Capitolo 9.

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«Mami, maaami!!» continuava ad urlare Matías dalla stanza.
Martina non ne poteva più, la voce del bambino ormai la sentiva di continuo. E il suo emicrania peggiorava man mano.
«Dannazione! Arrivo Mati.» borbottò. Fece per alzarsi mal volentieri dal divano, ma la madre la precedette.
«Vado io.» Isabel le rivolse un'espressione dolce, come suo solito.
Martina fece per aprire bocca, ma un improvviso e violento starnuto glielo impedì. Ne seguì un secondo e un terzo. Aveva tentato di prendere in tempo un fazzoletto dal pacchetto, ma fu un tentativo vano.
Isabel si fermò un attimo rivolgendosi a Martina, «Hai preso qualcosa, per questa influenza?»
«Non è influenza.» disse, seppure anche dalla voce si notava il contrario. Poi fu colpita da una forte tosse.
Isabel la guardò con rimprovero, «Ah, ma davvero?»
Si sentì ancora la voce di Matías che chiamava ininterrottamente.
«Vai da lui, ti prego. Ho un mal di testa che non ne posso più.» si lamentò. Lo fece più per liberarsi della madre che le ronzava intorno già da un po', volendo quasi costringerla ad assumere farmaci. Ma lei era testarda e non li avrebbe presi.
Sentì d'un tratto un peso sulle sue spalle, il viso di Matías spuntò di lato la sua faccia. Il bambino le strinse le braccia minute al collo e la riempì di baci. Aveva ancora gli occhi lucidi e incerchiati, il viso un po' bianco; però non aveva più febbre. Stava molto meglio di due giorni prima e Martina se ne rallegrava. Con le energie aveva riacquistato il suo essere irrequieto e gestirlo era molto difficile, a maggior ragione ora che la stessa Martina a non stava bene.
«Dai Mati, non saltare sul divano. Siediti!» borbottò esausta, quasi implorante.
«Posso mettere i cattoni?»
Lei annuì sperando di farlo stare calmo per un po'. Sullo schermo della tivù vi erano degli animali –un maiale e la sua amica pecora che giocavano-, un programma per bambini più insensato che mai. Ma è proprio per questo che piace ai piccoli. Per Martina invece man mano che il cartone andava avanti –senza alcun filo logico- le palpebre si chiudevano piano. Le sentiva pesanti ed era sicura di aver bisogno di riacquistare delle ore di sonno perse.
«Martina tra poco inizia il mio turno, tornerò tardi.» la voce di sua madre, proveniente dalla cucina, fu un sussurro poco comprensibile per la ragazza, che era beata in un dolce dormiveglia.

«Sveia mamma!! Sveia.» quella voce sembrava quasi un'allucinazione per Martina. Lo sento anche mentre dormo, santo cielo. «Mamma, ho paura!» riaprì subito gli occhi quando si sentì scuotere.
«Mati...» borbottò con voce impastate.
«No domire, no domire mamma, ti prego!»
«Stai tranquillo, sono sveglia ora.» disse in tempo prima di essere colpita da un attacco di tosse. Maledetto mal di gola.
«Mamma, giochiamo?»
«Giocare? A cosa?» chiese svogliatamente prendendo un altro fazzoletto dal suo pacchetto.
«Mmm... A naccondino!! Naccondino va bene, mamma?»
Martina tentò di alzarsi più su sul divano, ma le forze le mancarono «Non mi sento bene, Mati. Gioca solo con il trenino.»
Matìas iniziò ad urlare: «Noooo, voio giocare co te!»
«Mati, smettila di fare i capricci, ho detto di no.» disse perentoria.
Il bambino si agitò e se la prese con il divano: teneva i piccoli pugni chiusi e li buttava su di esso con rabbia. Ma anche in quel modo era più tenero che mai.
«Sei cattiva! Brutta e cattiva.» Martina sospirò sfinita. Ma Matías continuò: «No ti voio più bene. No sei più mia mamma.» e tra le lacrime scappò via. Lo sbattere della porta lo sentì forte persino Martina a distanza.
«Si rompe la porta se la chiudi così forte.» sbottò lei inutilmente.
Dopo un po' decise di raggiungerlo, sarebbe bastata qualche parola per far pace con il figlio. Non era un bambino incline a portare rancore. Magari un po' viziato sì, perché troppo coccolato dalle due donne, che erano praticamente la sua famiglia e molto permissive nei suoi confronti.
Nel momento in cui Martina abbassò la maniglia della sua camera questa non si aprì. Ci riprovò ma niente.
E' chiusa a chiave.
Matías era un bambino intelligente, ma non aveva mai provato a chiudersi in una stanza. Una volta sì, rammentò Martina, ma lei quel giorno non si trovava a casa, era stata sua madre a raccontarglielo al suo ritorno. A detta di Isabel, era uscito qualche minuto dopo, senza troppa fatica da parte sua.
«Matías apri. Matías è pericoloso chiudersi in camera da solo. Dai esci, se lo fai giochiamo insieme.» parlò a raffica per l'agitazione.
Ma non ricevette alcuna risposta dall'altra parte.
Non poteva aspettare il ritorno della madre, mancavano ore e sarebbe potuto succedere di tutto. Magari chiamarla per chiedere il modo di farlo uscire sì. Il cellulare squillava e squillava senza risposta.
Merda, ha il cellulare per niente.
La paura la portò ad urlare: «Matías ho detto di aprire questa porta!» con un po' troppa aggressività
Niente. Niente di niente. Quel silenzio la allarmava più del fatto che fosse chiuso dentro.
Non riusciva ad aspettare senza poter far nulla, aveva provato ad usare la chiave attaccata alla porta del bagno, ma come sospettava all'interno c'era ancora attaccata l'altra.
Prese di nuovo il cellulare e prima di pensarci cercò il numero di Julio.
Vieni? E' urgente.
Aspettò con ansia la risposta. La vibrazione del cellule, appena qualche secondo dopo, la fece sobbalzare.
Dove sei?
A casa; scrisse velocemente.
Cinque minuti e arrivo.
Gettò subito un sospiro di sollievo. Rimase seduta accanto la porta nella speranza che Matías la aprisse da un momento all'altro o di sentire perlomeno la sua voce. Ne seguì invece un silenzio tombale che l'agitò maggiormente.
Il campanello la fece alzare in piedi, e di corsa raggiunse la porta.
Questa volta è stato puntale, pensò Martina portando la mente al loro primo incontro in biblioteca.
Julio fece un passo dentro casa e la prima cosa che notò fu quanto fosse trasandata la ragazza. Il naso rosso e altrettanto la bocca, borse sotto gli occhi che lasciavano intendere quanto poco avesse dormito, il viso pallido di chi non godeva di un'ottima cera. Per non parlare dell'abbigliamento: indossava pantaloni di una tuta che aveva visto tempi migliori e una felpa più che sbiadita. Ma Martina non badava all'apparenza per piacere agli altri e soprattutto non in quel momento.
«Come stai?» le chiese d'istinto.
«C..come?» pronunciò tra una tosse e l'altra. «Ti ho chiamato per Matías.»
Aspettò che Julio dicesse qualcosa, ma lui continuava a guardarla con  una strana espressione. Martina lo fissò a sua volta con un sopracciglio alzato, subito dopo lui scosse la testa e girò di lato la testa confuso.
«Ci sei?»
«Sì, sì.» il suo tono indeciso e debole e gli occhi rossi dicevano tutt'altro. «Dicevi?»
Martina fece finta di niente e distogliendo lo sguardo continuò: «Matías si è chiuso in camera e... ma forse ho sbagliato a chiamarti. Non riesci neppure a sostenere una conversazione.» lo guardò con sufficienza. Vederlo con gli occhi persi nel vuoto la innervosiva. Era abituata ad un altro Julio.
«E... di preciso, cosa sarei venuto a fare io?» anche lui non sembrava tanto cortese. Il fatto che non lo fosse Martina era nella norma, ma Julio era sempre di buon umore tranne quando era proprio lei a farlo andar fuori di senno.
«Credevo che potessi convincerlo ad uscire da lì, c'è già da dieci minuti.» disse guardando davanti a sé. Aggiunse subito: «Ma a quanto pare sei del tutto inutile, visto le tue condizioni attuali.» lo provocò ulteriormente.
Ma non era il suo obbiettivo, non quello fondamentale. Era incazzata di vederlo davanti a sé in quello stato pietoso.
Schifata, è il termine esatto.
Magari far incazzare anche lui, già che c'era.
Difatti Julio le scoccò un'occhiataccia che la sorprese.
Mai l'ho visto tanto teso, neppure le volte che mi ha persino urlato contro.
Una sola occhiata, quel viso corrucciato e gli occhi più scuri del solito –simile al colore del mare in piena notte- aveva fatto vacillare Martina per un istante.
Prima che potesse dire altro Julio la sorpassò per avviarsi alla stanza in questione. Conosceva quanto bastava quella casa casa per potersi dirigersi con tranquillità. Forse ha ragione Martina quando dice che mi sto praticamente trasferendo qui, ma d'altronde questa volta mi ha chiamato lei.
Arrivò davanti la porta e tentò di aprirla.
«E' chiusa, idiota.» disse Martina dietro di lui.
Julio sospirò, si girò a guardarla male senza dir nulla.
«Matías? Matías sono Julio, sei qui dentro?» bussò due volte sulla porta e vi accostò l'orecchio attendendo risposta.
Martina sospirò pesantemente e scocciata incrociò le braccia. C'ho già provato io, perché lui dovrebbe riuscirci con una frase?
Divenne più stizzita quando in effetti udendo la sua voce Matías rispose.
«Jo Jo, sei qui?» la sua voce lasciava percepire la felicità.
«Sì, sono venuto per te.»
«Pe giocare co me?»
«Sì, ma per farlo devi uscire dalla camera o non potremo giocare.»
Martina, seppure le costasse ammettere, aveva appurato quanto Julio ci sapesse fare. Incrociò infatti le dita affinché il bambino aprisse quella dannata porta e vi uscisse finalmente.
«Mmm... no. No voio uscire.» fu la risposta finale di Matías.
Al che Martina spinse via Julio dalla porta, e tirò pugni a quest'ultima urlando: «Matías apri questa porta, cazzo. Apri immediatamente la porta o ti giuro...»
«No, no, no. Via mamma. Non la voio, cacciala via.» strillò a sua volta il piccolo.
Martina inspirò pesantemente, le grida le avevano aggravato il mal di testa e causato un fastidioso bruciore, come se non mi bruciasse di per sé.
«Martina ti rilassi?» disse Julio posandole una mano sulla spalla.
«No, non mi rilasso.» si scrollò la mano di dosso. «E lì dentro da più di dieci minuti e non ha intenzione di uscire..» mentre lei parlava Matías continuava a strepitarle di andarsene.
«Per piacere, mi metti agitazione. Vai a guardarti la televisione o fai ciò che ti pare.» Julio si massaggiò la fronte.
«Guarda che sei a casa mia, se non lo avessi dimenticato.»
«Vuoi che Matías esca da qui o no?» si alterò. Martina tacque e lo fissò per qualche istante. «Fammici provare, almeno.» le chiese questa volta addolcendo i lineamenti contratti.
Martina ci pensò su e con grande sorpresa acconsentì allontanandosi per raggiungere la sala. Ne approfittò per dare un'occhiata agli appunti di storia,ma vedere tutte quelle date, avvenimenti e sciocchezze varie scritte le fece solo girare la testa. Fece una smorfia riponendo la pila di fogli sul divano. Al diavolo!
Dopo un'attesa che a lei parve un'eternità decise che non avrebbe aspettato più.
Decido io cosa fare e cosa no.
Quando raggiunse la porta la vide semiaperta, quindi si avvicinò maggiormente e sentì subito la voce di Matías e di Julio. Il bambino sembrava molto più tranquillo mentre che parlava con il ragazzo, non gli urlava addosso brutte parole come aveva fatto con Martina.
«Wow, ma tu sai tutto Jo Jo?» diceva la voce piccina sorpresa e affascinata al tempo stesso.
Martina vedeva le loro ombre sul muro adiacente la porta: il bambino era  poggiato sulle gambe di Julio e teneva un oggetto in mano, probabilmente un giocattolo. Si accostò alla porta per sentire meglio.
Julio alle parole del bambino rise, «Non proprio tutto.»
«Sei bravo... e getile. Voio stare co te, no co mamma. Mamma è cattiva, e non la voio più.» le sue parole erano dettate sicuramente dal momento e dall'irritazione, che sarebbe passata di lì a poco. Ma a Martina fece più male del dovuto. Detto da chiunque non le avrebbe fatto alcun effetto, se invece era suo figlio considerava quelle parole peggio di una pugnalata al petto. Il peggio era che lo stava dicendo a Julio. Preferisce Julio a me, sua madre.
Martina non riuscì né volle respingere la gelosia nei suoi confronti,  ora più che mai aveva visto quanto lui poteva portarle via tutto e ciò la spaventò tremendamente.
Sentì Julio piazzare delle frasi stupide su quanto Matías si sbagliasse, ma non volendo ascoltare si allontanò. Corse in bagno per lavarsi la faccia così da confondere le lacrime che scendevano dai suoi occhi con l'acqua con cui si bagnava ripetutamente. Non che servì a molto, ad ogni modo. Uscì dal bagno appena smise di versare lacrime.
Sembri una bambina capricciosa, che piange quando le rubano le caramelle; la ammonì il suo subconscio.
Non lascerò che Julio mi rubi nulla; rispose a se stessa.
Proprio in quel momento Julio uscì dalla stanza con Matías in braccio, che stava aggrappato al suo collo come segno di protezione. Ovviamente Julio –non avendo altro da fare- le si avvicinò quasi preoccupato.
Preoccupato lui, ma per favore!
«Stai bene?» la guardò insistente negli occhi e con certezza notò che fossero rossi.
Distolse lo sguardo, «Sì.»
Ciononostante poggiò una sua mano sulla fronte di Martina, che sobbalzò sorpresa.
«Sei calda, non hai mica la febbre?»
Lei si allontanò, «Ho detto che sto bene.» scandì. Poi si girò verso Matías e gli rivolse un sorriso. Ma quest'ultimo nascose il viso all'incavo del collo di Julio.
Martina scoccò un'occhiataccia a quest'ultimo e si allontanò diretta in cucina. Provò a prepararsi una tisana calda, la sua gola la ringraziò quando la ingerì quasi bollente. Socchiuse gli occhi. Era ciò di cui avevo bisogno. Si beò del calore che emanava la tazza fumante.
«Stai meglio? Hai preso qualcosa?» tutto quel relax fu spazzato via in un nano secondo, in un battito di ciglia. In due parole dette da quella voce che, per sfortuna, conosceva bene. Fin troppo bene.
«Non c'è bisogno che mi stai addosso, non ho bisogno del baby sitter.»
«Io non ti capisco.» disse frustrato sul punto di accendersi una sigaretta, ma ci ripensò. Si passò una mano sui capelli intrisi di gel, con i nervi a fior di pelle. Aveva gli occhi ancora rossi, ma meno rispetto a prima.
Martina lo guardò a lungo e quel suo sguardo l'addolcì. Provò qualcosa nella bocca dello stomaco, qualcosa che la fece stare male e non era l'influenza. Senso di colpa.
Dopotutto era venuto appena lei gliel'aveva chiesto, senza esitazione alcuna,senza chiedere in cambio qualcosa a quel favore.
Nessuno fa niente se non vuole altro in cambio; la gente non regala favori a destra e a manca; Martina non ne era più così certa. Faticava persino a credere alle sue stesse parole.
Il cellulare di Julio prese a squillare e dopo aver letto il nome sul display rispose un po' scocciato.
«Mari, dimmi.»
«Julio, finalmente hai risposto!» strillò Marisol dall'altro capo del telefono. «Ti avrò chiamato una decina di volte.»
«Avevo la suoneria a basso volume.» mentì. Non posso mica dirle che ho ignorato di proposito le sue chiamate, conoscendola si offenderebbe e non mi parlerebbe per minimo una settimana.
«Vabbè fa niente. Comunque stai bene? Quel cretino di Adam ha ammesso di averti lascato guidare la moto da solo dopo che avete fumato erba come se non ci fosse un domani.» il suo tono suonò più come un rimprovero. E anche bevuto vodka; ma forse questo piccolo dettaglio lei non lo sapeva ed era meglio così.
«Sto bene, tranquilla.» sospirò.
«Sei da lei ora?» Marisol abbassò notevolmente la voce, come se qualcun altro potesse sentirla.
«Sì.»
«E' lì davanti a te?»
«Precisamente.»
«Immaginavo. Be', datti da fare. Hai con te i preservativi?»
«Marisol!» non sapeva se ridere o arrabbiarsi veramente, ma con lei tutto era un gioco. «Per rispondere alla tua domanda no. E comunque non li userei in ogni caso.»
«Sì, lo so. C'è suo figlio... eppure non te la vuole ancora dare.»
«Smettila, ti prego.» rise.
«Be', almeno provale a far capire che ci tieni. Se ti rifiuta e proprio una tr...» s'interruppe.
«Non dirlo.»
«Non ne avevo intenzione. Giuro.» ma non sembrava tanto convincente la sua voce. Si sentì in sottofondo delle urla che chiamavano la ragazza, «Julio ti devo lascare, c'è mia madre che rompe le palle.»
Ridendo Julio la salutò e attaccò la chiamata.
Quella ragazza è uno spasso.
Alzò gli occhi e vide Martina che lo fissava accigliata. La guardò a sua volta, ha proprio una brutta cera; rifletté ma evitò di domandarglielo di nuovo.
Mari? Da dove esce 'sta tipa? Martina gli stava lanciando sguardi omicida già da inizio chiamata, sapendo che Julio non la stesse notando. Certo, sarà di sicuro troppo occupato a parlare con 'Mari'; aveva fatto una faccia disgustata subito dopo che lo vide sorridere al telefono. Sbatté le palpebre e si stropicciò il viso, notando solo dopo quanto le bruciassero gli occhi. Si lamentò e agitò la mani per fare aria in un vano tentativo di migliorare la situazione.
«Che hai?» Julio si scostò dal piano cottura su cui era poggiato.
«Mi... mi bruciano gli occhi!» li strizzò peggiorando solo la situazione.
Lui si fece più vicino, le prese il viso con una mano e mentre soffiava teneva l'occhio aperto con la mano libera.
«Fermo, mi bruciano! Non riesco a tenerli aperti.»
«Sshh, sta' ferma.»
Si bloccò anche se il fastidio non cessava. Dopo andò scemando e poté riaprireli. Questi incrociarono subito quelli di Julio.
Wow.
«Hai gli occhi rossi, forse è una congiuntivite.» balbettò, senza capire cosa le sue stesse labbra stessero farneticando.
Martina annuì a nulla di preciso o forse a tutto. Ai suoi pensieri, al suo autocontrollo. Le mani di Julio tenevano ancora il suo viso, erano grandi e calde. Erano ruvide ma a Martina piaceva lo stesso l'effetto che queste le facevano sulla pelle. Socchiuse gli occhi e si rilessò a quel toccò.
«Martina sei bollente.» disse con un velo di preoccupazione.
Lei annuì, «Ho.. ho freddo. E mi scoppia la testa.» sussurrò poggiando la fronte pesante sul torace del ragazzo. Julio le accarezzò i capelli sciolti lungo la schiena e lei chiuse impercettibilmente gli occhi. Era così rilassata da quelle carezze che di lì a poco si sarebbe addormentata pure in piedi. Perché lo sto facendo?  Ma dentro di sé conosceva la spiegazione. Marisol.

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Premessa: non ho ricontrollato il capitolo dopo averlo finito, quindi se ci sono errori fate finta di non vederli ahahah. Domani lo riguarderò, promesso. Intento lo metto già stasera perché alcune lo aspettavano.
A proposito di ciò, vi ringrazio per i bei commenti che ho letto, sono contenta di leggerli (come avrò già detto, ma se c'é una cosa da sapere su di me è che sono ripetitiva, forse troppo ahah) e anche di aver votato la mia storia. Anche per questo motivo ho deciso di aggiornare il prima possibile <3.
Tengo particolarmente a questa storia, anche se devo modellarla per bene e c'é ancora molto da lavorare, ci sono davvero legata. So, i hope you like it.<3
E sono contenta di continuarla, soprattutto ora che mostrate maggiore interesse. Be', vi lascio alla lettura. Al prossimo capitolo (spero di aggiornare presto, io ci proverò).

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