Capitolo 19

414 50 38
                                    

Vi ricordo che da oggi è disponibile sulla piattaforma social Facebook una pagina dedicata a questa storia, dove ogni settimana verranno pubblicate molte cose: curiosità sui vostri personaggi preferiti, certi di sapere ogni cosa? Beh, non credo.
Inoltre vi aspetteranno giochi, quiz e premi [quali? Facile! La dedica di un capitolo, tutto per voi]
Inoltre è presente un gruppo e vi potete accedervi liberamente dove vi saranno sondaggi, e avrete la possibilità di scegliere il vostro personaggio preferito in assoluto.
Le pagine sotto citate con relativi link ---> https://www.facebook.com/latuancanzone2130/
Copiate e visitate la pagina e il gruppo
'La Tua Canzone- Your Song'
Dopo questo vi lascio al diciannovesimo capitolo.

***

[Pov's Alan]

I sogni sono la rappresentazione dei nostri più reconditi desideri, per altri invece sono premonizioni catastrofiche. Io personalmente non posso esprimermi, non so come poter interpretare il mio.
Mi ero buttato di malavoglia sul letto confortevole credendo di essere di fronte a una nuova notte di insonnia, ma invece per la prima volta due incudini mi avevano forzatamente chiuso gli occhi sul mondo, cullato da dolci acque quasi come se avessi avuto l'impressione di precipitare nel vuoto assoluto con il mio corpo che sussultava istintivamente.
Quando mi sono ridestato dal grande finestrone con vista sul lago penetravano timidi fasci luminosi proiettati sul pavimento e un forte effluvio dei restanti fiorellini selvatici che costeggiavano la riva del lago, che parevano allietare e dare un primo assaggio di primavera, anche se eravamo molto lontani e la stagione fredda avrebbe ancora regnato dispotica sulla cittadina.
Mi voltai d'istinto e trovai un corpo uguale al mio che mi ostacolava. Un corpo minuto dalle dolci linee, una carnagione pallida e perfetta, una pelle profumata, i capelli dalle morbide onde corvine rese luminose dalla luce diurna, gli occhi chiusi e le ciglia lunghe e naturali che sembravano accarezzare l'atmosfera intorno a me che sembrava irreale. Lei era irreale, il modo in cui la guardavo, perdendomi come uno sciocco in ogni suo dettaglio lo era. L'avvallamento del bacino, a metà coperto della lenzuola cascanti sul pavimento, il sonno in cui pareva imprigionata, le braccia conserte sotto al cuscino, una guancia posata delicatamente sulla federa, una mano che mi sfiorava delicata un punto del mio petto discinto.
Sembravo un pittore che esaminava la sua musa prima di abbozzarla su una tela. Ma come si faceva a tratteggiare qualcosa di più nobile come quella creatura?
Cercai di non disturbarla. Era così bello vederla nella sua massima espressione naturale, bearsi di quello spettacolo ogni giorno imprimendomi nella testa le sue labbra, il suo petto senza veli e il modo tranquillo con cui le lenzuola si alzavano e abbassavano come la calma marea in un giorno d'estate.
Mi sollevai scoprendo con stupore che ero completamente ignudo, e puntai lei nel letto, sul punto di rinvenire visto che faceva un mezzo sorrisetto. Il mio pensiero era che avessimo fatto l'amore, dimostrandoci a vicenda quanto ci amavamo, questo spiegava anche i vestiti seminati e lasciati sull'uscio.
«Buongiorno.» mi disse lei, sollevandosi di poco in modo che io restassi fulminato dalle forme che poco prima erano state mie.
«Buongiorno.» feci, anche se confuso. Lei si sistemò un lembo all'altezza del petto, e mi diede un bacio che mi lasciò senza respiro.
Il cuore tamburellava così forte, iniziavo a sentirmi un leone. Mi spostai senza darle il tempo di lasciare il letto e mi posizionai sopra senza schiacciarla.
«Dai, Alan.» protestò, cercando di divincolarsi, ma io la bloccai e iniziai a massaggiarle un fianco.
«Ormai sei mia.» decretai.
Mi tuffai nell'incavo della clavicola e le lasciai una scia di baci sul collo. Mi lasciava fare, come se fossi il suo padrone e non potesse disobbedirmi, con quel sorriso sincero e casto che amavo.
«Alan devo lavorare!»
Mi ritrassi e la guardai da sopra, come se avesse detto qualche stupidaggine.
Da quando Sofia lavorava?

Non feci in tempo a rimuginare sulla risposta che precipitai e mi ritrovai nello stesso posto di prima sobbalzando, e come se avrei trovato qualcuno vicino tastai affianco a me, non c'era lei.
Avevo sognato.
Pure i sogni a un certo punto svaniscono, e noi siamo solo vittime del loro stupido gioco.
Con delusione mi alzai dal letto e mi recai nel bagno per sciacquarmi il volto, volevo eliminare quella sua immagine che mi era rimasta impressa. Aprii la manopola e il getto forte dell'acqua mi scivolò dalle mani. Con i palmi gocciolanti presi l'asciugamano scrutando con aria critica la figura trasandata attraverso il vetro dello specchio.
Sciacquai il volto rimuovendo la patina di spossatezza che mi si era depositata addosso durante le ore notturne. Presi dal mobiletto i boxer neri, una camicetta sbottonata che mostrava il petto, pantaloni lunghi, riordinando con il pettine la chioma portandola all'indietro e mi spruzzai addosso una fragranza maschile.
Uscii dalla stanza discendendo le scale, trovandomi a osservare mamma già in piedi preparare per una volta il primo pasto della giornata. Una volta giù la salutai con un cenno della mano e mi disposi a sedere per accogliere la ciotola di corn flakes. Notai con frustrazione la temporanea assenza di Sofia, probabilmente avrei dovuto andare a svegliarla come lei aveva fatto con me in quella dimensione surreale.
«Mi vuoi chiedere qualcosa?» mi interrogò mia madre appoggiando sul tavolo una bottiglia di vetro.
Io incassai lo sguardo alla ciotola enpiendola di latte.
«Sei sicuro?»
Mi limitai a ingerire grandi quantità, in modo che avrei potuto trovare una scusa plausibile per non obiettare sul suo presentimento.
Il rumore delle piccole pantofole verso la fine delle scale di legno mi fecero alzare lo sguardo, e vederla fece martellare il cuore nelle tempie. La sua esile forma ricoprita da una piccola camicetta da donna, un reggiseno della terza misura che vi si intravedeva. Al di sotto un paio di slip bianchi succinti che esibivano le belle gambe magre. Le anche ondeggiavano a ogni passo, finché non si sedette di fronte a me, che fingevo di non averla scrutata, e conquistava la sua ciotola.
«Era da un pezzo che non riposavo così bene. I letti lasciano a desiderare al college.» ci disse, cominciando a mangiare.
Allison di sedette al centro della tavola con una sua porzione.
«Mi fa piacere che abbia dormito bene, tesoro.»
Sofia la guardò e le sorrise amichevole. I suoi occhi dalla trama verde parevano brillanti.
Forse era una conseguenza del troppo immaginare, forse volevo solo trovare una scusa, forse sto impazzendo e non ho più controllo. La vedevo in chi incontravo, nei miei sogni e nonostante tutto cercavo sempre di allontanarla, anche se il mio cuore iniziava a darmi segnali che non volevo in alcun modo decifrare. Piazzai la testa in quella brodaglia mattutina decidendo di astenermi dal discorso confidenziale che interessava le due donne che condizionavano in meglio e in peggio la mia esistenza.
«Ti piace il Wisconsin?»

Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora