Capitolo 4.

708 15 0
                                    

Il lunedì fu tetro e grigio proprio com'era il cielo quella mattina. Per Martina era un giorno come un altro che doveva sorbirsi l'umore di ogni insegnante e le idiozie dei compagni. Ma c'era abituata, dopo anni.
Ciò a cui non aveva pensato era di arrivare in ritardo dopo aver accompagnato Matías per un incidente in mezzo alla strada che aveva bloccato il passaggio a tutte le macchine; si sentivano tanti clacson suonare e persone bestemmiare per poter passare ma aspettarono più di una decina di minuti per sgomberare la zona che sul momento avevano addirittura bloccato causando un caos totale. Poi Martina dovette vedersela con il grande traffico e scompiglio causato da quelle persone intelligenti che avevano impedito il passaggio.
E ora si trovava a correre come alle olimpiadi lungo i corridoi e le innumerevoli scale per arrivare alla sua classe, anche se il ritardo megagalattico era stato fatto.
Forse non era un giorno come un altro, quello. Forse era peggio.
Era così di fretta e distratta a formulare nella mente ciò da dire all'insegnante una volta entrata in classe che non si accorse della presenza di Julio accanto alla macchinetta lungo il corridoio. Almeno fin quando lui non le sbarrò la strada parandosi davanti a lei.
«Che vuoi Benitez? Vado di fretta.»
«Vedo che il brutto umore ce l'hai da prima mattina.» per la prima volta Martina non sentì alcuna nota ironica nella sua frase.
«Levati di torno, ho detto che non ho tempo da perdere.» commentò a tono come suo solito.
«Avevamo concordato che saresti venuta a casa mia. Invece ti ho aspettato e tu mi hai dato buca.»
Martina lo scrutò e vide chiaramente che era serio per la prima volta da quando lo conosceva. Non che ci aveva parlato spesso, d'altronde, ma ciò fece cadere un tassello e sentì una strana sensazione allo stomaco.
«Sono già in ritardo, ne parliamo dopo... forse.» noncurante, fece per proseguire.
«Sì, certo, facciamo sempre come va bene a te. Credi di essere migliore perché ti comporti così? Sembri più una ragazzina viziata in cerca di attenzione.»
Lei si voltò di scatto a quelle parole, alzò un dito puntandoglielo contro «Ripetilo se hai il coraggio.» disse a denti stretti con tono minaccioso.
Julio le si fece più vicino, la mascella contratta e le mani serrati in due pugni: non aveva alcuna paura. «Sei una ragazzina.» si meravigliò anche lui di aver alzato quel polverone per una cosa da niente.
«Tu ti senti migliore? Eh? Giri con Raquel e la sua compagnia per popolarità, come tutti gli sfigati qui dentro.» sbraitò agitando le braccia con enfasi.
«Be', meglio di una che si crede più intelligente quando è la prima immatura. Ah, sai, Raquel è anche brava nel sesso e non ha lo stesso tuo caratteraccio. Forse è per questo che non hai amici, perché nessuno sopporta la tua acidità.»
Le salì il sangue al cervello e con sé anche l'ira, quelle parole l'avevano toccata più di quanto volesse ammettere. No, non è vero. Lui non sa niente, lui non ha il diritto di giudicarmi! Lo spintonò dalle spalle facendolo indietreggiare di due passi.
«Non me ne frega proprio un cazzo delle tuo supposizioni da quattro soldi, idiota. Passa pure quanto tempo vuoi con quella, per quanto mi riguarda me la cavo benissimo da sola.»
Questa volta non aspettò che Julio ribattesse, si allontanò a grandi passi infuriata ma riuscì a sentire in lontananza una risposta del ragazzo: «Diciamo meglio che non riesci a stare tra la gente.»
Non disse niente, gli alzò il dito medio e proseguì verso l'aula.
Entrata mandò al diavolo quello che avrebbe dovuto dire all'insegnante, semplicemente si scusò per il ritardo e non ascoltò quando il docente la rimproverò. Poco dopo entrò Julio, che senza dire nulla trascinò i piedi in fondo all'aula.
«Siamo in un bar qui? Non ci si scusa più per il ritardo, Benitez? Farete bene a non fare più ritardo tu e Gonzàlez.» strillò la donna alla cattedra.
Julio si sedette in modo scomposto sulla sedia dopo aver lanciato lo zaino per terra. E in quell'esatto istante Martina tirò il proprio banco per allontanarlo da quello del ragazzo, così bruscamente da causare un fastidioso rumore. Lui la fissò con le labbra strette in una linea sottile e una rabbia che avrebbe voluto gridarle contro quanto si dimostrasse una bambina.
«Ebbene, dopo questo break possiamo riprendere la lezione?!» chiese retorica l'insegnante, ottenne silenzio da parte dei due che interpretò come approvazione.
Le lezioni passarono e Martina e Julio si ignorarono a vicenda, ma si lanciarono frecciatine e sguardi di fuoco. Più lei, che avrebbe voluto strozzarlo nel bel mezzo della lezione, davanti a tutti.
Alla fine di quella lunga mattinata Martina prese in fretta le sue cose, con l'unico desiderio di andar via il prima possibile da lì. Ma quel giorno tutta la sfortuna si era scagliata contro di lei e non era finita: quando fu sul punto di uscire dall'aula la strada le venne bloccata dalla persona più odiosa che conosceva e l'ultima che avrebbe voluto vedere in quel momento.
«Levati Raquel» ringhiò in procinto di saltarle addosso. Nessun autocontrollo, nessuna tranquillità. Era la volta buona che andava a finire in presidenza, e non di certo per elogi.
«Hai fretta, Martina?» pronunciò il nome con una nota ridicola, che la stessa ascoltatrice arricciò il naso disgustata.
«In effetti sì.» avanzò per allontanarsi il prima possibile. Fu in quel momento che notò Julio al fianco di Raquel. Aveva le braccia incrociate al petto, un espressione indecifrabile e i lineamenti contratti. Martina si bloccò a fissarlo attentamente nella speranza di capirci di più nei suoi occhi, che erano di un azzurro così scuro in quel momento. Il suo sguardo aveva qualcosa di diverso, ma non riusciva a capire cosa. Era totalmente confusa e disorientata.
«Marty, verrai alla festa di questa sera a casa di Raquel?» la diretta interessata puntò il suo sguardo -ancora aggressivo- su Ashley, che era dall'altro lato della bionda, e anche un po' perplessa per il diminutivo orribile che aveva usato.
«Certo che non ci verrà.» scoppiò a ridere Raquel, una risata sguaiata e sforzata. Martina faticò a restare ferma, aumentò la velocità dei respiri e ignorò lo sguardo insistente di Julio sebbene la mettesse in soggezione. La bionda si ricompose aggiungendo: «Voglio dire: avrà sicuramente di meglio da fare la nostra Martina di venire ad una stupida festa.»
Martina colse quella frase nell'unico modo nel quale era indirizzato, ed era consapevole che per non uscirne perdente c'era un'unica soluzione.
Si morse la lingua prima di prendere parola. «Ora che ci penso sono liberissima, potrei anche farci un salto.» alzò un sopracciglio, poi aggiunse: «Se ciò non ti crea alcun disturbo.» la sfidò con lo sguardo aspettando la sua risposta.
Ashley aveva spalancato la bocca dalla sorpresa e anche Julio non era da meno.
«E' ora di andare, vedremo se verrai.» Raquel si riprese dopo qualche secondo, battendo più volte le sue lunghe ciglia finte.
Girò le spalle a Martina facendo ondeggiare di proposito la sua chioma e si allontanò a grandi passi, seguita da Ashley che tentava di stare al suo passa e da Julio che abbastanza scocciato teneva tuttavia un po' le distanze.
Martina lasciò uscire un sospiro nervoso. Non voleva andare a quella festa, a maggior ragione se l'organizzatrice in questione era Raquel. C'era già stata, una sola volta, ad una festa organizzata da lei e non voleva ripetere l'esperienza. In più immaginava che fosse stato invitato anche Julio.
Di male in peggio.
Quella giornata iniziata con il piede sbagliato era destinata a terminare anche peggio, Martina non voleva immaginare cosa le sarebbe aspettato, come si sarebbe comportata ad una festa dopo tanto tempo. I ricordi per un momento le offuscarono la mente, il pensiero di lei anni addietro ubriaca ad ogni festa era nitido. Erano tante le feste a cui partecipava, e tanto l'alcol che ingeriva. Ma era il passato e lei non era più la ragazzina stupida di un tempo, era matura ormai e con un figlio. Molto era cambiato.
Doveva andare a quella festa, non poteva tirarsi indietro, non più. Aveva sfidato Raquel e non poteva tirarsi indietro: glielo avrebbe rinfacciato per i prossimi mesi.
Vari pensieri, come la scelta di cosa si sarebbe messa la sera o il tormento di quel progetto che doveva ancora iniziare, le tennero compagnia in tutto il viaggio verso casa. La strada le sembrò più lunga del solito, oppure era la sua mente ad elaborare tanti pensieri in maniera così frenetica.
A pranzo fu taciturna, fissava il suo piatto e mangiò ben poco. Solo qualche bacio a Matías e le lodi al bimbo per aver mangiato tutto ciò che gli era stato messo nel piatto. Aveva il viso pieno di gioia e orgoglio quando la madre gli batteva le mani per essere stato così bravo, e Martina amava vedere il sorriso stampato sul faccino quando lei lo riempiva di baci. Contagiava anche lei.
Quando prese a lavare i piatti mentre Matías guardava i cartoni nell'altra stanza, continuò a non aprire bocca. Si era fatta trascinare dai pensieri: per quella festa avrebbe dovuto vestirsi bene, seppure non avesse neanche la voglia di andarci, e ricordava di avere della roba che non usava da un po' ma che era adatta. Forse poteva andare...
«Martina» la voce di Isabel la riportò alla realtà. «Cos'hai?»
«Niente.» Cos'ho? Si chiese nella mente. Quel giorno erano tutti matti, pure sua madre.
«Sei silenziosa da quando sei rientrata. E' successo qualcosa?»
Era in questi momenti in cui Martina rammentava a se stessa quanto la donna che l'aveva portata in grembo la conoscesse bene.
«Be', stasera vado ad una festa.» prese ad asciugare i piatti, passava il canovaccio con forza immaginando che fosse la faccia di Raquel... o di Julio.
«Oh» Isabel ne rimase basita. «Con delle amiche?»
Martina arricciò il naso. «No, non proprio.» Raquel non era sua amica, il solo pensiero le dava il voltastomaco. Scosse ripetutamente la testa.
«Preferirei che...che restassi con Matías.» disse l'altra, cauta. Ci stava andando con i piedi di piombo.
«Perché, lavori anche questa sera?» sistemò gli ultimi piatti nella stoviglie e poi si girò verso la madre con un'ultima speranza che le avrebbe impedito di andare a quella dannata festa.
«No, in realtà pensavo fosse meglio passere una serata assieme.» mentì.
«Ho già dato la mia parola..» fece per uscire dalla stanza.
«Non bere troppo, ah e non tornare tardi: domani il mio turno inizia presto e Mati...»
«Dovrò alzarmi lo stesso per accompagnarlo, sì lo so.» sbuffò arresa.
«Oh, molto brava.» la canzonò la donna e Martina fece un finto sorriso raggiungendo il figlio.
Isabel, rimasta sola, si prese il viso tra le mani. Voleva proteggere la figlia, non poteva impedirle di andare ad una festa o avrebbe causato un litigio, ma una piccola bugia non avrebbe fatto male a nessuno. Aveva paura, paura che si sarebbe cacciata nei guai, di nuovo. E se era riuscita una volta a rialzarsi ciò non includeva che sarebbe successo ancora. Le probabilità erano scarse, la paura della donna elevata. Non era riuscita una volta ad impedire che le cose andassero a finire come previsto, non avrebbe perdonato un altro errore a se stessa.
Prima di uscire dalla cucina si impose di sfoderare un sorriso, poi raggiunse Martina e Matías sul divano. Da lì a distanza di qualche minuto diedero inizio ad una guerra per contendersi il telecomando con la conseguente vittoria di Isabel che usò come arma il solletico. Un'arma letale per la figlia.
«Tregua!» pregò Martina con le lacrime agli occhi per il troppo ridere rialzandosi da terra.
Matías le saltò sulla schiena aggrappandosi al collo, «Presa!» gridò felice.
Martina si finse in trappola, «Oh no, ho perso.».
«Nonna, nonna! Guadda, l'ho presa.»
«Bravo amore.»
«Ehi! Da quando vi siete coalizzati contro di me?»
Fece scendere il bambino, controllò l'orario sul cellulare: a malincuore era arrivato il momento di prepararsi per la serata più brutta della sua vita. Non riusciva proprio a vedere il lato positivo di andarci, perché non c'era.
Controvoglia preparò la biancheria sul suo letto, mentre l'acqua della doccia scorreva. Quando vi entrò fece l'errore di non controllare se fosse temperata e rischiò di bruciarsi. Trascorse più tempo del dovuto e non avrebbe voluto più uscire ma alla fine si arrese.
Quando finì di asciugare la lunga chioma -con spazzola e phon rendendoli più lisci del solito- andò a vestirsi.
Stava applicando l'eyeliner davanti lo specchio della sua camera quando comparve Matías e iniziò a fissarla. Indossò un semplice jeans scuro ad alta vita e un maglione corto panna; e per finire un paio di decolté nere.
«Mamma?»
«Sì?»
«Che fai?» chiese il bimbo con una nota di curiosità.
«Mi sto truccando.»
«E cos'è? Anche i maschi usano il tucco?»
Martina scoppiò a ridere, «No, lo usano solo le ragazze per apparire più belle.»
«Ma tu sei già bella.» disse con sincerità, gli occhi scuri puntati su di lei per osservare ogni particolare nei movimenti della madre.
«Be', se lo dici tu allora ci credo.» lo guardò attraverso lo specchio e gli sorrise.
«Mamma dove vai?» le chiese dopo un po', quando Martina finì di applicare un rossetto rosso.
«Ho un appuntamento con... delle persone.»
«Posso venire con te?»
«No, dobbiamo studiare e ti annoieresti.»
«Ma io voglio venire.» fece con voce lamentosa.
«Ho detto di no Mati» aprì l'anta dall'armadio e prese la borsa.
Matías notando la fermezza di Martina iniziò a fare capricci, a sbattere ripetutamente i piedi per terra e a urlare e piagnucolare
«Senti facciamo un patto» si avvicinò a lui e si mise in ginocchio all'altezza del piccolo.
«Quale?» mormorò con la voce rotta dal pianto e stropicciandosi un occhio con la mano.
«Se tu mi prometti che stasera mangi tutto, domani appena ti vengo a prendere a scuola andiamo al parco. Però devi promettere, ci stai?» fece l'occhiolino sorridendogli, cercando di essere quanto più convincibile possibile.
Il bambino ci pensò un attimo su e dopo annuì. Martina lo abbracciò, gli asciugò le lacrime e alla fine riuscì a staccarsi dal suo tentativo di farla rimanere con sé. Dopo aver salutato anche la madre indossò il cappotto e uscì di casa.

Amor omnia vincit?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora