un breve residuo della ripassata della storia latina di Roma, nelle orecchie la stridula voce della cornacchia.
Zero voglia.

<<Tania!>>
Una voce lontana si elevò nell'appartamento in quella primitiva alba. Sbuffai, sfilando il cuscino da sotto la testa per lanciarmelo sulla faccia e stringendolo con entrambe le braccia. <<Tania!>> ripetè, questa volta con tono più di imposizione.
<<Ehi, dormigliona.>> mi canzonò Giulia con la voce impastata di sonno, mentre dormiva comodamente in posizione supina, con un braccio penzolante.
<<Da che pulpito.>> La rimbeccai.
<<Devi andare a scuola, Tani.>> disse lei a sua volta, mettendo il broncio.
<<E tu a lavoro.>> feci.
Lei tacque.
Quando mi sfidava a cercare le scuse più consone per rimanere incastrate nelle lenzuola vincevo sempre io, anche se poi nonostante tutto non ce ne restavamo mai nel letto, perché mamma ci costringeva a fare colazione.
Presi il cellulare da sopra il comodino e notai con molto piacere di aver dimenticato di spegnerlo, infatti la batteria era al dodici per cento. Abbassai la luminosità del cellulare per prevenire che si scaricasse definitivamente e guardai nella cartella dei messaggi ricevuti.
Uno solo mi era arrivato.
Mittente sconosciuto.
Volevo tanto non leggerlo, ma fui costretta, perché vi era scritto come postilla

"leggi, questione di vita o di morte"

Letto questo mi venne da ridere e passai al seguito: "Chiedi prima ai tuoi il permesso, inventati qualsiasi scusa. Josh"
Il mittente era Watson.
Il cretino di stanotte.
Scrissi un veloce 'va bene' e inoltrai allo stesso numero.

<<Chi era?>> Mi domandò Giulia, sentendomi parlare ad alta voce.
<<No, nulla. Un cretino.>> risposi.
Mi misi a dormire e fu davvero una pessima idea, perché la figura di mia madre fuori di sé, imbracciata di scopa come di un fucile spalancò la porta e a passi più rumorosi di un elefante in un negozio di gioielli, inclinò le persiane e la luce ormai più forte e vivida penetrò in tutta la sua invadenza nella stanza.
Giulia e io protestammo.
<<Mamma!>> gridammo in coro sollevandoci dal comodo posticino. Lei appoggiò la scopa al bordo della scrivania e ci privò delle coperte, scaraventandole sul pavimento come povere anime ignude.
<<Non voglio sentire nulla. Alzate i vostri bei corpicini e venite a fare colazione, che è tardissimo e poi non vi lamentate.>>
Io sbuffai, come mia sorella, a cui adesso toccava il dovere, quando poi la sera precedente se l'era spassata con il suo quasi marito John a Margellina. E io?
Che dovrei dire! Tutta la serata a fare il sedere quadrato piazzato sulla sedia, porre al servizio la mia testa per fissare il latino, rispondere a un cretino a mezzanotte e starlo a sentire. Avrebbero dovuto proibire le chiamate internazionali a mezzanotte e non permetterle.
Mamma lasciò la stanza con un grande sorriso di vittoria stampato sul volto, mentre Giulia e io ci sedemmo sul ciglio del letto, combattute o meno sulla prospettiva alquanto pallosa della scuola e del lavoro.
<<Ti va se lo uso prima io il bagno?>>
<<Certo, a patto che non ti ci stai dentro, perché non ho voglia di aspettarti come tutte le mattine.>>
<<Be' c'è un altro bagno al pianoterra, vai lì.>> mi disse, prima di sparire dalla camera con l'intimo e gli indumenti giornalieri ovvero gonna e qualche volta anche con pantalone e una bella camicia. Chiuse con un forte tonfo la porta del bagno contiguo alla camera matrimoniale dei nostri genitori e si infilò nel vano doccia da cui forse ne sarebbe uscita passato un anno.
Non era molto svelta mia sorella quando si trattava della sua cura personale; ci metteva tre ore persino a vestirsi e altre tre a truccarsi e ricoprirsi di profumo, era una vera tartaruga certe volte.
Meno male che tra poco si sarebbe sposata e questo problema sarebbe passato al povero John.
Non è bello fare il palo vicino alla porta ve lo garantisco!
Non appena le ricordavo la mia presenza, incitandola a muoversi, lei rispondeva stizzita 'un minuto!'
Io annuivo. Mi arrendevo all'idea che quel minuto fosse in realtà un'altra ora e scendevo al piano terra dove avevamo un bagno di servizio che nessuno utilizzava.
Una fortuna aggiungerei se in famiglia c'è una ritardataria incallita che era solita prendere servizio all'Asl un'ora dopo l'orario previsto.
E lei aggiusterebbe la mente delle persone?
Prima dovrebbe sistemare la sua.
Scesi le scale ancora ingoffata nel mio pigiama, affacciandomi dal cornicione del salone per salutare mia madre e mio padre che erano già seduti a tavola. Poi andai verso la fine del corridoio, la cui ultima porta era il secondo bagno.
La aprii, ci entrai e chiusi la porta a chiave, ci tenevo alla privacy.
Mi spogliai velocemente, mi sedetti nella vasca, passai la saponetta alla fragola dappertutto venendo invasa da quella dolce essenza paradisiaca, poi aprii la manopola e con un getto di acqua tiepida risciacquai. Feci un veloce shampoo, mi attorcigliai la chioma nell'asciugamano, li frazionai col phon ciocca a ciocca, poi me li lisciai perché di natura i miei capelli sono una via di mezzo tra pazza scatenata e la sorella dei cugini di campagna; li legai in una coda alta, anche se poi decisi di farli scendere sulle scapole.
Tempo record. Uscii dal bagno.
Non badavo molto alla cura, cose essenziali, fatte bene, ma velocemente. Lasciai il pigiama piegato sulla lavatrice, poi tornai nuovamente al secondo piano.
Mi avvicinai alla porta del bagno sentendo il rumore dell'asciugacapelli così decisi di non disturbarla ulteriormente.
Andai direttamente nella mia camera, la seconda porta, che divide lo stanzino che mamma usa come ripostiglio, rischiando di inciampare nei panni gettati alla rinfusa da Giulia, che erano quelli della serata precedente.
Li ammucchiai sul letto, recuperai il monospalla, un cappottino beige di pelle e il telefonino, poi scesi definitamente a fare colazione.

I miei erano a tavola.
Mamma stava tergiversando del caffè nella tazza di suo marito, che seduto comodamente si informava delle ultime novità del capoluogo campano, in genere, sempre negative forse perché ci trovavamo in una zona dove tutto era malato e dove la gente cestinava i loro rifiuti dove voleva anche a costo di distruggere una cosa cara a tutti come la salute. Papà sbuffava sempre quando tali notizie risaltavano in prima pagina con così importanza, anche perché era una forma per deridere tutti i napoletani, solo perché i maggiori camorristi erano nati qui a Caserta non significava che bisognava di fare tutta l'erba un fascio.
Ma questo a nessuno importava.
Li salutai e mamma alzò il capo dal liquido marrone.
<<Oh, Tani.>>
<<Buongiorno.>> rispose anche papà, quando mamma gli diede un calcio sulla gamba da sotto al tavolo e a stento trattenne un ahia intrappolato fra i denti stretti.
<<Dov'è Giulia?>>
Io mi sedetti al lato destro della tavola, richiedendo la mia parte di colazione. <<A farsi bella.>>
Mamma ridacchiò, e mi passò una merandina, che inzuppai nel cappuccino.
<<È sempre la solita.>> commentò anche lei, portandosi una mano fra i capelli biondo cenere di scarsa lunghezza.
<<Sono adolescenti, cara.>> aggiunse papà con gli occhi portati sul giornale.
<<Sì, Tania! Ma Giulia ha ventiquattro anni, è bene che impari a fare le cose di fretta.>>
<<Be' se lo vedrà suo marito. Non preoccuparti Carolina.>>
<<La fai sempre facile, Giacomo.>> protestò mamma, bevendo dalla sua tazza ma allontanandosi subito dopo perché si era scottata il labbro.
Non sapevo se fosse il momento giusto per dire ai miei quello che mi aveva proposto Josh, sapevo benissimo che la cosa non sarebbe stata fattibile, sopratutto perché ci voleva un permesso scritto per la scuola, non era una passeggiata, ma comunque non era un male provare, perlomeno parlargliene. Amavo i miei genitori, erano i miei grandi amici di vita ed erano riusciti ad aiutarmi negli avvenimenti peggiori, non mi avrebbero mai abbandonato, loro mi capivano, erano le uniche persone con cui potevo dire di essere felice, oltre a Sofia.
Ma mi avrebbero sostenuto? Avevo paura di parlare, ma non potevo tacere, dovevo dirlo anche perché Josh voleva che gli dessi il mio via oggi pomeriggio. L'occasione era la colazione.
Forza Tania!
<<Mamma, papà.>> li chiamai.
Mamma lasciò la tazzina sul piattino puntandomi i suoi occhi a mandorla per cercare di leggermi nel pensiero. Anche papà non appena si sentì nominare piegò il giornale e lo dispose affianco a sé.
Si portò la tazzina alle labbra.
<<Cosa succede?>> fece mamma già pronta a interrogarmi.
<<Ti vedo preoccupata.>> aggiunse anche papà.
In effetti lo ero.
I loro occhi puntarono la mia figura. Strinsi il telefono nelle gambe quasi a volerlo disintegrare, mentre rimasi in silenzio abbassando il volto.
<<Tesoro, ti senti bene?>> domandò mamma finendo la sua merenda.
No, non stavo bene ma mi ero ripromessa di non impensierirli ulteriormente già avevano i loro problemi di famiglia.
<<Sì.>>
I due sospirarono sollevati.
<<Però.>> continuai io e loro sussultarono. Papà fece cadere un po' di caffè macchiando la tovaglia, mamma rimase con un pezzo di merenda ancora in bocca.
<<Insomma...>> tentennai.
I loro occhi mi pregarano di porre fine ai loro sentimenti drammatici.
Io lo feci e con semplice chiarezza, tanto da scuotere il loro equilibrio mentale dissi.

<<Posso andare via?>>

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Angolo della Autrice

Salve amici!
Grazie per le oltre mille visite, vi adoro e spero continuerete a seguirmi. Allora Tani vuole andare via! Quale sarà la risposta di Carolina e Gianni?
Nel prossimo capitolo..
Baci, Jo_14






Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora