Verità.
Obbligo.
La rudezza di un gioco.36.
«Allora che decidi?»
«Posso ormai confutare che sei insopportabile.»
«Grazie, adoro essere insopportabile idiota notturno senior, molto più che giocare a Obbligo o Verità.»Iniziò a ridere mentre le davo mentalmente della sadica.
«Comunque, sfido la sorte.»
«Uhm, buon per te.»
«Obbligo.»Eravamo l'uno di fronte all'altra, accovacciati vicino al piccolo tavolino di legno in camera. Tania armeggiava come un barman coi cocktail una bottiglia di spumante che avevo trovato nel cassetto di Hendrik Moore sepolta circa tre mesi prima dal nostro ultimo festeggiamento. Sulla sua faccia un ghigno diabolico pareva farsi scorgere mentre con un movimento rotatorio del polso faceva compiere un giro completo al piccolo cilindro allungato.
Io fissavo prima lei, poi la bottiglia con la fronte grondante di gocce di sudore e ingoiavo un piccolo groppo in gola come se quel gioco fosse l'inizio della mia morte.«Sicuro, obbligo?»
Cercò di incutermi timore aiutata anche dalla torcia del suo cellulare, mentre le unghie graffiavano sulla superficie dell'oggetto che si fermò puntandomi con il suo collo.
«La bottiglia in realtà servirebbe per un'altra cosa, e sarebbe anche inutile visto che siamo due.»
«Beh, renderemo le cose più interessanti.» rispose lei.«Hai detto obbligo?»
«Mi sarebbe piaciuto giocare ad Uno, ma sì Tani. Obbligo.»Si portò istintivamente una mano alla guancia massaggiandosela, mentre i gomiti si puntellavano sul tavolo ancorandosi all'instabile struttura di legno disposta al centro del piccolo ambiente.
Con l'ausilio del dorso delle mani Tania si sporse per raggiungere il mio volto che necessitava di una nuova iniezione di coraggio.Quell'insignificante gioco da quattro soldi mi stava azzerando la fiducia che avevo accumulato, nel corso degli anni, in me stesso.
Tra qualche frazione di secondi qui in questa stanza sarebbe scorso del sangue e per la precisione quello di Josh Watson.Non provavo un certo timore nel dire assolutamente la verità o ad abbassare la mia autostima in cose infantili o in bassezze disgustose, ma lei, lei mi spaventava, il modo con cui giocchicchiava con la bottiglia ma senza prestarne alcuna attenzione.
Mi fissava lei, seria, attenta, senza proferire parola, ma i suoi occhi azzurri come il mare che parevano brillare alla penombra erano iniettati di sadismo e la linea delle sue labbra prima retta si piegò all'insù. «Bene, sei pronto?»
Faticosamente cercai di tenere spalancate le palpebre in modo da visionare e imprimere nella mia testa tutto ciò che una volta morto avrei lasciato. La stanza, la finestra che disegnava, come un programma per fotomontaggi, dei lunghi fasci argentei che si scagliavano contro le doghe del pavimento o il suo viso, il volto di Tania incorniciato dai capelli crespi di un fulgido rosso o l'intaglio europeo dei suoi occhi vispi come quelli di una lince.
Magari fosse esistito un pulsante reset, apparso nel nulla come nei videogiochi per fermare la scena, ma nulla, niente bottone, niente.
«Uhm, beh.. se proprio devo.» balbettai per niente certo della risposta. «Sì, ma ti prego non essere cattiva con me.» la implorai con una faccia a dir poco pietosa, come un cucciolo che vuole richiamare la sua porzione di ossa. «Ma gli obblighi non sono cattivi, sono solo le regole del gioco.
Se le accetti bene, altrimenti ti consiglio di non barare, perché fiuto gli inganni a chilometri di distanza.» piegò una falange sulla bottiglia e io abolii la versione cucciolo ferito per indossare quella di combattente rinvigorito.
«Non nè ho intenzione dear.»
Lei assottigliò le fessure fino a renderli spiragli e inquadrarmi bene per appurare la veridicità delle mie ultime parole.
«Non mi credi?»
Lei inspirò a pieni polmoni, alzando con una mano il piccolo trofeo di vetro.
«Da un playboy non mi aspetto il massimo, ma cercherò di fare un sforzo.»
«Una vittoria aiutata dal barare, per me non è una vittoria.»
La udii ridere, e la sua risata riempiva il silenzio di una notte insonne come un cameo a cappella senza alcuna sinfonia ad accompagnarlo e mi resi conto di quanto quello mi rendesse difficile trovare la giusta concentrazione.
«Va bene, asseconderò le tue manie ma non sperare che te la dia franca solo perché sei il playboy del college e nessuna, fino ad ora, ti ha potuto resistere.» probabilmente asseriva alla sua persona, ma non doveva subito permettersi di cantare vittoria, perché prima o poi il morso avrebbe fatto effetto in modo permanente e come una farfalla sarebbe rimasta impigliata nella rete delle mie avances.
Gonfiai il petto.
«Non è detta l'ultima parola.»
Mi guardò di nuovo e quei suoi sguardi di fuoco furono stilettate conficcate nel mio cuore.
«Vedrai sarà così.»
La sua bocca dischiusa mimò un ti piacerebbe idiota, che io mi limitai ad ignorare. Ti conquisterò, pensai, raddrizzando la schiena.
«Te lo devo ripetere?» mi chiese con stizza mentre portava un dito alla tempia. «Sono già impegnata.»
«Si, come no? E io sono sposato con Kate Middleton.»
«Oh, povera!» strillò mentre le pareti assorbivano l'eco.
«Stare con un marito idiota? Non la invidio per niente.»
Ridacchiai conquistando come un soldato greco la tanto agognata Troia, mentre mi rimbalzava dritto in faccia la sua gelosia segregata con fermezza.
«Kate è fortunata.» dichiarai, mentre percepivo a occhi chiusi i suoi sbuffi ripetuti nel cuore della notte mentre esaltavo le doti di mia moglie.
«Fortunata? Direi con un piede nella fossa, e ora per piacere puoi smetterla.»
Missione compiuta, sussurrai più a me stesso che alla coetanea dall'altro lato, che tratteneva la bottiglia nelle sue mani come una bambina col suo giocattolo intoccabile. Okay, è gelosa.
«Vuoi dire che sei-» ma non mi lasciò terminare e proseguì lei. «Vuol dire che vorrei iniziare a giocare prima che la notte diventi mattina, grazie.»
«In realtà sei gelosa di Kate.»
Un nuovo sorrisetto smorzò le sue labbra serie e mi consegnò una nuova vittoria su un piatto d'argento.
«No, spero tu stai scherzando! Non che non sia una bella ragazza, ma io sono meglio, molto meglio.»
«Manie di narcisismo? Male, Bergazzi Watson.» la punzecchiai e lei cercò di lanciarmi l'oggetto di vetro dritto nella faccia, ma io fortunatamente evitai lo spargimento di sangue bloccandole con forza le mani.
Le sue braccia indemoniate si placarono trattenute dalla chiusura delle mie mani tese verso la sua figura a formare una x intrecciata. Aprì le labbra per muovere altre proteste, ma all'ultimo momento decise di tacere mentre io iniziai ad allentare la stretta.
«Sei più calma?»
Mi fissò intensamente come se dinanzi al suo infinito campo visivo non esistesse altro che il mio bel volto, e annuì fiacca come una belva rabbiosa a cui avevano sparato una freccia di tranquillanti, mentre lentamente cercavo di avvicinarmi goffamente, ma il più lento possibile in modo da non aizzare qualche suo gesto omicida volontario. Proseguii spedito e mi innalzai piano in equilibrio con le gambe piegate fino a che non superai di poco la sua figura minuta. «Prometto che non ti punzecchio più, okay?» le promisi, ma non ero certo di voler mantenere quella promessa.
Le toccai le scapole e discesi verso gli avambracci, mentre lei non si muoveva, non mi allontanava, stava a quel gioco che avevo montato senza problemi, come un cagnolino a cui avevano dislocato una zampa e non mi piaceva, la preferivo forte e agguerrita, ma pian piano ogni suo lato celato stava sgusciando fuori e io morivo dalla curiosità di conoscerne tutti i dettagli. «Ti sei offesa?» le chiesi dolce, ma lei non accennò a rispondermi. Mi avvicinai che sentivo il suo fiato condensato carezzarmi le guance. Era lento, faticoso, ma i brividi che correvano su per la schiena erano veloci come scariche elettriche.
Le scostai il grande ciuffo rosso, e lei seduta, non accennava a nessun movimento come paralizzata.
Combaciai alla perfezione col suo petto, e notai quanto il suo cuore stesse scalpitando impazzito e si univa al mio come un tutt'uno.
Le sue labbra erano come segnali di direzione che mi guidavano al piacere assoluto, ma preferii superare la piazzola, e inaspettatamente le mie labbra si scontrarono con la sua fronte con dolcezza, che la avvertii sussultare e inspirare con più rapidità.
Tuttavia nella mia testa si scatenò la confusione, estasi, paradiso e una sorta di frustrazione per qualcosa di più di un casto bacio quasi paterno sulla fronte.
Ma non assecondai nulla e mi riabbassai fino a incontrare i suoi occhi dilatati e sorpresi.
«Allora giochiamo!» esultai, mentre lei voleva ribattere anche su quel piccolo anticipo, ma non le uscirono le parole adatte così con una scrollata di testa lasciò perdere e diede inizio alla lotta.
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Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]
Romance● Capitolo #1 ~ Perdono? revisionato il 05/03/16 Alessia si trasferisce in America per frequentare un college musicale. Incontra Josh che diventa suo amico e coinquilino, ma sarà l'incontro con Alan a stravolgerle completamente la vita... Pagina...