Capitolo 14: La tua amica

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Non è stato solo un giorno, è da quasi una settimana che Rebecca non mi rivolge la parola; prima di ora il tempo più lungo in cui siamo state senza sentirci era il fine settimana in cui si riprendeva dal jet-lag. A scuola ha anche cambiato posto: quando sono entrata martedì mattina in classe ho trovato un singolo banco rimasto davanti perché si era spostata dietro; mi sono avvicinata alle mie compagne a sinistra, ma mi sento ancora sola. Ho provato a chiederle scusa – non mi sento di "aver tradito i suoi sentimenti" perché lei era lì accanto a me alla cena e aveva visto Tommaso prestarmi la giacca, ma mercoledì non ne potevo già più del suo silenzio – ma quando mi sono avvicinata lei deve aver intuito le mie intenzioni perché mi ha urlato: «Non osare provare a chiedere scusa, sapevi quel che provavo!» e se n'è andata senza neanche lasciarmi aprire bocca. Tanto per la cronaca, credevo che lei stesse solo flirtando un po' non che avesse trovato il "grande e unico amore della sua vita", non avrei mai potuto neanche immaginarlo dato che non mi aveva detto niente a riguardo: (forse) dopotutto non sono stata l'unica a tenere dei segreti.
Forse avrei dovuto insistere di più, fosse stata una qualsiasi altra occasione l'avrei fatto, ma proprio questa settimana avevo la mente impegnata anche a capire come evitare di andare a correre con Ben. Le mie compagne di classe ucciderebbero per avere un'occasione del genere e non le biasimo, ma io non lo trovo un comportamento adeguato dato che è il mio professore, forse fosse stato solo un uomo affascinante gli eventi si sarebbero svolti in maniera diversa. Non vedo Ben da lunedì quando ci ha fatto lezione – dato che non abbiamo ancora un orario definitivo, per il momento passiamo con lui solo due ore alla settimana invece delle tre ministeriali –, quindi ho ancora la vana speranza che si sia davvero ammalato, ma devo comunque prepararmi alla probabile eventualità di venire disillusa. Non posso neanche giocarmi la carta dell'assegno esagerato perché ho stranamente pochi compiti da fare e non c'è possibilità che aumentino domani dato che il lunedì – a parte inglese, ma conoscendolo sarebbe disposto a giustificarmi – non abbiamo alcuna materia uguale al sabato.

Sono le sei di venerdì pomeriggio, sto vagando in centro città aspettando un'idea che risolva tutti i miei problemi, ma per il momento non mi è ancora venuto in mente niente. I miei genitori sono partiti due ore fa per passare il fine settimana fuori da soli, da quasi altrettanto tempo ho iniziato il mio vagabondare. Mi decido a entrare in libreria perché sicuramente troverò un bel libro da acquistare per tirarmi su di morale, e invece tre ore dopo esco senza neanche un pacchetto.
È calata la notte, non mi ero resa conto di quanto fosse tardi, o di quanto tempo abbia passato in quel negozio a tre piani – complice forse anche la presenza di una caffetteria. Sono sulle strisce pedonali aspettando il verde per attraversare quando dall'altro lato della strada riconosco Carlo che chiacchiera con il suo gruppo di amici, la prima cosa che noto è che nessuno di loro ha i capelli neri, i nostri sguardi si incrociano e io lo saluto, lui sembra metterci un attimo a riconoscermi, ma poi mi fa segno di aspettare e si congeda dai suoi amici.
«Ehi, Lara!» mi saluta avvicinandosi «È pericoloso per una ragazza andarsene in giro da sola a quest'ora, che ne dici se ti accompagno?» domanda, e io annuisco controllando l'ora tarda sul cellulare.
«Vieni allora, conosco una scorciatoia così sarai al sicuro a casa in quattro e quattr'otto» mi prende per un polso e mi porta in una strada secondaria, lo seguo perché mi fido, perché siamo già usciti insieme una volta e non ci sono stati problemi e invece quando siamo fuori dal campo visivo di quelle poche persone che ancora erano in giro lui mi schiaccia contro il muro e mi impedisce di muovermi, mi tiene bloccati i polsi con una mano e infila l'altra sotto la maglietta. L'urlo che vorrei lanciare mi muore in gola, sono paralizzata e non riesco a reagire. Sarà lo shock, ma mi vengono in mente gli avvenimenti strani dell'ultimo mese, gli sbalzi di temperatura, il calore... Se ho un qualche potere, se davvero controllo il fuoco, ho bisogno di usarlo ora!
Sento le lacrime pronte a uscire e serro le palpebre, poi sento la stretta di Carlo che si allenta, mi stringe ancora ma con meno forza e sento le mani con cui mi tocca che si riscaldano. Mi arrischio ad aprire gli occhi e quel che vedo mi terrorizza ancora di più: Carlo si sta sciogliendo, dalle orecchie gli esce del liquido grigio e dalle cavità oculari vuote ne esce di colore bianco. Neanche stavolta l'urlo riesce a uscire, ma il potere che sto emanando non smette. Il potere che sto... no, non sono io che lo sto uccidendo. La consapevolezza mi rende più felice di quanto dovrei essere avendo un uomo che mi si sta sciogliendo di fronte. E poi la noto, la mano pallida che compare tra i riccioli rossi di Carlo, poi la mano si alza e lasciando la presa fa cadere Carlo a terra steso e inerme. Senza più il corpo del mio assalitore a bloccarmi la visuale vedo il mio salvatore. Vestito completamente in nero riesco a distinguerlo dalle tenebre della notte solo grazie alla sua pelle candida e poi vedo anche i suoi occhi smelardini che lampeggiano della stessa luce rossiccia che glieli attraversò  come un lampo quella volta alla stazione. Tommaso batte le palpebre un paio di volte e le iridi riassumono il colorito a cui sono abituata. Sembra il ragazzo che ho incontrato quasi tutti i giorni, però l'odore di bruciato che mi solletica le narici mi costringe a realizzare di quale potere tremendo sia in possesso. E quanta paura io ora abbia di lui.
«Ti prego non mi uccidere» imploro «non rivelerò a nessuno il tuo segreto, ti prego lasciami andare!»
Non penso che chi possiede un'energia così grande se ne vada in giro alla luce del giorno a usarla, la terrà nascosta e ora io sono un problema perché l'ho visto usarla.
«Se ti dovessi uccidere perché mi hai visto uccidere lui, non pensi che in primo luogo non l'avrei proprio ucciso?» domanda seccato, e io devo ammettere che il suo ragionamento non fa una piega.
«Non essere stupida, a nessuno piacciono gli stupidi e muoiono subito.» Emette la sua sentenza scadendo con molta calma, poi però sembra ripensarci: «Non essere neanche intelligente, piaceresti appena poco di più e moriresti sempre subito.»
«Quindi cosa dovrei essere?» sbotto, troppo stressata dall'assurdità di tutta la situazione per pensare lucidamente.
«Abbastanza sveglia da risultare superiore a tutti o nella norma. Avendoti conosciuta ti consiglio di puntare sulla seconda opzione.»
«Fammi indovinare, tu invece sei per la prima» commento acida.
Tommaso non risponde ma un lampo di malizia attraversa i suoi occhi e io mi sento stupida. So di essere intelligente – non permetterò a un ragazzo di sminuirmi –, in classe sono una delle migliori e ho letto abbastanza gialli da avere occhio per i dettagli, ma in questo momento mi sento davvero stupida. La sensazione aumenta quando mi ricordo del cadavere semi-sciolto che giace ancora ai miei piedi; mi riprometto di restare più concentrata e non farmi distrarre dalle chiacchiere del mio "salvatore".
«Allora perché mi hai salvata? Sono l'eroina perduta annunciata da un'antica profezia? Lui era un demone con l'ordine di uccidermi?» Ho letto anche abbastanza fantasy.
Lui mi guarda di nuovo circospetto, quasi continui a domandarsi a che gioco stia giocando, ma poi scuote la testa come scacciando un fastidioso pensiero e riprende il controllo della situazione.
Inizia rispondendo alla mia ultima domanda: «No, nessun demone – se lo intendi nel senso letterale del termine – solo un umano con brutti pensieri.» Sentendo il suo tono piatto e serafico inizio a farmi prendere dal panico, lui del tutto indifferente continua: «Quanto all'eroina... non sei tu, ma la tua amica.»
Eh? No, non lo accetto, non è così che deve andare; nelle storie l'affascinante eroe oscuro corre in aiuto dell'impavida protagonista, i due si innamorano, sconfiggono il cattivo con la forza dei sentimenti e poi fanno tanti bei bambini. Non sto certo dicendo di essermi innamorata di quell'antipatico di Tommaso, né tantomeno di volere dei figli in questo momento, però l'idea di diventare una specie di fata anch'io mi allettava non poco e sto rischiando di non vederla mai concretizzarsi. Senza contare che accettare che avesse ucciso un essere mostruoso venuto dagli Inferi per eliminarmi era più facile del realizzare che ha messo fine alla vita di un normale ragazzo, che ha cercato di compiere un'azione imperdonabile, ma avrebbe ancora potuto essere aiutato.
Scaccio dalla testa i pensieri di morte e cerco di dimostrare l'intelligenza di cui tanto mi vanto concentrandomi sull'unica domanda a cui ancora non ha risposto, decisa a non farmi distrarre: «Se io non ti servo a niente perché sei venuto a salvarmi?» Non lo amo, ma di norma dopo un salvataggio epico il cavaliere oscuro proclama i suoi sentimenti alla bella, quindi mi preparo alla prospettiva che potrebbe accadere.
Anche stavolta vengo disillusa.
«Non ho detto che sei inutile» la prima parte delle frase mi trae in inganno, ma poi lui prosegue «ho bisogno di te per sapere dove abita la tua amica.»

-Prossimo capitolo: Tutto quella notte-

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