Capitolo 13: Di giacche e di ombrelli da restituire

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Ho passato il fine settimana a scervellarmi cercando un modo per evitare di andare a correre con Ben. Esclusa la danza della pioggia, mi è rimasta solo la misera scusa dei troppi compiti per lunedì che potrei rifilargli sabato all'ultima ora, anche se reggerebbe molto poco se non avessi un assegno esorbitante e lui confrontandosi con gli altri docenti lo scoprisse. È troppo disperato sperare di non essere qui domenica? Comunque anche evitando questa uscita potrebbe sempre proporre di rimandare e non saprei proprio cosa inventarmi. A questo punto l'unica cosa matura da fare sarebbe dirgli chiaramente che non voglio più fare niente, dubito che farebbe in qualche modo influire questo evento sulla valutazione, però non è la verità, mi piacerebbe davvero trascorrere del tempo con lui.

Non posso contare su Rebecca per un consiglio, non prova neanche a nascondere che durante le lezioni si mangia il professore con gli occhi e temo che sarebbe troppo gelosa per comprendermi, pertanto, pur avendo messaggiato a lungo domenica sera, non ho toccato l'argomento.

Nonostante le numerose preoccupazioni, per il momento ho deciso di metterle da parte e concentrarmi sulla giornata di oggi. Avendo la mente libera mi sono ricordata di portare sia la giacca che l'ombrello, nel secondo caso ne ho messo uno pieghevole nello zaino così che non mi tocchi riportarmelo a casa. La giacca è stata quella che mi ha dato più problemi, non sapevo come spostarla senza che si spiegazzasse tutta, ho pensato di portarla al braccio, indossarla, metterla su una stampella, ma nessuna delle ipotesi mi ha soddisfatta, alla fine l'ho piegata con cura e l'ho riposta nella cartella, non ho inserito libri, ma tanto si tratta per lo più di prendere appunti e poi sono sicura che Reb li ha tutti, come sempre.

Arrivata in classe pondero l'ipotesi di appoggiarla allo schienale della sedia, ma non mi piace l'idea che poi tutti la vedrebbero ed inizierebbero a fare domande. Ben entra prima che riesca a decidermi, così lascio lo zaino steso sul banco con all'interno la giacca stessa affinché non si stropicci, lo metto di lato cosicché non sembri che stia coprendo un cellulare, prendo dall'interno quaderno e penna – erano leggeri e non ho avuto paura di portarli, così come l'ombrello pieghevole – e mi preparo ad ascoltare la lezione.





Sono tentata di sbadigliare tanto che mi sto annoiando, ma essendo di faccia al professore sarebbe un'azione poco consona da eseguire. Rebecca al mio fianco finge di prendere appunti sul contesto storico ma in realtà disegna tanti cuoricini sul quaderno, sono convinta che Ben l'abbia vista ma è troppo gentile per riportare la sua attenzione sull'argomento principale, mi domando come sia possibile che una persona del genere sia diventata insegnante, non siamo una classe indisciplinata, ma se fosse capitato da qualche altra parte non credo che sarebbe stato in grado di farsi rispettare.

La campanella suona e gli studenti smettono di fingersi interessati e si alzano per parlottare tra loro, di solito aspettano che almeno il docente sia uscito, ma neanche questa volta il professore riporta l'ordine. L'altra volta che si sono alzati quando non aveva ancora finito di parlare, Ben li ha rimproverati chiedendo loro se fossero così gentili da sedersi e prestare attenzione ancora per qualche minuto... in realtà non li ha proprio rimproverati considerando che l'ha detto con il sorriso sulle labbra, ma hanno ubbidito lo stesso. Probabilmente lo rifarebbero anche stavolta se dicesse qualcosa, ma lui tace. Oggi Ben ha altri pensieri per la testa, forse agli altri non lo hanno notato, ma io me ne sono accorta. L'ho visto ieri eppure a distanza di un solo giorno sembra una persona totalmente diversa, chissà che generi di preoccupazioni ha... magari si sta ammalando a causa dei suoi folli esercizi sotto la pioggia e domenica non potremo uscire? So di starmi aggrappando a una mera fantasticheria, ma non riesco ad evitarlo.

«Avete preparato la vostra relazione sul libro? Tra due settimane la presenterete» dice Ben avvicinandosi al nostro banco prima di lasciare l'aula all'insegnante della prossima ora. La mia supposizione che sia molto stanco viene avvalorata dal fatto che abbia parlato a me rivolgendosi al plurale, senza notare che Reb si è spostata indietro a parlare con le altre ragazze. Inoltre parla italiano, mi sembra strano che stanco com'è si metta a parlare una lingua non nativa, ma forse vuole essere capito subito con chiarezza senza doversi ripetere. Dato che sono da sola, rispondo per entrambe annuendo, sopprimendo quella vocina nella mia testa che mi dice che non ho neanche finito di leggere Wuthering Heights.

«Ah, a proposito, grazie mille per avermi prestato l'ombrello, Ben, te l'ho riportato» gli dico prima che si allontani porgendogli l'oggetto, sono abbastanza sicura che gli altri siano troppo impegnati per prestare attenzione alla nostra conversazione e quando lo vedo sorridere sono felice di averlo chiamato per nome.

«Di nulla mylady» risponde lui allungando la mano per riprenderlo. Ho notato che, sebbene abbia sorriso subito sentendo il suo nome, ha sbattuto le palpebre un paio di volte sulla parola "ombrello", forse si era dimenticato di avermelo prestato.

Gli passo l'ombrello, ma quando noto che si è impigliato nella cartella è troppo tardi per fermarlo, Ben lo tira e lo zaino cade sul pavimento. Scatto immediatamente in piedi, lui si scusa subito e si china per raccoglierlo, Rebecca ci raggiunge preoccupata dal tonfo che ha sentito. Ben prende lo zaino, ma alzandolo fa scivolare fuori il contenuto: quaderno, ombrello e penne rotolano fuori, la giacca rimane bloccata a metà.

Quello che succede poi è assurdo. Ben invece di raccogliere quanto ha fatto cadere osserva l'indumento perplesso, Reb ha alzato le mie cose da terra ma poi alza la testa e vede anche lei la giacca, noto un lampo di consapevolezza attraversarle gli occhi perché evidentemente si ricorda anche lei di quello che è successo quella sera, e lascia cadere i miei oggetti con malagrazia sul mio banco.

Io sento le guance andarmi a fuoco, forse è perché sono così in imbarazzo che ho l'impressione di vedere un lampo di furia attraversare gli occhi del mio insegnate, sicuramente ho visto male.

Ben rimette lo zaino sul mio banco e esce senza dire un'altra parola, non saluta neanche Rizia che gli sbatte le ciglia sotto lo stipite della porta della classe, comportamento inusuale per un gentiluomo inglese come lui.

Rebecca torna a sedersi al mio fianco ma non mi rivolge la parola per il resto della giornata.

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