Capitolo 17: Cioccolata

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«Andiamo a fare acquisti per la nuova scuola di magia» diceva, «sarà divertente» diceva. Che poi io ancora non ho capito cosa Reb volesse comprare per la "nuova scuola", Ben ci ha rassicurate che ciò che ci potrebbe servire nell'immediato lo forniscono loro, quanto al resto possiamo sempre tornare a prenderlo. Insomma, non stiamo mica andando davvero in Australia. Fatto sta che dopo avermi dato appuntamento e avermi fatta aspettare dieci minuti, mi ha chiamata dicendomi che non poteva più venire. Ha riattaccato senza dare ulteriori spiegazioni, ma se crede che sorvolerò sulla faccenda si sbaglia di grosso, data l'immensa libertà di movimento che i genitori le consentono da dopo la Fuga di certo non sono stati loro a fermarla, dalla voce non mi è sembrato che stesse male, ma non è da lei rinunciare così di colpo; ho provato a richiamarla ma non risponde. Visto che ormai sono arrivata fino a qui e a casa non c'è nessuno, penso di andare in libreria: non ho idea di quanto ci vorrà per arrivare sulla Luna, ma per ogni eventualità meglio avere un bel tomone da leggere.
La libreria è dall'altro lato della strada, mi guardo intorno per attraversare, dimenticandomi che sono in un area pedonale – e poi passo dall'altro lato. Mi rendo conto troppo tardi di starmi dirigendo verso un trio di ragazzi, le gambe diventano due blocchi di cemento e non riesco più a fare un passo. Ho incontrato tanti uomini per strada, ovvio, però su nessuno mi ero soffermata troppo. I tre hanno smesso di parlare e ora... si stanno avvicinando. Sembrerei troppo una pazza se scappassi? Ci troviamo in una strada affollata, non penso siano così folli da...
«Scusa, per caso ci sai indicare la strada per...» Non mi sono venuti addosso, si sono fermati rispettando il mio spazio personale e hanno solo chiesto delle informazioni per raggiungere un posto di cui non ho sentito il nome perché ero troppo presa ad evitare di tirare un gigantesco sospiro di sollievo. Se gli chiedo di ripetere sembrerò stramba? Magari posso fingere di non parlare la loro lingua, a giudicare dall'accento non sono di qui, potrei fingere di essere una turista anch'io.
Sto per rispondere ma guardandoli i loro volti diventano quello di Carlo, prima gentile, poi minaccioso e infine sciolto.
Ho freddo, non riesco ad articolare suoni e i bordi del mio campo visivo si fanno neri. I ragazzi si avvicinano preoccupati, ma io indietreggio di un passo per mettere distanza tra di noi. E urto qualcuno.
I ragazzi si scambiano sguardi perplessi, io ho paura di voltarmi. Poi lo sento: un peso sulle spalle, mi hanno buttato addosso qualcosa, una mano si posa sul mio braccio e mi fa avvicinare al petto dell'uomo con cui mi sono scontrata con fare protettivo o... possessivo. Il mio cervello riprende a funzionare e so che devo scappare, non mi importa quel che penserà la gente. Sto per urlare ma la voce alle mie spalle parla per prima, fornendo in fretta le informazioni che occorrono ai ragazzi che si allontanano. La sua voce; tocco la giacca e riconosco tessuto e odore. Mi rilasso, non ho più paura. Lui deve sentire che sono più calma perché mi lascia andare, io mi giro per ringraziarlo e lui fa un paio di passi indietro per lasciarmi aria. Devo riconoscerlo, si è comportato da vero gentiluomo e mi ha tranquillizzata anche senza "aura calmante".
«Tutto bene?» domanda premuroso «Eri mortalmente pallida...»
«Sì, sto bene. Ora sto bene. Grazie.»
Tommaso mi sorride rasserenato.

Siamo seduti a un tavolino all'aperto di una caffetteria poco distante dal luogo in cui ho avuto l'attacco di panico, Tommaso ha insistito che dovessi mangiare qualcosa dato che stavo per svenire.
«Andiamo, ti offro una cioccolata, hai bisogno di zuccheri» ha detto, io ho creduto si riferisse all'ennesima tavoletta, invece intendeva una cioccolata calda. A settembre.
Indosso ancora la sua giacca, prima mi ha posato il palmo in fronte per controllare la mia temperatura e ha detto che ero gelida, a me sembrava la sua mano ad essere congelata. Sarebbe stato più saggio sedersi all'interno visto che dovevo stare al caldo, ma appena entrati mi è mancata l'aria e Tommaso ha subito chiesto un tavolo fuori.
Sfogliamo i menù in attesa che qualcuno venga a prendere le nostre ordinazioni. Succhio una caramella che ho trovato nella giacca di Tommaso, gli ho chiesto se potevo iniziare con quella in attesa di zuccheri più sostanziosi, lui ha domandato chi mi avesse dato il permesso di cercare tra le sue cose ma ha annuito, io ho risposto che avevo sentito sfregare nella tasca interna e avevo trovato le caramelle, poi ne ho scartata una.
Una cameriera castana si avvicina e domanda se abbiamo scelto. I suoi occhi nocciola indugiano un po' troppo sui muscoli di Tommaso che si vedono sotto la camicia bianca, probabilmente aveva messo la giacca per compensare la trasparenza. La ragazza mantiene però una certa professionalità distogliendo lo sguardo e concentrandosi un po' anche su di me.
«Allora cosa vi porto?» domanda, il suo muovere la testa a destra e a sinistra per guardarci entrambi fa ondeggiare la lunga coda.
«Per me questo» dice Tommaso indicando un rigo del menu, la cameriera gli si avvicina per vedere, fin troppo vicina; mentre lei diligente segna sul taccuino l'ordine, Tommaso fissa i primi bottoni slacciati dell'uniforme un po' troppo intensamente. Gli sferro un calcio sotto il tavolo; lui concentra la sua attenzione su di me nel momento in cui la cameriera alza la testa dal blocchetto.
«Per la signorina, invece?» domanda la ragazza cordiale, anche se non lascia la sua posizione accanto a Tommaso.
Prima che io possa parlare, il corvino mi precede: sfoglia le pagine del menu e indica un altro paio di punti. La cameriera legge e la vedo scuotere la testa, non ha neanche il tempo di aprire bocca che però Tommaso le rivolge un sorriso seducente e dice: «Sono sicuro che troverà il modo.» Per fare cosa? Mi sporgo per leggere anche io, ma Tommaso chiude di colpo il menu.
«È tutto?» chiede ancora la ragazza, lanciandomi un'occhiata perplessa dato che non ho aperto bocca. Io fisso Tommaso battagliera, pronta a esigere spiegazioni, ma un lampo rosso nei suoi occhi mi fa desistere e confermare alla cameriera che siamo a posto. Prima che se ne vada però Tommaso le afferra il braccio sinistro e l'avvicina a sé per sussurrarle qualcosa all'orecchio, si premura di alzare il menu cosicché io non possa leggere il labiale. Quando ha finito di ascoltare, la ragazza scrive rapida qualcosa su un foglio del taccuino che poi subito strappa e lascia piegato sul tavolo accanto a lui, dopodiché si allontana ancheggiando. Tommaso prende in mano il pezzo di carta, lo apre, poi lo richiude e inizia a giocarci.
«Cosa c'è scritto?» domando, anche se credo di conoscere già la risposta.
«Una serie di numeri» risponde lui enigmatico, confermando però la mia ipotesi.
Il silenzio cala per qualche secondo. La caramella si è sciolta completamente, ne prendo un'altra, senza chiedere il permesso.
«Ti arrendi così facilmente?» chiede lui, non mi guarda, continua a rigirarsi il foglio tra le dita.
«Non sono interessata a conoscere tutti i dettagli delle tue conquiste» rispondo guardando ipnotizzata i movimenti del foglietto.
«Eppure prima mi sei sembrata particolarmente gelosa» commenta, smettendo di fissare il "giocattolino" e dedicandomi la sua completa attenzione. Peccato che si stia fissando su qualcosa che non esiste. «Non ero gelosa, solo che tu la stavi fissando senza pudore» confesso sincera.
«Anche lei lo stava facendo con me» ribatte lui.
«Non è la stessa cosa» sibilo io. Anche se si è soffermata su di lui qualche secondo di troppo, poi la cameriera ha cercato di essere professionale; lui ci mancava poco che si mettesse a sbavare.
«Io non vedo differen-» si blocca di colpo di fronte al mio sguardo irato, un ombra gli attraverso per un istante le iridi smeraldine «mi dispiace, sono un idiota» dice abbassando gli occhi, vorrei dirgli che all'inizio lo avevo definito con epiteti anche peggiori ma ora non lo penso più, lui però torna a guardarmi e cambia discorso prima che possa capire il vero motivo di quell'affermazione: «Comunque, non mi stavo riferendo a questo» mi sventola il foglio ripiegato davanti agli occhi «ma a come hai ceduto sul menu accettando quello che ti ho ordinato io senza neanche sapere cosa fosse.»
Che gli dico? Alla fine opto per restare onesta, come lo sono dall'inizio della conversazione: «È che tu mi fai paura, fai quella cosa con gli occhi e...» le parole mi muoiono in gola perché non saprei come descrivere il terrore che provo ricordandomi che potrebbe ridurmi in cenere, è un po' più facile dimenticarlo se le sue iridi mantengono il loro solito colore.
«"Quella cosa con gli occhi" quale?» mi prende in giro lui facendomi il verso, poi si accosta a me e fa lampeggiare i suoi occhi come se cercasse una conferma. Io annuisco cercando di spingere indietro la sedia, ma lui si allontana per primo tornando ad appoggiarsi allo schienale. «"Quella cosa con gli occhi" la faccio spesso, non la usare per regolarti sul mio umore» spiega «inoltre ti ho già detto di non essere stupida, ho dimostrato che mi servi viva ben più di quanto mi occorra decidere cosa mangerai.»
«Anche se hai detto che non mi vuoi morta, questo non significa che debba anche essere illesa» commento acida, infastidita dal fatto che si sia di nuovo messo a darmi lezioni di vita come se io non capissi niente.
«Hai ragione» concede dopo un attimo di silenzio, vedo un nuovo lampo rosso attraversargli lo sguardo «pertanto ti comunico che ti voglio viva e illesa ora e per almeno qualche altro anno.»
Non ho idea del perché ci tenga così tanto al fatto che non mi accada niente e si stia dimostrando così premuroso, ma sono ben lieta di sapere che non mi dovrò guardare le spalle da lui, come ho temuto finora.
«Allora cosa hai ordinato?» domando curiosa.
«Sorpresa...» risponde lui misterioso «però va da sé che se non ti dovesse piacere puoi tranquillamente prendere altro, offro sempre io.»
«Grazie» mormoro, il mio sguardo torna al foglio che ha ripreso a fare ondeggiare. Lui se ne accorge e si porta il pezzo di carta proprio davanti agli occhi che vengono percorsi da una striscia rossa, il foglietto in un istante prende fuoco e viene ridotto in cenere che, con aria annoiata, Tommaso spazza giù dal tavolino su cui si è posata.
Restiamo per un po' in silenzio, ma non è uno di quei silenzi imbarazzati d'ascensore, siamo entrambi a nostro agio e sereni. L'espressione di Tommaso è rilassata, un lieve sorriso gli sfiora gli angoli della bocca, ogni tanto i suoi occhi fiammeggiano, ma non cambia altro nel suo viso, quasi a riprova di quanto mi ha detto prima.
Dopo una decina di minuti un cameriere si avvicina al nostro tavolo con un vassoio ricolmo... ma non ci stava servendo una femmina? Mi volto in direzione di Tommaso aspettandomi una spiegazione, ma lui si limita a stringersi nelle spalle con aria annoiata.
Il ragazzo posa sul nostro tavolo due tazze e due teiere bianche e una gigantesca fetta di torta al cioccolato con un ricciolo di panna in cima e due forchettine nel piatto. Posa anche due bicchieri d'acqua e poi passa lo scontrino a Tommaso che estrae dalla tasca del pantalone il portafogli e poi allunga al ragazzo una banconota da venti dicendogli di tenere il resto. Il cameriere ringrazia, ma prima di allontanarsi mi rivolge un radioso sorriso e io sento le guance arrossire perché è proprio carino. Quando è rientrato dentro, torno a concentrare la mia attenzione su Tommaso che si sta versando il contenuto della propria teiera, che dal colore e dall'odore deduco essere tè nero. Non zucchera e ne sorbisce una lunga sorsata.
«Non bevi?» domanda. Riempio anche io la tazza di un liquido marroncino e fumante dall'odore inconfondibile: «Sei davvero riuscito a farti portare una cioccolata calda! A settembre!» esclamo ammirata. Lui si gode la mia attenzione: «Merito del mio fascino... o forse il tuo, ho visto come ti guardava il cameriere...»
Ma io non lo sto più ascoltando, ho di nuovo freddo e anche se so che lui è davanti a me non riesco a metterlo a fuoco. Deglutisco a fatica e senza accorgermene ingoio la caramella prima che finisca di sciogliersi, ma per fortuna scivola senza andarmi di traverso. Vorrei stringermi nella giacca, ma sono congelata e non riesco a muovermi. Poi lo sento, il calore che si propaga dalla mano destra e riesco a vedere le sue dita intrecciate alle mie sul tavolino, con l'altra mano mi prende il mento tra le dita e mi solleva lo sguardo costringendomi a guardarlo nei suoi occhi verdi, solo smeraldi, niente rubini. «Ehi, sono solo io, non ti preoccupare andrà tutto bene, nessuno vuole farti del male» continua a ripetermi incessantemente fino a quando non mi calmo sentendo il calore propagarsi nel resto del corpo, non so se mi stia facendo un incantesimo o dipenda solo dalla sua vicinanza, ma mi va bene così.
Quando la vista non mi da più troppi problemi vedo Tommaso aprire alcune bustine di zucchero prese dal contenitore al centro del tavolo e versare il contenuto nel mio bicchiere che poi mi avvicina alle labbra. Non dice nulla e i suoi occhi restano normali, ma io bevo tutto il contenuto. Dopo essersi assicurato che io abbia vuotato il bicchiere, il corvino abbassa gli occhi con un espressione colpevole e si scusa di nuovo: «Mi dispiace, sono uno stupido, non avrei dovuto fare un'allusione del genere dopo la... "faccenda"... con Carlo...»
Stavolta sono io che lo costringo a guardarmi, perché è dolcissimo a preoccuparsi, prima ho avuto un attacco di panico all'avvicinarsi di quei ragazzi, ma questa volta il mio impallidire non era dovuto allo stesso motivo. «Ascolta, gradirei non tornare più sull'argomento. Non voglio pensare ancora a quello che sarebbe potuto essere ma non è stato... grazie al tuo intervento...» l'ultima parte la mormoro, ma sono sicura che lui mi abbia sentito, conoscendolo ora si pavoneggerà prendendosi il merito, invece mi sorprende: «Non sai neanche perché ero lì» commenta cupo. Anche se non sono sul punto di perdere i sensi, la mia colonna vertebrale viene lo stesso percorsa da un brivido gelido mentre nella mia mente si fa strada il peggior scenario possibile.
Tommaso non mi guarda, ha la testa voltata verso destra e fissa un punto indefinito della strada quando riprende a parlare senza aspettare che chieda spiegazioni: «Cercavo te. Ero uscito con i ragazzi ma già sapevo che quella notte avrei fatto visita a Rebecca e che avevo bisogno di te, mi sono allontanato dal gruppo cercando un modo per convincerti a credere nella magia quando ho visto Carlo che si allontanava con te, dapprima ho pensato che il mio lavoro sarebbe stato più facile perché non dovevo venire a prenderti a casa, ma poi vi ho raggiunti e ho capito cosa stava per succedere. Il resto è storia» lo dice in un fiato, senza lasciarmi il tempo di interrompere «Col senno di poi mi rendo conto che mi sarebbe bastato metterlo fuori combattimento...» sospira.
Resto senza parole per qualche istante, poi cambio discorso perché le mie intenzioni di non tornare sull'argomento restano invariate: «Non era per quello che ho reagito in quel modo, hai detto "fascino" e io... Ben ci ha spiegato la vera natura del suo potere e-»
«Quell'idiota ha fatto cosa?» scatta Tommaso, l'ombra che gli ha attraversato lo sguardo quando ho chiamato Benjamin Ben completamente sparita. Io gli ripeto quello che mi è stato riferito questa mattina e le mie deduzioni.
«Ha detto solo questo?» domanda com un'espressione scettica in viso, poi lo vedo rilassarsi e quasi mettersi a ridere delle mie speculazioni «Ascolta, so che può essere frainteso, ma ti assicuro che il suo potere, per quanto mi dolga ammetterlo, è meglio di come lo ha descritto. Non è come pensi, c'è altro che devi sapere, lui è-» si interrompe di colpo, io rimango stupita da come abbia ripetuto la frase di Reb «Non posso dirti altro, abbiamo delle procedure abbastanza rigide, ma se come sono convinto passerai l'esame iniziale poi farò in modo che tu venga messa a parte della situazione, sono sicuro che la tua amica mi appoggerà, ti chiedo solo di aspettare ancora un po'.» Io annuisco perché non saprei cos'altro aggiungere.
«Grazie per la comprensione, probabilmente se me lo avessi chiesto ti avrei spiattellato tutto qui e ora e poi avrei dovuto vedermela con quello stupido.»
«Ben?» domando interdetta.
«No, in questo caso non mi riferisco a lui, ma a quel altro...» continuo a mostrarsi perplessa e lui aggiunge: «oh, non ti preoccupare, lo conoscerai presto anche tu...» storce la bocca, poi cambia discorso come se concentrarsi su quella persona gli risulti sgradevole, anche se vorrei non insisto perché anche lui prima è stato comprensivo: «Finisci qui che ti do un passaggio a casa.»
Annuisco e finalmente assaggio la mia cioccolata... al latte. Tommaso mi fa un sorrisetto impertinente quando non so come capisce che ho colto il riferimento. Finita la prima tazza, vuoto la teiera riempiendone una seconda e mi avvento sulla torta.
«Tu non la mangi?» domando a Tommaso, ci hanno portato due forchettine ma lui non l'ha neanche degnata di un'occhiata.
«No» risponde secco.
«Dai, se ne mangi metà, assumerò la metà dei grassi» insisto.
«A me sembri abbastanza in forma, puoi permettertela» commenta lui. Non credo lo intendesse come un complimento, ma d'un tratto sento caldo e non sono sicura sia una conseguenza della cioccolata.
Assaggio il dolce e constato che è delizioso, però... un'altra forchettina si ruba un pezzetto della torta.
«Avevi un'espressione così compiaciuta quando l'hai mangiata che dovevo assaggiarla. Ecco la stai facendo di nuovo, quella faccia soddisfatta!»
Sono consapevole di stare sorridendo strambamente e di essere scrutata dal suo rosso sguardo indagatore, ma decido di ignorare il calore che continua a propagarsi nel mio corpo e di affogare la questione nella cioccolata.

-Prossimo capitolo: Atto II.-

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