Capitolo 10: Sorprese (parte 2)

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1 giorno fa... il mercoledì delle sorprese incomprensibili

Credo ci sia una qualche strana congiunzione astrale che mi sta impedendo di arrivare puntuale, ammetto che ieri possa essere stata colpa mia, ma proprio per evitare che si ripetesse non ho letto prima di andare a dormire ed ero convinta che oggi sarei arrivata in tempo e invece la metropolitana si è rotta e ho dovuto procedere a piedi. Stavolta non è stata colpa mia e spero che il docente sia comprensivo. Richiamo alla mente l'orario e quasi mi blocco in mezzo alla strada quando realizzo che c'è la Rizia per ben due ore, mi domando chi abbia deciso che un liceo classico debba fare quattro ore di matematica e fisica.

Quando arrivo ai cancelli della nostra sede provvisoria ho venti minuti di ritardo, cinque in più rispetto a ieri e per quanto speri vivamente che Ben abbia intrattenuto nuovamente la professoressa è impossibile perché, se non sbaglio, oggi ha lezione solo nella sede centrale.

Salgo le scale e mi fermo davanti la porta chiusa della mia classe, dall'interno non sento provenire voci e le mie ultime speranze crollano. Apro la porta ed entro.

Credo che la stessa congiunzione astrale che mi sta facendo arrivare tardi si diverta anche a giocarmi dei brutti tiri. Il motivo per cui nessuno parla è che sono tutte in adorazione di Ben, in piedi al centro dell'aula, con un cellulare in mano, è così assorto ad osservare lo schermo che non ha neanche sentito il mio «scusate il ritardo». Sono tutti in attesa di qualcosa, io guardo interrogativa quell'assurda scenetta mentre raggiungo il mio posto. Il quaderno di matematica di Rebecca è aperto sul banco ma non vedendola cerco la sua chioma rossa nel gruppo di studenti. Poso lo zaino e mi avvicino cercando di capire cosa stia succedendo, sento Ben pronunciare una frase: «Ovviamente non sono io, è mio nonno, ho preso il nome da lui. Ora che ho chiarito il vostro dubbio tornate tutti ai vostri posti, vorrei iniziare la lezione.» Gli studenti eseguono il comando del docente e Rebecca mi raggiunge.

«Cosa è successo?» le domande appena ci sediamo.

«La Rizia è ammalata, siccome avevamo delle ore da recuperare ci hanno mandato Ben» spiega molto sintetica mentre fissa il professore che cerca la pagina sul libro. Ero convinta che fosse destinato alla sede centrale, ma in segreteria sono così disorganizzati che non mi sorprenderebbe scoprire che non sanno neanche loro cosa stanno facendo. O forse sono io che ho sbagliato.

«No, per quanto sia una gran bella notizia, non intendevo questo...»

Rebecca annuisce mostrando di aver capito, ma invece di rispondermi lancia un'ultima occhiata a Ben e poi inizia ad armeggiare con il telefono, quando la vedo cacciarlo realizzo che era quello che lui teneva in mano prima. Scorre rapida la galleria immagini e mi mostra una foto che ha salvato da internet: lo scatto è vecchio, più che essere in bianco e nero è marrone, in ritrae un ragazzo sui venticinque anni, alto e riccioluto, ha in mano una scatolina che contiene una croce e accanto lui un uomo in alta uniforme. Il ragazzo mi sembra di conoscerlo... Rebecca fa scorrere le immagini che ora mi mostra il retro della fotografia, c'è una scritta: 1944, Victoria Cross B. Smith.

Una medaglia al valore a Ben per aver combattuto durante la Seconda guerra mondiale?

Lancio un'occhiata interrogativa Rebecca e lei mi spiega: «Ammetto che mi mancava, così ho cercato sue foto in rete, ho trovato questa, mi sembrava strana e quando sono arrivata in classe l'ho fatta vedere alle altre. Quando Ben è venuto a sostituire ne abbiamo approfittato per chiedere direttamente a lui» e ora è chiaro a che domanda rispondesse la frase di prima. Rebecca rimette in tasca il cellulare e controlla in cartella se ha un foglio a righe per prendere appunti. Il nostro scambio di battute non è durato molto, Ben sta ancora ancora organizzando queste due ore improvvise di lezione. Mentre gli altri sono distratti e parlottano tra loro io fisso il professore qui di fronte, per quanto me lo consenta il libro che si è alzato davanti, in effetti ora che ci penso è strano che stando qui vicino non si sia accorto che stessimo parlando di lui. Sposta libro il tempo necessario per portare pagina e mi accorgo che sta muovendo le labbra, i riccioli coprono in parte le orecchie ma ora che presto più attenzione noto l'auricolare: per questo non ci ha sentite, non era troppo assorto per notarci, era anche lui impegnato in una conversazione. Sta parlando in inglese a voce molto bassa ma aiutandomi anche con il labiale che vedo stando così vicina colgo degli stralci «no, non capisci», «sì, l'ho fatto», «mi avevi assicurato che era tutto sparito» in particolar modo l'ultima frase la scandisce con cura e sembra arrabbiato. Non credo di averlo mai visto arrabbiato, neanche quando Rebecca lo interrompeva in continuazione, sono così sorpresa che sussulto, lui alza lo sguardo, controlla la classe e si sofferma su noi due in prima fila: Rebecca ha ripreso a giocare con il cellulare e sembra che gli faccia più piacere questo che rendersi conto che io ho sentito tutto. "Tutto" è una parola grossa in realtà, ma lui non può sapere da quanto tempo sto ascoltando.

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