Capitolo 11: Uscita a quattro

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Convincere i nostri genitori a lasciarci uscire con due ragazzi più grandi e praticamente sconosciuti è stato più facile di quanto pensassimo: quelli di Rebecca da dopo la Fuga – con la "F" maiuscola, ci tiene sempre a precisare – le lasciano molta più libertà, quanto ai miei avevano una qualche cena di lavoro e sono stati felici di sapere che avessi risolto il "problema cibo" per la mia serata, si sono addirittura raccomandati di non tornare prima di mezzanotte così che non restassi fuori la porta ad aspettare. Probabilmente una qualsiasi delle mie coetanee avrebbe fatto i salti di gioia, io invece ho preso la copia delle chiavi dal tavolo all'ingresso e sono uscita con l'intenzione di rientrare non oltre le undici. Non ho niente contro chi vuole passare le nottate fuori casa, ma non sono quel tipo di persona. E neanche Rebecca, per quanto cerchi di fare le ore piccole è consapevole di crollare ogni volta. Probabilmente è da irresponsabili lasciare che le proprie figlie vaghino da sole per la città di notte senza alcuna obiezione, ma io e Reb siamo ancora dotate di un briciolo di buon senso e ci siamo accordate di non fare tardi e restare sempre in coppia in zone trafficate in cui i cellulari prendono. Seguendo queste semplici regole non dovremmo avere problemi; è vero che non siamo al riparo da tutto, ma non siamo certo le prime a partecipare a una uscita (quasi) al buio e molte si sono concluse senza complicazioni, bisogna essere realisti ma non necessariamente anche pessimisti. Sembravano le premesse di una gradevole uscita... e allora perché siamo qui ferme a congelare morendo di noia?





Non riesco a credere che sia stato lui a darci l'appuntamento, a raccomandarci la puntualità e non essere ancora arrivato. Si può sapere che fine ha fatto Tommaso?

Non è proprio corretto dire che stiamo gelando, del resto siamo ancora a cavallo tra estate e autunno, però gli abiti che abbiamo indossato non sono certo l'ideale per stare in luogo aperto ed esposto alle correnti. Io indosso una gonna al ginocchio blu e una camicetta bianca, Rebecca un vestitino verde chiaro a giromaniche, per le braccia io ho in mano un golfino blu e so che lei ha accuratamente ripiegato nella borsetta uno scialle verde scuro, ma entrambe abbiamo le gambe scoperte ed esposte al vento autunnale che è più freddo del solito. Anche se Reb sembra più infastidita dal restare in piedi sulle zeppe alte che da altro. Non sto dicendo che se avessi saputo cosa sarebbe successo avrei indossato gli stivali di pelliccia, ma almeno avrei messo delle calze leggere con le ballerine blu. A dirla tutta, se avessi saputo che sarebbe andata così avrei davvero fatto più tardi e non avrei fatto le corse dopo aver letto male l'orario. Io e Reb abbiamo finito gli argomenti di conversazione e Carlo non è molto socievole, impegnato a tenere d'occhio il suo smartphone in attesa di ricevere notizie dall'amico, ci ha detto che gli mandava un messaggio venti minuti fa e da allora ha provato a chiamarlo un paio di volte senza ricevere risposta.

Alle otto, dopo mezz'ora di attesa, Tommaso si degna di comparire. Non ce ne accorgiamo subito, è Carlo che lo nota per prima e ce lo indica che spunta da un vicolo buio, vestito di nero e con quello sfondo sembra un'ombra... tuttavia il sole non è ancora calato del tutto e quella suggestiva immagine sparisce in un battito di ciglia.

Quel ragazzo mi farà diventare matta, cammina piano con un sorrisetto impertinente stampato in faccia come se non stessimo tutti aspettando lui. Quando si avvicina abbastanza sento Reb dire: «Farci aspettare così non è certo il modo migliore di fare ammenda, se non fossi arrivato nei prossimi cinque minuti me ne sarei andata», ha le braccia incrociate e lo sguardo affilato ma nessuno crede alla sua minaccia, dato che la sta ripentendo da mezz'ora.

«Mi spiace, ho avuto un contrattempo, ma ho cercato di fare il prima possibile» dicendo questo scambia uno sguardo complice con Carlo, che evidentemente ha idea di cosa sta parlando il suo amico. «Comunque sono abbastanza sicuro che il locale che abbiamo scelto per questa sera ci farà ottenere il vostro perdono» sorride spontaneo e noto Rebecca tentennante nel mantenere la sua posizione. Prima che la mia amica perda ogni dignità mi intrometto nella conversazione: «Allora forza, fate strada.»

Tommaso mi guarda e annuisce, con la testa ci fa cenno di seguirlo dal vicolo da cui è sbucato. Rebecca non ha neanche un attimo di esitazione, io mi avvicino immediatamente per rispettare la regola del non restare sole. Lo seguiamo nel vicolo e poi lui svolta in una strada secondaria, abbastanza trafficata, e la prima cosa che colpisce è la lussuosa macchina grigia parcheggiata a ridosso del marciapiede, Tommaso estrae dalla tasca delle chiavi e fa scattare l'antifurto del veicolo, poi ci apre la portiera di dietro.

«Prego, signorine» dice galante. Carlo si accomoda davanti. Non credo sia una buona idea entrare, avevo pensato che saremmo rimasti in zona o al massimo avremmo preso i mezzi pubblici per spostarci. Vorrei rendere Reb partecipe delle mie preoccupazioni ma lei è già entrata sbattendo le lunghe ciglia a Tommaso. La seguo, ma non faccio gli occhi dolci a nessuno dei due ragazzi.





Sono nel mio letto, osservo il soffitto cercando di addormentarmi perché domani dovrei andare a scuola ma continuano a scorrermi nella mente le immagini di questa sera. I miei genitori non sono ancora tornati, sebbene sia l'una di notte. Domani sarò uno zombie e probabilmente farò di nuovo tardi, sto prendendo in considerazione l'idea di non andare proprio, ma poi mi ricordo che domani c'è Ben in orario e non voglio perdermi la sua lezione. L'altra opzione sarebbe alzarsi presto per coprire con abbondante fondotinta le occhiaie che di sicuro avrò, ma puntare la sveglia così presto vorrebbe dire dormire ancora di meno. Mi sto arrovellando il cervello e sono probabilmente proprio questi pensieri che non mi fanno dormire. Mi giro su un fianco e mi ritrovo a fissare la sedia della scrivania su cui ho gettato di malagrazia i vestiti che mi sono tolta di fretta quando sono tornata. Li ho appallottolati lì perché ero convinta di essere troppo stanca e che mi sarei addormentata non appena avessi poggiato la testa sul cuscino. Dato che la mia previsione non si avverata decido di alzarmi e sistemarli, almeno faccio qualcosa di utile mentre aspetto di prendere sonno.

Dopo aver attaccato la gonna a una stampella nell'armadio mi pare di aver messo a posto tutti i vestiti della serata ed è allora che me ne accorgo. Sulla sedia c'è anche una giacca nera di taglio maschile. Ripercorro rapidamente il corso degli eventi nella mia mente: arriviamo a un lussuoso ristorante in campagna, il tavolo prenotato è all'aperto, ridiamo e scherziamo assaggiando piatti deliziosi, il vento si alza di colpo e insolito, Rebecca estrae dalla minuscola borsetta una stola lana che chissà come aveva piegato, io indosso la giacca ma la manica a trequarti mi fa comunque raggelare e poi... Tommaso mi offre la sua giacca. Ricordo lui che si alza e me la poggia sulle spalle, io che non ho più freddo e lui che sembra stranamente indifferente alla temperatura calata, lui che guida fino a riaccompagnarmi a casa (Reb si è fatta venire a prendere da suo padre)... ma non ricordo me che gliela restituisco. Me la deve aver lasciata per percorrere il tratto di strada dalla sua macchina fino al mio cancello.

Sistemo la giacca sulla spalliera della sedia cercando di farla sgualcire il meno possibile e mi appunto mentalmente di riportagliela il prima possibile, mi ristendo a letto sempre girata sul fianco e guardando l'indumento finalmente mi addormento con il sorriso sulle labbra.

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