29. La Dama Sorridente

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Si risvegliò di scatto.

Era immerso in una vasca, completamente nudo.

Guardò le sue braccia, ricoperte di tumefazioni, la pelle solcata da ferite che andavano rimarginandosi. Rimase sospeso nell'acqua, sperando di essere morto.

Valerie era andata, scomparsa, annegata in una pozza nera di esalazioni mefitiche. Le immagini di sua sorella che volava verso morte certa scorrevano nella sua mente, di continuo, lo avevano accompagnato mentre era svenuto, lo avevano fatto svegliare di scatto, e, anche adesso, lo tormentavano, in continuazione.

«E' colpa mia» sussurrava.

L'aveva convinta lui a seguirlo, l'aveva portata con se in quell'inferno, e per cosa? Per una sua ossessione e niente di più. Ripensò al nonno, all'astio con cui lo aveva allontanato, con cui, probabilmente, lo aveva convinto a suicidarsi. Aveva fatto tutto quello di cui accusava suo nonno, la sua ossessione li aveva messi in pericolo, li aveva portati sulla strada delle tenebre, ma solo Valerie aveva pagato il prezzo più alto.

«E' morta per colpa mia» ripeteva.

Il senso di annientamento lo annullava. Niente aveva più importanza. Il segreto racchiuso nel sangue dei Connor era una condanna, qualsiasi fosse il motivo per cui la Piaga non aveva effetto su di loro. Che importanza avevano le bugie degli Aladel, degli Spiriti e degli Uomini. Alle Ombre i Portali e tutto quello che c'era da una parte e dall'altra.

Un leggero movimento lo fece tornare alla realtà.

Lei era lì, dovunque fosse lì.

«Uccidimi» sussurrò. Non ricevette risposta. Non aveva nemmeno il coraggio e la forza per farlo da solo, soprattutto adesso che sapeva quale destino era toccato a sua sorella e quale sarebbe toccato a lui. Se si fosse ucciso, avrebbe portato il peso della sua morte per l'eternità. Sarebbe diventato una marionetta nelle mani degli Spiriti, come Nauru. L'Aladel gli aveva svelato che, in cambio dei suoi servigi, gli Spiriti gli avevano promesso che gli avrebbero dato la pace, non sarebbe rinato come Orco, sarebbe semplicemente sparito nell'eterno universo. La stessa fine a cui agognava Lucien, ora, steso in quella vasca, senza più un motivo per tornare alle sue invenzioni e alle sue pozioni.

Lei non disse nulla. Se ne andò com'era arrivata e lo lasciò nel suo profondo baratro di tristezza.

Andò avanti così per un tempo indefinitamente lungo.

Quando Lei compariva e Lucien sentiva la sua presenza, diceva solo quella parola, e Lei se ne andava.

«E' colpa mia» continuava a ripetere.

Aveva ripetuto quella frase così tante volte che ormai ne aveva perso il senso. La sua colpa era di essere stato un Connor, e il sangue non centrava nulla. Era stato tutto quello che di peggio ci si poteva aspettare da un Connor, testardo, ostinato, incapace di seguire le regole e di usare il buon senso. Non solo aveva ucciso sua sorella, aveva anche messo in pericolo Eluay, rendendolo complice della loro follia. Aveva sbagliato e, quando si era convinto di essere nel giusto, aveva perseverato nell'errore e ne aveva inanellati altri. Aveva messo in pericolo i Cacciatori, gli Esploratori, Norman e Nauru.

Cos'erano le sue invenzioni e le sue pozioni? Quali benefici avevano apportato alla sua vita?

Nessuno. Sua sorella era morta, ed era colpa sua.

«Ti struggerai ancora per molto?» chiese infine la Dama Sorridente.

Era solo una voce, la voce della donna che era venuto a uccidere e che, ora, non significava nulla. Poteva dargli tutte le risposte che voleva, erano domande di cui ora non voleva più saperne nulla.

Le Cronache Delle Sei Armate - Vol.1:Sangue ConnorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora