Capitolo 1: Un ultimo anno

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«Un altro anno. Solo un altro anno e poi sarà tutto finito» sto ripetendo questa frase da quando ho ripreso ad alzarmi alle sei dopo tre mesi durante i quali colazione e pranzo sono stati la stessa cosa.

Provo a convincermi che dopotutto non sarà così male, che rivedere tutti i miei amici e brindare con loro in piazza mi abbia rallegrato la mattinata, ma nel momento in cui attraverso il portone di una scuola che non è quella che ho frequentato per gli ultimi quattro anni sento un nodo allo stomaco.

Sfortunatamente alcune aule del nostro solito edificio scolastico sono inagibili a causa di alcuni lavori di ristrutturazione che si protraggono dalla primavera scorsa e, dato che non fare entrare alcune classi non era possibile, la preside ha deciso in piena autonomia – comunicando la notizia solo il giorno prima dell'inizio della scuola quando ormai aveva già organizzato tutto e sarebbe stato impossibile protestare – di spostare il nostro corso in un istituto sempre sotto la sua giurisdizione. Ovviamente non le è passato neanche per un secondo per l'anticamera del cervello che forse dopo quattro anni una persona si sia abituata a frequentare un determinato posto, conosca la maggior parte degli studenti e non abbia piacere a essere spedito lontano dai suoi amici.

Se non fossimo stati abbastanza entusiasti per l'inizio dell'anno dopo questa comunicazione improvvisa, quello che è successo durante il resto della mattinata non è certo servito a migliorarci l'umore: tanto per cominciare abbiamo ricevuto un'altra terribile notizia (la nostra professoressa d'inglese ha ottenuto il trasferimento in una sede più vicina a casa sua, per questo motivo ora dobbiamo aspettare che il provveditorato nomini un nuovo docente; non sono molto entusiasta della cosa, a differenza di alcuni miei compagni, e spero che si sbrighino perché essere indietro con il programma di letteratura inglese l'anno dell'esame di stato non è il massimo), mentre agli altri professori, non considerando che siamo appena tornati dalle vacanze e che magari almeno un giorno per riassestarci ci avrebbe fatto comodo, hanno iniziato subito a spiegare. Mi rendo conto di essere stata io stessa a dire di non voler restare indietro, però così mi pare addirittura esagerato. Dove sono finiti i bei vecchi tempi in cui si facevano domande su come si fosse passata l'estate?

Quando suona l'ultima campanella tiro un sospiro interno perché questa ultima prima giornata di scuola assurda è finita, alcuni dei miei compagni non sono così discreti e sbuffano sonoramente, la professoressa d'italiano, quella che avevamo all'ultima ora, lancia loro un'occhiataccia, ma non li rimprovera, sospetto che sia perché hanno fatto esattamente quello che farebbe anche lei se solo non fosse poco professionale; constare quanto lo stesso corpo docente sia scontento di questa nostra nuova locazione (alcuni degli insegnanti sono ora costretti a fare avanti e indietro da questa all'altra sede nei loro spacchi) non fa altro che aumentare i dubbi su chi abbia consultato la preside per prendere quest'assurda decisione e soprattutto chi l'abbia approvata.

Esco da scuola e avverto un tremendo senso di smarrimento attanagliarmi lo stomaco, deglutisco e cerco di scacciarlo mentre mi mischio a tutti quegli studenti che non ho mai visto.

Guardo l'orologio e sono lieta che per il primo giorno ci abbiano concesso di uscire alle undici, in realtà anche l'orario d'ingresso era posticipato alle nove, ma noi ci siamo incontrati nella piazza sotto la nostra scuola per brindare all'ultimo anno con le altre quinte e poi siamo venuti qui insieme. Per arrivare abbiamo dovuto prendere pullman e metro e adesso mi toccherà rifare lo stesso lungo tragitto anche al ritorno, una strada molto diversa da quella che ho percorso negli anni in cui la scuola era vicino a casa mia. La parte peggiore è che nessuno deve andare nella mia direzione, così sono anche costretta a sorbirmi questo tragitto da sola.

Ho salutato i miei compagni prima di uscire dalla classe perché avevo immaginato che fuori ci sarebbe stata confusione, quindi, non dovendo aspettare nessuno, mi dirigo spedita verso la discesa per la metropolitana.

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