Capitolo 3.

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«Bene ragazzi l'ora è giunta al termine. Spero che abbiate iniziando a svolgere il compito di gruppo, chiederò presto informazioni a riguardo.»
Quando Sanz si congedò con queste parole l'umore di Martina peggiorò in un istante come il brusco atterraggio di un aereo. Passata poco più di una settimana dal giorno in cui l'insegnante aveva assegnato quel progetto la ragazza si stava logorando giorno dopo giorno sul da farsi. Inoltre dopo l'incontro-scontro con Julio in biblioteca i due non si rivolsero più la parola; forse perché lei lo ignorava deliberatamente per il semplice fatto che le dava sui nervi il suo comportamento da bambino o perché lui non le rivolgeva tanta considerazione come aveva fatto inizialmente.
Prima ti sta addosso diventando quasi asfissiante.. e dopo non ti rivolge neanche uno sguardo! Sbuffò Gonzàlez con un pizzico di amarezza. Forse le avevano fatto piacere quelle strane attenzioni del ragazzo e forse avrebbe voluto durassero di più. Ma no, che assurdità!
Ma anche per semplice curiosità, dopo tutto lui l'aveva trattava diversamente rispetto agli altri ragazzi e un po' le dava fastidio il suo modo di fare, sì, ma era sempre così sereno e con il sorriso stampato sul viso che quasi lo invidiava. Avrebbe quasi voluto scambiare il suo stato d'animo con quello del ragazzo in modo che potesse sorridere anche lei per idiozie come aveva visto fare a lui. E magari prendere la vita in modo leggero, non come se fosse un macigno da portare per gran parte della giornata fin quando cala la sera.
Era cosciente che avrebbe dovuto anche lei fare un passo, parlargli per svolgere quell'esercizio insieme per poi riprendere liberamente ad ignorarsi a vicenda, però l'orgoglio non glielo permetteva. Martina Gonzàlez era troppo orgogliosa, un difetto che aveva da soli tre anni a questa parte; con le esperienze aveva appreso che fare il primo passo era una dimostrazione di debolezza e che scusarsi era da perdenti, persone che non sapevano effettivamente come comportarsi mettendo così in discussione la veridicità di qualcosa detta da loro stessi. Lo sapeva perché lei era stata sia debole che perdente e forse avrebbe continuato ad esserlo se non ne avesse pagato le conseguenze e appreso lo sbaglio.
Anche se in fin dei conti era stata lei a lasciarlo come un baccalà in quella biblioteca ed in effetti non era stato un comportamento del tutto maturo da parte sua ma non l'avrebbe mai ammesso, né tanto meno avrebbe cercato di rimediare al piccolo malinteso, non era da lei. Però non poteva negare che la cosa la preoccupasse non poco; nonostante avesse iniziato a buttare giù qualche idea su un quaderno per appunti era in alto mare. E poi se non avessero iniziato sul serio a lavorare insieme non avrebbero concluso nulla come avevano fatto sino a quel momento.. intanto i giorni passavano ed era sicura di essere l'unica a non aver scelto l'argomento del progetto. Era letteralmente nella merda. E quando avrebbe dovuto approfittare di quell'ora libera per revisionare gli esercizi di algebra perse tempo tra questi pensieri e tra disegnare sul proprio quaderno; il resto della classe o rimaneva in aula tra giochi infantili oppure girava liberamente per i corridoi. Era quasi terminata quell'ora e Martina l'aveva persa scarabocchiando su un foglio, il suo compagno di banco era uscito da poco dalla classe con Raquel e compagnia bella. Fortuna che voleva liberarsi della 'sanguisuga'.
Quando chiuse il quaderno per riporlo nella cartella da esso ne uscì un foglietto che cadde lentamente per terra. Martina lo vide e si sporse dalla sedia per prenderlo, notò che vi fosse scritto qualcosa quindi lo girò nel verso giusto e lesse:
Ci vediamo dopo la scuola in biblioteca, per il progetto. Stesso posto, stessa ora.
-Julio.
Gonzàlez strabuzzò gli occhi, Dio quanto è infantile. Era chiaro che fosse tutto tranne che una domanda, quella di Julio. Lei dal canto suo non riusciva a prenderlo sul serio, cioè l'aveva scritto su un foglio! Rettifico: dire che è un bambino è decisamente riduttivo. Sbuffò e dopo aver accartocciato il foglio lo gettò nel cestino accanto alla porta dalla classe. In quel momento alzando lo sguardo lo vide avanzare verso la classe, con alle calcagna Raquel. Martina cercò di non provare un senso di disgusto davanti a quel quadretto ma invano. Julio per un momento incontrò i suoi occhi e lei immediatamente gli tolse gli occhi di dosso per poi tornare nel suo posto incurante.
E chiaramente quando cominciò la lezione successiva e quelle a seguire tra di loro continuò il silenzio che mantenevano da alcuni giorni a questa parte. Al termine delle lezioni tutti gli alunni uscirono accuratamente dalle classi contenti di andarsene da quella struttura che somigliava tanto ad una prigione. Martina, invece, prima si diresse alla cattedra dove vi era l'insegnante per chiedere un informazione in merito all'argomento che stavano trattando. Dopo di che si congedò ringraziandolo.
Non aveva dimenticato il biglietto di Julio, tuttavia non poteva neanche andarci come se non fosse successo nulla la scorsa volta, era contraddittorio da parte sua. Ma da intelligente qual era le arrivò presto un'idea: si avviò verso la macchinetta e digitò il tasto del caffè, poi lo bevve con calma. Chi la fa l'aspetti, pensò intanto. Sarebbe andata –come su richiesta del ragazzo- in biblioteca per quel maledetto progetto, ma non sarebbe successo nulla di male se avesse fatto accidentalmente ritardo proprio com'era capitato la scorsa volta a lui. Avrebbe aspettato di più, magari venti minuti come aveva ritardato lui, ma era così scocciata a giocare sul cellulare ad un gioco che tra l'altro l'annoiava che quindici minuti dopo si trovava già davanti la porta della biblioteca intenta a vedere se ci fosse Julio nelle poche persone presenti. E lo vide: seduto su di una sedia in maniera del tutto scomposta, con il cellulare in mano e un cappellino rosso in testa. I vestiti erano come il solito abbastanza semplici, ma lasciavano ben comprendere che seguisse le mode del momento.
Martina si avviò nella sua direzione, lui troppo concentrato a giocare sul cellulare non la notò, e prima di sedersi accanto gli tolse il cappello ottenendo così la sua attenzione.
«E' maleducazione usare il cappello a scuola.» lo posò sul tavolo.
«Mi hai fatto perdere!» ignorò del tutto la frase della ragazza, preoccupandosi più dello stupido gioco a cui era così applicato.
Lei alzò un sopracciglio come a chiedere se stesse dicendo sul serio, ma rinunciò a farlo esplicitamente: non doveva interessarsi dei suoi comportamenti, solo del compito che dovevano svolgere insieme.
Julio diede un ultima occhiata al telefono prima di dire con naturalezza: «Hai fatto meno ritardo di me, non male come inizio. Forse non ti sto così antipatico di quanto credi.»
«Ti dirò, ci avevo pensato ma poi mi annoiavo troppo e mi sono detta: prima ci vai e prima torni a casa»
Lui la scrutò attentamente e dopo averla ascoltata sorrise. Ecco, lo fa di nuovo. Sorride. Ma perché sorride? Lo sto prendendo in giro, che diamine! Con questa riflessione iniziò a girare una ciocca di capelli fra le dita e distolse lo sguardo altrove.
«Mmm.. pensiamo alle cose serie..», prese il suo quaderno degli appunti dalla cartella, «Avevo pensato ad alcuni argomenti come la galassia o comunque qualcosa inerente, oppure di parlare dell'acqua anche se in quel caso non saprei che modellino fare, o ancora dell'organismo umano...» prese ad elencare muovendo la matita che teneva in mano per seguire gli appunti che leggeva. Non si accorse che nel frattempo Julio la scrutando intensamente, ogni sua espressione e ogni parte del viso, come a volerlo imprigionare nella memoria per non scordarlo. Gli piaceva osservarla, non si spiegava il motivo.. gli piaceva e basta.
«Potremmo... parlare della galassia, in particolare dei pianeti e più fra tutti della Terra.» interruppe il lungo monologo della ragazza.
Martina ci pensò su per qualche secondo mordendo l'estremità della matita, gli occhi ancora fissi sul book notes. «Potrebbe andare..» disse in seguito, seria. Trascrisse qualcosa accanto all'argomento galassia per appuntarsi l'idea. Era un po' scettica perché era venuta a Julio, ma non voleva badarci tanto. Non le interessava. Era una buona idea, molto buona, ma non l'avrebbe ammesso neanche sotto tortura. Uno come lui dalle buone idee? Nah, sarà solo fortuna.
Iniziarono a discutere sull'argomento in modo da mettere insieme qualche idea. E Martina scoprì che Julio non era tanto stupido quanto credeva, era documentato su quell'argomento e la cosa la stupì parecchio. Era convita che fosse uno scapestrato, raccomandato e con il cervello bruciato come tutti. Be' sul terzo punto ci stava lavorando, ma del resto era comunque un idiota. Un idiota con cui aveva iniziato a parlare tranquillamente come si fa con un amico che si conosce da tutta la vita, con cui aveva preso anche a fare battute in modo del tutto innocente. E Julio rideva. Rideva e lei lo fissava così insistentemente da notare la presenza di una fossetta su una guancia ogni volta che lo faceva. Era.. adorabile; la fossetta chiaro. Non riusciva ad evitare di guardarlo, avrebbe voluto aver il suo sorriso. Ne era invidiosa perché avrebbe voluto anche lei sorridere in quel modo, con così tanto trasporto, come non riusciva da tanto tempo... invece si limitava a piegare le labbra in una specie di smorfia. Non ci riuscì, ma almeno ci aveva provato.
«Devo andare.» annunciò ad un tratto subito dopo aver guardato l'orologio attaccato alla parete; segnava le tre meno un quarto, non aveva fatto caso che fossero passate quasi due ore. Doveva tornare a casa per badare al piccolo Matìas poiché la madre avrebbe iniziato a breve il suo turno all'ospedale.
«Ora? Non puoi aspettare cinque minuti che abbiamo quasi terminato?» Julio non le cacciò gli occhi di dosso mentre lei aveva già iniziato a conservare le proprie cose velocemente, come se fosse di fretta. Che avrà di così importante da fare?; chiese la curiosità al posto suo.
Martina indossò il capotto senza valutare la proposta di Julio, «No, mi... mia madre mi aspetta.» lo aggiustò alla bell'è meglio e finalmente alzò gli occhi per guardare Julio, cosa che preferiva fare il meno possibile. Lo beccò che la guardava intensamente, con quegli occhi chiari quanto la neve. Lui non accennò minimamente a distogliere lo sguardo e Martina decise di farlo al posto suo.
«Ah.» fu la sua loquace risposta. Ci pensò, poi continuò:«Gonzàlez?» il suo cognome pronunciato da lui sembrava diverso, ma Martina si tolse dalla mente questo pensiero assurdo.
«Sì?» chiese mentre caricava la cartella sulle spalle.
«Stavo pensando.. giusto per portarci avanti e considerando che siamo nel fine settimana, perché non vederci domani a casa mia?» chiese Julio, dopo aver fatto di proposito un giro di parole.
In quel momento, lei, fece ciò che in qualsiasi altro momento non avrebbe neanche pensato di fare; lei accettò tranquillamente senza badare al fatto che fino a quel momento aveva evitato situazioni del genere con qualsiasi ragazzo. Perché non era stupida, conosceva gli uomini come il palmo della sua mano, e sapeva che se la invitavano a casa propria c'era sempre qualcosa sotto, non lo facevano di certo con buone intenzioni. Ma quello fu l'ultimo dei suoi pensieri, in quel momento. Lo faceva solo per il progetto, per concluderlo il prima possibile. Vero? Non lo faceva per rivedere quel sorriso, no, anche perché lo detestava. Detestava lui e il stupidissimo sorriso.
Senza troppe cerimonie e con un semplice cenno della mano, Martina si dileguò velocemente: aveva cinque minuti per arrivare a casa, con il traffico di Madrid che era sicura di trovare, ma poteva farcela.
Arrivò davanti la porta di casa sua sana e salva -dopo aver sbraitato contro tre macchine perché si muovessero, tra cui due persone anziane e un ragazzo troppo impegnato al cellulare per preoccuparsi di andare più veloce dei cinquanta kilometri all'ora-. Ma tuttavia era in ritardo, e sapeva che sua madre si sarebbe infuriata; la immaginava con un diavolo per capello che camminava avanti e indietro per casa. Aveva provato a mandarle un messaggio dicendole che avrebbe ritardato un po', ma con la scarsa conoscenza e considerazione tecnologica della madre era convinta che non l'avesse letto; ma non poteva perdere tempo a chiamarla immaginando la sua reazione.
«Mi spieghi dove diavolo eri finita?» ancor prima che Martina potesse mettere piede in casa, Isabel le sbraitò questa frase addosso.
«Ti ho mandato un messaggio per avvisarti.»
«Ma perché sei tornata così tardi? Sai che devo essere sempre puntuale e il mio turno di lavoro è iniziato dieci minuti fa.»
«Ero in biblioteca, per un compito, e ho perso la cognizione del tempo, quindi...»
«Sì, okay, non ho proprio tempo per le spiegazioni. Sono già abbastanza in ritardo e devo trovare una scusa plausibile.» prese il cappotto appeso all'attaccapanni mentre la figlia si stravaccò sul divano, con la sua poca delicatezza, esausta.
«La troverai.» disse Martina, ma fu più un incoraggiamento il suo.
«Lo spero bene per te.» fece seria Isabel, ma non poté evitare di sorridere seguita dalla figlia.
«Dov'é Matì?» chiese la ragazza non vedendolo scorrazzare per casa.
La madre si guardò un ultima volta allo specchio appeso al muro mentre rispose: «Dorme come un angioletto. Se avete fame puoi riscaldare gli avanzi del pranzo, ho preparato abbastanza anche per la cena. Io torno come al solito alle nove... e che dovevo dire più?» sembrò quasi che quello fosse il primo giorno di lavoro per Isabel, ma Martina era abituata a questo suo comportamento.
«Che devi andare altrimenti il ritardo sarà imperdonabile.» ridacchiò, prendendola in giro. «E... mamma? Ti voglio bene.» le sorrise sinceramente. Era ciò che le serviva per affrontare un'altra giornata a lavoro.
«Anch'io! Divertitevi!» disse prima di chiudersi la porta alle sue spalle.
Martina si rilassò e andò a frugare in giro per cercare qualcosa da sgranocchiare, immaginava la voce di sua madre che le vietava di non mangiare schifezze senza aver pranzato ma con un sorriso divertito preparò dei pop corn e li mise in un contenitore e poi tornò sul divano. Iniziò a fare zapping da un canale all'altro con il telecomando, nel tentativo di trovare qualche programma interessante. Quando finì la ciotola di pop corn spense la televisione e prese a studiare un po' per passare il tempo e per liberarsi il prima possibile di tutti quei compiti assegnati per il lunedì, ed erano molti. Quando si sentì chiamare dalla vocina di Matìas si alzò dal divano, riposò tutti i libri nella cartella e andò nella propria stanza. Il bimbo era già in piedi nella culla, in attesa di essere preso. Martina lo prese in braccio mentre lui continuava a stropicciarsi gli occhi con le piccole manine.
«Buongiorno, amore.» lo baciò sulla guancia, poi guardò l'ora e si corresse: «O per meglio dire buona sera. Hai dormito proprio tanto.» gli rivolse un sorrise che lui ricambiò. Un sorriso sincero, perché i bambini sono lo specchio della sincerità.
«Ho tatta fame, mamma.» disse Matìas, nascondendo il viso nel collo di lei ancora troppo assonnato.
«Davvero? Allora corriamo!» prese a correre facendo un verso simile a quello di una macchina tra le risate allegre del piccolo.
Al termine della cena visto che erano appena le sette e mezza si sdraiarono vicini sul divano coperti con un plaid a guardare la tivù. Martina lasciò che Matìas guardasse i cartoni per la sua felicità. Quando Isabel tornò esausta trovò i due a dormire su quel divano abbracciati. Le scaldò il cuore vederli così e prima di svegliarli e rompere quell'armonia li guardò ancora per qualche minuto: le uniche gioie della sua vita.
Spense la televisione prima di avvicinarsi alla figlia e sussurrarle: «Tesoro.. va' a letto e porta con te Mati» la accarezzò il viso e lei fece un verso prima di aprire gli occhi e piano piano si accinse a fare quanto detto dalla donna.
Poggiò il bimbo, che fortunatamente non si era svegliato, sul suo letto e dopo essersi messa un pigiama pesante –il primo che aveva trovato nell'armadio- si sdraiò al suo fianco e coprì entrambi con la coperta pesante. Anche se il letto non era tanto grande, preferiva dormire con lui accanto che sola, anche se durante la notte si muoveva troppo e occupa gran parte del letto pur essendo un bambino minuto di appena tre anni. Gli lasciò un ultimo bacio e si addormentò subito dopo con lui tra le braccia.

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