Capitolo 27: Termine ultimo (2)

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~Aesthetic: Vandine Ribas~


Rebecca mi ignora, Ben mi evita, o Ben o Tommaso mi ha mentito, non riesco a controllare il mio elemento. Potrebbe andare peggio di così?

Sono così assorta nei miei pensieri da non accorgermi subito del cambiamento. Entrando in classe, mi sembra che siamo di meno – incredibile, nessuno si era ancora assentato – ma non ne sono sicura; Rebecca mi fa notare che mancano i due ignoti.

Nessuno dice niente, ma il messaggio arriva chiaro a tutti: tempo scaduto. Sono dispiaciuta per gli espulsi, ma se non hanno sviluppato alcun potere non era destino che stessero qui. Non necessito della telepatia per sapere che è pensiero comune. Come collettivo è il sospiro di sollievo interno rilasciato quando è arrivata la consapevolezza che la selezione è terminata. O almeno così credevo; quando Nandyn entra in classe con un sorriso ma Ben lo segue scuro in volto, non ne sono più così sicura.

«Buongiorno ragazzi, come avrete avuto modo di rendervi conto, siamo diminuiti di numero, e per stasera è probabile che saremo ancora meno.» Il sorriso affabile del docente di pozioni è uno schiaffo in pieno viso. «Adesso dovreste seguirci nell'altra stanza per la selezione.»

«Non preoccupatevi, non dovrete fare niente, solo aspettare in silenzio» interviene Ben per placcare gli animi. All'istante l'agitazione svanisce e tutti si dispongono in fila indiana senza fiatare. L'aura cal-manipolante. Per questo se l'è portato dietro! Riconosco l'incantesimo di Ben e non ho alcuna voglia di alzarmi per assecondarlo. A braccia incrociate e ancora seduta, fisso il professorino aspettando che finisca di controllare gli studenti e incroci il mio sguardo: non appena mi vedrà e realizzerà di aver fallito, la sua espressione sarà impagabile.

«Non è il momento.» L'imperioso sussurro di Rebecca arriva dall'alto, sollevo gli occhi e noto che si è alzata, eseguendo il comando. Affondo le unghie nella trama della camicia, ma cedo. A cosa gioverebbe resistere? A parte farmi rispedire a casa ancora più velocemente, s'intende. Non mi faccio illusioni, ci hanno osservati a lezione e stanno congedando i meno abili, me compresa.

La destinazione è la sala bianca in cui si è tenuta la prova d'ingresso; sulla pedana rialzata non c'è il tavolo con la brocca, ma otto persone – compresi Nandyn e Ben – ad occhio, direi che sono le figure in nero della prova. Anche questa volta vestono in completo scuro, indistintamente maschi e femmine, ma ognuno di loro ha sulle spalle una cappa lucida azzurra, marrone, bianca o arancione, deduco associata al rispettivo elemento. Quella di Ben, invece, è blu scuro con intricati ricami dorati sull'orlo.

È strano, ma ciò che più sorprende è la persona nell'angolo alle nostre spalle: nonostante il muro sia bianco e lui sia vestito di nero, nessuno sembra notarlo, e in effetti lui sembra sorpreso quando si sente il mio sguardo addosso. Il mantello di Tommaso è verde intenso, non è decorato, tranne per le fibule dorate, ma la ricercatezza del drappeggio compensa la mancanza. Non capisco perché Tom sia qui, gli altri presenti sono professori o matricole.

Un altro mantello diverso appartiene a un uomo corpulento dai lunghi capelli argentei che risaltano sulla scintillante stoffa dorata. Ignoro chi sia il possessore, ma la sua posizione centrale mi fa ipotizzare qualcuno di importante; quando prende la parola, presentandosi come preside dell'istituto, ne ho la conferma.

Il suo discorsetto accorato su come ci abbiano osservati e siano consci del nostro valore e vorrebbero prenderci tutti e sono davvero dispiaciuti di non potere suscita un applauso. Mi aggrego agli altri, ma sono disgustata; Rebecca è della mia stessa opinione, ma non cerca neanche di nasconderlo, tenendo le braccia saldamente incrociate. Non dubito che, in qualità di eroina, Rebecca avesse già incontrato il preside, ma mi domando cosa abbia fatto per suscitare una simile reazione; non che avrò modo di scoprirlo, dato che sto per essere rimandata a casa.

«Per garantire la migliore istruzione, ci assicuriamo che i nostri studenti siano seguiti singolarmente dal docente che si ritiene più adatto...» e bla bla bla.

Le sue parole, di cui già ne ascolto la metà, mi entrano da un orecchio ed escono dall'altro, al momento sono più interessata ai suoi occhi. Da quando sono qua, ne ho visti alcuni davvero peculiari, ma i suoi sono unici e diversi: l'iride è così chiara da confondersi con la sclera, o forse è stata inghiottita dalla pupilla dilatata.

Comunque, la versione sintetica di un lungo e pomposo discorso che ci hanno costretto a sorbirci in piedi è che ogni professore può scegliersi gli alunni e chi non viene scelto da nessuno va a casa. Simpatico.

Non mi faccio illusioni su Ben e non sarei neanche sorpresa dallo scoprire che abbia fatto desistere i suoi colleghi dal darmi un'ulteriore possibilità, data tutta la gioia che mostra sempre quando ci incontriamo. In realtà, sarei sorpresa dallo scoprirlo, non mi sembra tipo da colpo così basso, inoltre non ho bisogno del tuo intervento per farmi cacciare, ci pensano già i miei penosi risultati ufficiali.

Avrei qualche possibilità di restare se ora incendiassi qualcosa?

Così come arriva, scaccio il pensiero. Anche se posso dar fuoco a tutte le cappe senza dover neanche battere le palpebre, resto impedita nel controllare le fiamme, il succo non cambia, anche se... sarebbe una soddisfazione, del resto, cosa potrebbero mai fare, espellermi? Se Tommaso non fosse implicato, mi lascerei tentare dalla prospettiva, ma questo comportamento lo metterebbe nei guai, rimarrebbe ad affrontare le conseguenze da solo e mi dispiacerebbe.

Non sono sorpresa quando Nandyn sceglie Vandine e una delle sue due amichette manipolatrici dell'acqua, né quando Ben si avvicina possessivo a Rebecca, o quando Meven opta per un ragazzo che controlla la terra e l'insegnate di Talismanologia sceglie due arie, maschio e femmina. Mi stupisce che rimandino a casa chi mi è sempre sembrato abile, mi domando con che criterio abbiano selezionato. Non che sia un mio problema, dato che qualche pozione ben riuscita non può compensare aver quasi fatto evacuare la classe.

Quando i professori hanno smesso di muoversi e sembra che le somme siano state tratte, il preside parla di nuovo: «È tutto?» domanda, credo stia guardando me, ma la formazione dei suoi occhi potrebbe trarmi in inganno.

Nessuno fiata, ammetto che gli esclusi la stanno prendendo con sportività, o forse c'è qualche regola di cui non sono stata informata che impone di piangere in silenzio, dato che quando mi guardo intorno noto che hanno gli occhi lucidi e arrossati. Forse sono io che la sto prendendo bene perché già sapevo che mi spettava e non sto piantando una scenata: non so se mi faccia molto onore o mi renda infinitamente stupida perché l'avevo previsto e non ho fatto niente per evitarlo.

Mi volto verso Rebecca per salutarla, invece incrocio l'espressione addolorata di Ben che sembra tentato avanzare nella mia direzione. Non so se sperare che lo faccia oppure no. I docenti possono scegliere quanti alunni vogliono, ma io non voglio essere l'involuta terza ruota del carro ripescata per compassione.

Il preside continua a far vagare lo sguardo (lo capisco perché muove la testa, le sue pupille restano immobili) come se fosse in attesa di qualcosa, magari qualche ripensamento dell'ultimo minuto, ma tutti sembrano molto convinti della propria scelta e questo tempo non fa che accrescere una crudele aspettativa nei non-selezionati che continuano a sperare in vano. Non in me, ovviamente.

D'un tratto sento dei passi: Tommaso si è staccato dal muro e sta camminando nella mia direzione. Le sue iridi sono più rosse di quanto le abbia mai viste. Si ferma così vicino a me che giuro di sentire il battito del suo cuore, o forse è il mio. Mi poggia una mano sulla spalla sinistra, ma dato che lui è a destra, il gesto, sebbene delicato, appare molto possessivo. La presa è salda, ma non stringe, se volessi potrei liberarmene. Ma il punto è proprio che non voglio. Mi rendo conto in questo momento che non l'ho mai voluto. È solo quando sente che mi rilasso sotto il suo tocco che parla, con voce chiara e decisa.

«È tutto» sentenzia.


~Prossimo capitolo: Termine ultimo (3)~

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