Capitolo 8.

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Sia Martina che Nicolas non erano entusiasti di quella decisione, ma ogni tentativo di convincere l'insegnante che era una pessima idea fu del tutto futile. Si arresero a quella che sarebbe stata una tortura. Sanz era occupato a istruire le variazioni di posto già prefissate, nel frattempo Martina borbottava epiteti poco gradevoli e con la coda dell'occhio vide il compagno di banco sghignazzare. E' divertente per lui, sempre tutto così semplice.
«Non credo che continuare a guardarlo in quel modo cambi qualcosa.» sentì dire dal ragazzo con un sorriso sghembo. Detestava già quella voce, e doverla sopportare per ore sarebbe stato un inferno.
«Sta' zitto.» si poggiò con le spalle al muro e continuò a lanciare sguardi assassini in direzione dell'insegnante.
Nicolas sbuffando incrociò le braccia indispettito, e rimase in silenzio. Puntò i suoi occhi grigi su Martina che in un primo momento fece finta di niente, ma si stizzì subito dopo.
«Smettila di guardarmi e asciugati la bava.»
Una scintilla passò dagli occhi di Nicolas.
«Il lato positivo è che almeno oggi sei vestita bene.» così dicendo si concentrò sulla scollatura della ragazza, pronto a ricevere insulti e frecciatine omicida ma senza preoccuparsene, almeno passava il tempo. Invece l'attenzione di Martina era stata attirata da Julio che proprio in quell'istante era entrato in classe e si era scusato del ritardo passandosi una mano tra i capelli. Fu catturata dai suoi occhi che per una manciata di secondi puntarono su di lei. Un po' scocciato, Julio obbedì quando gli fu comunicato il suo nuovo posto.
Nicolas, che aveva analizzato la stranezza di Martina, riprese nuovamente a parlare: «Se non avessi visto la scena con i miei stessi occhi non avrei mai creduto che la Gonzàlez acida di prima e questa ragazza che ho davanti ora sono la stessa persona.»
«Vuoi che ti cavi gli occhi così non potrai vedere più nulla?» emise concisa e minacciosa.
Lui alzò le mani, «Come non detto.» dopo di che calò il silenzio.
In seguito alla prima ora di biologia ci fu una di fisica –quasi interminabile per Martina- e per la gioia della classe seguirono ben due ore di buca e anche se in teoria sarebbe dovuto venire qualcuno a supplire, questi non arrivò. Quando Nicolas si allontanò per raggiungere il banco di Raquel, Martina non ne fu dispiaciuta. A pensarci, quei due sembravano una coppia perfetta: l'imbecille e la stronza; ma di sicuro nessuno dei due ambiva ad una storia. Limonavano di tanto in tanto, ma niente di che. Qualcuno prese posto accanto a Martina, la quale alzò la testa dal suo book notes per vedere chi fosse venuto a infastidirla. La prima cosa che vide furono due occhi azzurri che le facevano l'effetto simile ad un calmante.
«Corro il rischio di essere insultato se ti parlo?» iniziò Julio con l'accenno di un sorriso.
Martina scrollò le spalle. «Può essere. Tu provaci.»
«Cosa disegnavi?» allungò il collo per sbirciare.
Al che lei chiuse subito il quaderno «Niente di che.» il suo tono risultò più brusco del previsto, quindi aggiunse: «Ho quasi finito di scrivere la relazione.»
«Bene, il modellino sta uscendo bene.»
«Bene.» diversamente dal solito non sapeva cosa dire. Ad insultare le persone non le mancano parole.
«Come sta Mati?»
Si guardò intorno per verificare che nessuno li stesse ascoltando, «Una peste come sempre. Chiede sempre di te.»
«Allora potrei fargli visita, sempre che sua madre lo permette.»
Julio la scrutò attentamente stringersi nelle spalle. Dopo un po' rispose: «Si può fare.»
«Okay.»
«Okay.»
Erano entrambi a corto di argomenti, si limitavano a scambiarsi sguardi. L'imbarazzo si tagliava con il coltello. Finché arrivo Nicolas richiedendo il suo posto, e Julio fu costretto ad alzarsi. Martina non sapeva se esserne sollevata o irritata.
Proseguirono così le ore successive, più vuote che altro, e arrivò presto la fine di quella mattinata. Non appena Martina imboccò il corridoio -insieme a tutti gli altri scolari- venne affiancata da Julio.
«Allora, che fai ora?»
«Torno a casa?» rispose a mo' di domanda. Cosa vuoi che faccia dopo una pesante mattinata scolastica?
«Okay... e dove hai parcheggiato la tua auto?»
Arrivarono all'uscita e continuarono a camminare insieme.
«In realtà non sono con l'auto, prendo il pullman.»
«Ah. E perché?»
Gli interessa? «La mia auto non parte più, e devo farla controllare.»
«Certo, è normale quando hai un rottame al posto di una macchina decente.» la schernì.
«Senti, a me importa che mi porti a casa.»
«Seriamente Martina, è un pericolo quell'auto. Dai retta a me che di veicoli me ne intendo.» Martina seppure un po' punta non riuscì ad evitare di ridacchiare, Julio fu piacevolmente sorpreso e si unì. «Ti accompagno io.» così dicendo raggiunse l'Audi parcheggiata poco distante e schiacciando un pulsante questa fece bip bip.
Quella sì che è un auto con la a maiuscola.

Martina si bloccò a metà strada, interdetta.
«Dai, vieni.» la esortò. E lei mandò a 'fanculo tutti i dubbi.
Durante il tragitto si scambiarono qualche parola, scoprendo qualcosa l'uno dell'altra. Martina scoppiò a ridere non riuscendo proprio a trattenersi quando Julio le disse di avere la fobia delle farfalle. Esiste sul serio una fobie sulle farfalle?
«Ora tocca a te confessarmi una tua paura.» le aveva detto successivamente.
«No no, te lo scordi.» rispose dopo qualche secondo di silenzio.
«Me lo devi.»
L'insistenza di Julio la spinse a cedere e dopo averci pensato su rispose: «L'altezza.»
«L'altezza?»
«Sì.»
«Vorresti dirmi che soffri di vertigini?» trattene un sorriso.
«Sì, ma solo in parte. Cioè nel caso mi trovo all'ultimo piano di un palazzo o su una scala di emergenza ho il terrore, ma dall'altra parte vado liberamente sulla ruota panoramica.»
«Mmm.. sul serio?»
«Lo so, sembra un po' strano però...»
«Strano? No, di più.»
«E tu? Non mi sembri da meno.»
«No, è vero. Per questa volta te la do vinta.» rise. «Dove vuoi che ti porti?»
Martina si accigliò, «Credevo che mi avresti accompagnata a casa.» si voltò a guardare Julio.
«Posso portarti dove vuoi.»
«Attento a ciò che dici, Benitez.» gli puntò un dito contro. «Potremmo prenderci un gelato.»
Un gelato? A  metà febbraio? Si chiese confuso, ma annuì senza esitare. Gli bastava già che avesse accettato evitando di fare la preziosa.
Dieci minuti dopo trovarono un chiosco carino dove prendere due gelati, poco distante vi era una panchina su cui si sedettero e lo finirono entrambi in silenzio. Successivamente Martina osservò Julio per un po', distese le gambe sulle sue e lo guardò accigliarsi, ma lei rimase impassibile davanti al suo sguardo. Poggiò i gomiti sulle gambe e a sua volta il mento sui palmi guardando dal basso i suoi occhi. Dio, ma è possibile che esistano di così belli? Hanno una luce così intensa... o è pura immaginazione? Talvolta degli occhi profondi sono anche tanto pericolosi, e Martina ne sapeva qualcosa.
Gli sguardi di entrambi si accentuarono, e quando Julio si sporse Martina si aspettò che la baciasse e d'istinto chiuse gli occhi e schiuse le labbra. Ma non sentendo la sua bocca li riaprì. Julio pulì con il pollice del residuo di gelato rimasto all'angolo della sua bocca, dopo di che gli scappò un risolino che fece irritare la ragazza. Si affrettò a spostare le gambe ma lui le bloccò le cosce con le mani e la tirò più vicina.
«Portami a casa.» mormorò reprimendo il desiderio che quelle mani le toccassero ogni lembo di pelle.
«Certo.» rispose tranquillo dopo un attimo.
Tornarono in auto e questa volta l'unica cosa che si sentì in quell'abitacolo fu una musica in sottofondo che Martina trovò orribile. Quando Julio parcheggiò scesero entrambi dal veicolo, restarono nel pianerottolo per diversi minuti.
Martina non riuscì a contenersi, alla fine esplose: «Perché non mi hai baciata?» e si accorse dopo dell'enorme cazzata uscita dalla sua bocca. Ma era la verità: erano ad un palmo di distanza e per una volta che lei si aspettava un suo bacio senza alcuna esitazione, lui che faceva? Si divertiva a prenderla in giro.
«Come?»
«Mi hai sentito, non prendermi per il culo Julio, sennò vado più fuori di me.»
«Perché non mi hai detto che volevi essere baciata?»
Si girò a guardarlo, corrucciando la fronte «Non era evidente?» alzò un sopracciglio.
«Non posso leggerti nella mente, Martina.»
«Okay, me ne vado.»
«No, dai, aspetta.»
Si bloccò davanti la porta e girò il capo indispettita, «Cosa c'è, ancora?»
«Vuoi ancora che ti baci?»
«Smettiamola qui, okay? Dimentica ciò che ti ho detto, era una cazzata.»
«Rispondi e basta.» disse diventando d'un tratto serio.
«No.» mentì mordendosi la lingua, dopo un momento di esitazione.
«Hai esitato.»
«Julio, piantala.» incrociò le braccia al petto evitando il suo sguardo.
«Perché prima fai un passo in avanti e poi indietreggi di due?» chiese piantandosi davanti a lei.
«Perché sì!»
Martina fece l'errore di alzare lo sguardo e incrociare quello del ragazzo: ebbe un tuffo al cuore che la fece spaventare.
«Non... non guardarmi così. Non farlo, te l'ho già detto.» gli coprì il viso con una mano nel tentativo di allontanarlo.
Julio dal canto suo la acchiappò per la vita, annullando ogni suo tentativo di fuga, e prima che potesse cercare di opporsi le depositò un bacio sulla fronte.
«A domani, Martina.» disse prima di allontanarsi a grandi passi.
Martina non ebbe neanche il tempo di metabolizzare il tutto, era rimasta inerme quando lui le si era avvicinato senza riuscire a controllare la situazione né tantomeno le emozioni che dentro di lei stavano nascendo. Entrò in casa e batté con forza la porta appoggiandosi con le spalle per riprendersi dagli eventi di quell'ultima mezz'ora. Sentì i passi della madre avvicinarsi e fece un respiro profondo.
«Martina, ma dov'eri?» strillò la donna con un velo di preoccupazione negli occhi.
«Scusa se non ti ho avvisata, ho fatto un giro.»
«Un giro? E dove? Sola?» Isabel aveva la brutta abitudine di fare troppe domande in una volta. Sentire la sua agitazione faceva venire il mal di testa alla stessa Martina, che su questo aspetto era molto diversa dalla madre: si limitava più a rimanere indifferente degli eventi che non la riguardavano. Non era tanto emotiva, e soprattutto non come la madre.
«Con Julio.» rispose piatta.
Sulle labbra di Isabel spuntò un sorriso complice.
La figlia la bloccò subito: «No no, non dire quello che stai pensando. E togliti quella espressione dal volto.» così dicendo si avviò in cucina.
Isabel la seguì, «Ti ho lasciato il pranzo nel forno» la informò sulla soglia della porta.
Martina prese posto al tavolo e iniziò il suo pranzo, per stare con quello stupido non ho neppure pranzato..
«Vuoi continuare a fissarmi sulla porta o preferisci sputare il rospo?!» disse masticando come un ruminante, al che ottenne un'occhiataccia dalla madre.
«Credevo che non volevi che parlassi.»
«Infatti lo eviterei volentieri, ma visto che mi irrita di più il tuo sguardo...»
Isabel ne approfittò: prese posto accanto la figlia, «Com'è Julio? La verità.»
«Un ragazzo, ha una bella macchina... e penso anche che sia ricco come tutti gli altri. Ma credevo che lo sapessi già.» disse a mo' di presa in giro, prima di bere un sorso d'acqua. Vide lo sguardo accigliato della madre e sospirò, «Che vuoi sapere?»
«Ti piace?»
«Piacermi? Mamma, è da un pezzo che ho smesso di farmi piacere le persone.» arricciò il naso disgustata.
Vide la luce negli occhi marroni della madre spegnersi, e tutto sommato si pentì di averla delusa. Non che non fosse la verità, ma era evidente che Isabel non lo accettasse.
«Martina, potrebbe essere diverso...»
«Sì, potrebbe. Ma non mi va di scoprirlo.»
«Perché?»
Fece un sospiro profondo, reprimendo la voglia di urlarle contro. Era pur sempre sua madre e voleva solo il suo bene. «Perché sono stanca, mamma. Non sono più una bambina, non mi serve il fidanzatino. E poi lui sta già con Raquel.» Era una bugia, sapeva che Raquel aveva già smesso di considerare Julio da un po'. Alla bionda piacevano i giocattoli nuovi ma non li usava poi tanto, preferiva collezionarli. Eppure a Martina non interessava tutta quella storia, o perlomeno si era convinta di ciò.
Isabel a quelle parole annuì debolmente e lasciò sola la figlia, arresa dell'inutilità di provare a convincerla del contrario: la vita non era poi così brutta come la vedeva la ragazza, malgrado andasse con questa convinzione.
Martina, rimasta sola, aveva perso l'appetito e se ne andò in camera sua; sul letto Matías stava beatamente dormendo.
Prese un elastico e si legò i capelli in una coda alta. Non mi piace Julio, proprio per niente. E' escluso!; Ripeté per venti volte come un mantra.. però non riusciva ad evitare di pensare ai suoi occhi così lucenti, a vederli non appena chiudeva le palpebre, e alle sue labbra. Quelle stesse labbra che non aveva potuto baciare per colpa del suo dannato orgoglio.
Non vuole più baciarmi? E che problema c'è. Ma se lo baciassi io?; Scosse la testa ripetutamente e si morse il labbro. Non avrebbe permesso a se stessa di compiere quell'assurdità.
Scacciò quei pensieri del tutto inutili e si concentrò sullo studio. Non osò alzarsi dalla sedia prima di aver terminato le innumerevoli cose che aveva, anche arretrate, il che fu tre ore dopo. Aveva la testa che le doleva ed il totale caos. Si stiracchiò la schiena indolenzita e solo in quel momento notò il tempo trascorso dal buio fuori la finestra; più strano le sembrò vedere Matías non svegliarsi da quel riposino. Gli si avvicinò e lo agitò per la spalla per svegliarlo.
«Mati, amore, hai dormito tanto. Vuoi fare merenda?» gli sussurrò all'orecchio.
Il bambino tuttavia non diede alcun segno di risveglio, e Martina riprovò altre varie volte a chiamarlo ottenendo solo mormorii come risposta. Alla fine si arrese, gli accarezzò i capelli e lo baciò sulla fronte. Sentì quest'ultima molto calda e si spaventò; provò quindi a poggiare la mano e appurò che scottava davvero tanto. Dunque uscì di corsa e tornò con un termometro, l'esito constatò i suoi sospetti: aveva la febbre alta.
Chiamò subito la madre, più agitata del dovuto, per chiederle aiuto e la donna somministrò al piccolo del medicinale per far abbassare la febbre, con non poche lamentele da parte del bambino. Dopo di che Martina lo cullò in braccio per fare calmare i suoi singhiozzi.
«Certo che potevi essere più delicata» ammonì la madre.
«Martina è solo una medicina, nulla di più.»
Lei però detestava vedere Matías così abbattuto e privo di forze, abituata com'era a vederlo scorrazzare per casa e fare capricci di ogni tipo. Lo baciava, lo cullava e gli diceva parole dolci. Quando le vibrò il cellulare in tasca immaginò che fossero messaggi di Julio, ma nella posizione in cui era non riusciva e prenderlo e non le interessò neppure, in quel momento la sua priorità era il figlio. Alla fine si convinse che Julio le avesse scritto della cazzate per discolparsi da quanto successo il pomeriggio, e non voleva neanche leggerli in quel caso.
Riuscì alla fine a far addormentare Matías, quando lo adagiò piano sotto le coperte vide il suo piccolo viso bagnato di lacrime e le pianse il cuore, gli asciugò gli occhi bagnati e lo baciò prima di uscire silenziosamente dalla stanza.
«Ho bisogno di un caffè.» biascicò sbadigliando.
«Ne ho appena preparato un po', è lì.»
Se ne versò abbondante e bevuto un sorso rilassò i nervi tesi.
«Martina domani lavorerò la mattina, non potrò...»
«Ci starò io con Matías, ci avevo già pensato. Devo anche finire la relazione di biologia, tra qualche giorno c'é la consegna.» sospirò.
«Potrai farla anche di pomeriggio, mentre io controllerò di tanto in tanto che non si alza la febbre.»
«No, non ce n'è bisogno. Riesco a fare entrambe le cose.»
Isabel annuì, ma poco convinta. Sapeva quanto Martina fosse forte e capace di impegnarsi in più cose contemporaneamente, però neanche lei era imbattibile. E la donna aveva paura di vederla crollare dalle troppe responsabilità com'era già successo. Ma se non era riuscita a farglielo capire da bambina, era impossibile riuscirci ora che ne aveva diciannove.
Dopo averle augurato una buona notte, Martina si ritirò in camera esausta più che mai. Si sdraiò accanto al figlio e gli toccò la fronte ancora una volta. Il bambino aveva ancora una temperatura alta e nonostante tutto batteva i denti dal freddo e si lamentava nel sonno. Quella notte Martina si svegliò più volte per verificare che Matías stesse bene e per controllargli la febbre che quando sembrava che si stava abbassando ritornava di nuovo alta.
Il risveglio, se così si può definire, fu molto presto e, dopo aver controllato la febbre al bambino in media ogni cinque minuti, Martina decise che fosse arrivata ora di alzarsi dal letto.
Entrata in cucina trovò sua madre sveglia che si versava del caffè.
«Ce n'è anche per me?» mormorò la ragazza stropicciandosi la faccia.
Isabel si girò a guardarla, «Tesoro, non ti ho sentita arrivare..»
Martina mormorò e sorseggiò il caffè nella tazza della madre. Quest'ultima la osservò notando un accenno di occhiaie sotto i suoi grandi occhi nocciola, «Non hai dormito bene?»
«Non tanto a dire il vero. Mati non è stato bene ed avevo paura che si alzasse la febbre.»
«A quanto ce l'ha?»
«Ora a trentotto e mezzo ma subito dopo che passa l'effetto del medicinale risale. Poi scende e continua a fare così.» borbottò. Prese una cialda di caffè dalla dispensa, le serviva tanta energia e senza non sarebbe riuscita neanche a tenere gli occhi aperti.
«Non credo sia la giusta soluzione bere tanto caffè.»
Ma lei ignorò le parole di Isabel, e con un gesto della mano la liquidò. Dopo il secondo caffè riuscì ad attribuire le energie minime. Sua madre era scomparsa e il fruscio dell'acqua che scorreva le suggerì che era sotto la doccia.
Mezz'ora dopo Isabel apparve sulla soglia della porta con una coda alla bell'e meglio che poteva andare per la sua chioma riccia e scura, un trucco abbastanza leggero e la divisa che quelli al servizio della pulizia ospedaliera erano obbligati ad usare. Martina fece qualche passo verso di lei e le aggiustò il collo della camicia.
«Ah, Martina, ma l'auto è andata?»
«Oh, vero.» si batté una mano sulla fronte. «Più tardi chiamerò il meccanico così le da un'occhiata. Non ho idea del perché non parte più.»
«Non che io la uso molto, comunque. Però e meglio che tu lo faccia, se sarà possibile l'aggiusteremo.»
«Chiederò prima di tutto il prezzo per aggiustare quel rottame.»
Isabel si allontanò ma quando fu a metà del corridoio si girò, «Ricorda di misurare la febbre a Mati e se si alza chiamami o dagli qualcosa per farla abbassare. Puoi anche chiamare il pediatra per qualche suggerimento.»
«Okay, sì, ho capito mamma. Puoi andare.» sospirò.
«Mi stai cacciando?»
«In pratica.» rispose ma si tradì con un sorriso.
Quando la madre uscì di casa Martina tornò in cucina a ripulire e lavare le tazze nel lavandino. Dopo di che tornò in camera e poggiò il palmo della mano sulla fronte di Matías, non sembrava tanto calda. Gli misurò la temperatura ed in effetti era diminuita, forse grazie al medicina che gli aveva dato da poco. Guardò il cellulare che segnava quasi le sette e vide altri tre nuovi messaggi di Julio, che si rifiutò persino di aprire.
Data la lunga mattina che prosperava solo in 'misurare la febbre a Matías' e 'dare medicine a Matías' e quindi l'ampio tempo libero che si ritrovava, continuò a scrivere sul foglio protocollo la relazione di biologia. Che tutto sommato era a buon punto nonostante i tempi ristretti. Passò a scrivere e riflettere ai termini giusti per più di un'ora. Quando sentì il figlio svegliarsi e lamentarsi per i dolori influenzali scivolò subito sul letto.
«Ma...ma... mamma...» parlottò il bimbo a voce bassa.
«Buongiorno amore, vuoi fare colazione?» disse toccandogli ancora la fronte.
«Mi fa tatto male la gola.» piagnucolò.
«Lo so amore, devi mangiare qualcosa per farlo passare.»
«No.. no voglio.» disse con voce incrinata e le lacrime agli occhi.
«Se vuoi stare meglio sì, che ne dici se io ti preparo la cioccolata calda che ti piace tanto?»
«Cioccolata?»
«Proprio così, la berrai tutta se la faccio?»
«Sì, cioccolata sì.» Matías sorrise, e quel sorriso fu così in contrasto con il suo stato malaticcio.
Martina lo portò con sé in braccio coprendolo con una coperta e in cucina lo fece sedere. Il bambino si lamentò, volendo stare ancora tra le braccia della madre, ma lei prese a canticchiare una canzoncina che piaceva tanto al figlio e riuscì a preparare la cioccolata, anche se alla fin fine Matías ne bevve molto poca. E le sue insistenze non servirono a nulla.
Mentre Martina rimetteva di nuovo in ordine Matías passava il tempo a fare domande.
«Mamma ma non vado più a cuola?» chiese ripetutamente.
E la risposta di Martina fu sempre la stessa: «Solo fin quando non starai meglio.»
«Mamma ma a cosa sevve quello?»
«E' una presina, viene usata per non bruciarsi.»
«Mamma, ma pecché i mie amici hanno il papà e io no?» quella era una domanda che Matías faceva spesso, troppo spesso. E talvolta la risposta della madre cambiava rimanendo sempre vaga.
«Hai me, la tua mamma. E la nonna. Non sei contento?»
«Io volio tare con te pe sempe mamma.» allargò le braccia per quanto poté per descriverle quanto le voleva bene. «C'è anche Jo Jo.»
Jo jo? Poi capì. Voleva dire Julio.
Martina lasciò andare il canovaccio e si girò a guardarlo, «Come?»
«Jo Jo è motto buono. Gli volio tatto bene. Mamma, quando tonna?»
La ragazza fissò un punto indefinito dietro il bimbo, rimase in silenzio incantata a guardare il nulla.
«Mamma?»
«Eh?»
«Dov'è Jo Jo?»
«Non lo so.» biascicò in un sussurro.
Senza aggiungere altro riportò il figlio in stanza e lo coprì per bene.
«Misuriamo la febbre.»
«No, batta!!» Matías si coprì con le coperte fino al viso.
«Per favore, Matías.» disse disperata.
«Volio guddare i cattoni.»
Sospirò, «Okay, e dopo misuriamo la febbre?» il bambino annuì. Per riuscire ad averla vinta Martina doveva sempre scendere a patti e neanche in quel caso era sicura di riuscirci.

***

«E quindi alla fine sono tornato asciutto, neanche una toccatina o un pompino. Uno schifo. Non sceglierò più vergini. Tu che dici, Julio? Julio!» era come minimo da una mezz'ora che Adam stava parlando liberamente lamentandosi delle mancate conquiste sessuali nell'ultimo periodo, senza contare la poca considerazione da parte dell'amico.
«Eh?» rialzò il viso dal cellulare, disorientato.
«Smettila di fissare quella merda di cellulare o te lo calpesto sotto i piedi.»
«Provaci e vedrai che farai la stessa fine.»
«Porca troia, smettila di fare lo sfigato. Se non ti ha risposto ieri per tutto il pomeriggio non lo farà neanche oggi.»
«Oh be' sei confortante, è bello avete un amico su cui contare.» fece un sorriso di scherno e un dito medio.
Adam era il suo migliore amico praticamente da... sempre. La loro era un'amicizia lunga a morire. Adam era uno stronzo patentato, ma anche l'amico migliore che si potesse desiderare. Era il tipo di amico che quando hai una giornata di merda e vuoi solo bere e fumare lui non te lo lasciava fare... da solo. Si unisce volentieri senza esitazione. Però quando attaccava a parlare non la finiva più.
«E poi non ci stavo neanche pensando a lei, ho solo le palle piene dei tuoi discorsi. Non sai rimorchiare e su questo lo sappiamo.»
Non ci penso, non così tanto. Ma merda Martina perché non mi rispondi? Vuole sentirsi dieci gradini superiore e non lo sopporto.
«Non è vero. Sono il donnaiolo più desiderato.»
Julio scoppiò in una fragorosa risata, «Donnaiolo tu? E quando mai? No, adesso sentiamo le tue 'grandi conquiste'.» fece appositamente le virgolette con le mani per enfatizzare meglio.
«C'è stata una volta che... no, quella non è andata a finire bene. E poi quella... no, poi ho scoperto che fosse un trans. Ah la volta in cui... be' ma alla fine non ci sono neanche arrivato all'orgasmo.» si grattò il mento in difficoltà. Mentre l'amico non faceva che prenderlo in giro.
«Dai, fai schifo con le donne. Siamo sinceri.» gli lanciò un cuscino, Adam stava cercando in qualche modo di ribattere e non aveva visto l'oggetto finché non gli arrivò in faccia. «E non sai neanche parare un cuscino.»
«Mi hai preso alla sprovvista.» ma vedendo Julio ancora ridere l'irritazione spinse Adam a lanciare a sua volta che fu schivata dall'altro. «Stronzo.»
«Di cosa parlate?» Marisol prese posto sul bordo del letto e distribuì le birre.
«Niente.» rispose prontamente Adam prima che avesse potuto farlo Julio e gli scoccò uno sguardo. Quest'ultimo rise sotto i baffi.
Fecero il brindisi battendo le bottiglie e bevvero. Julio si scolò in un sorso metà bottiglia, poi aggiustò il cuscino dietro e si ripoggiò alla tastiera del letto più comodo.
Marisol si posizionò al centro del letto con le gambe incrociate e guardò i due di fronte a sé.
«Adam tanto non ti vuole nessuno, è evidente che sei poco dotato mettiti il cuore in pace.» la ragazza sbatté le folte ciglia e si alzò gli occhiali da vista.
«Su Mari ammettilo che se fosse possibile sarei il tuo ragazzo ideale.» la guardò alzando le spalle.
Ma lei rise di gusto, «Se fossi etero magari... no, temo che neanche in quel caso.» e insieme a Julio risero di lui.
Adam aprì la bocca e la richiuse, alzò le braccia e le riabbassò. «E' uno schifo avervi come amici.»
«Dai bro, non fare la femminuccia offesa.» lo spinse dalla spalle. Ma prima che se ne potesse rendere conto, Julio fu preso dal collo con un braccio, intanto con l'altra mano chiusa in un pungo Adam gli scompigliava i capelli. Ma si riuscì a liberare e rispose spingendolo e lanciandogli cuscini.
«La smettete di fare gli infantili?» la voce stridula ma pacata di Marisol servì a far fermare i due. Che in contemporanea le lanciarono un cuscino, entrambi presi al volo dalla suddetta.
Ripresero a parlare del più e del meno, più a prendersi in giro in realtà. Julio ascoltava le conversazione degli amici senza partecipare. C'era ma era assente. Era lì fisicamente, ma la sua testa non voleva saperne di smettere di pensare a quella testarda. Ingerire alcol gli faceva alleggerire un po' il peso... ma per dissolversi del tutto gliene sarebbe servito molto di più.
Martina... Martina perché fai così? Cosa ti ha spinta a essere così? Cosa...?
Ricordava la frase che gli aveva detto Isabel nella sua cucina: 'Non è una brutta persona, le sono successe cose brutte che l'hanno spinta a diventare così.' Cosa significa?

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Holaaaa! Come potete appurare non sono morta. Sono solo in un ritardo megagalattico, e chiedo venia per questo!
Mentre pensavo a cosa scrivere e come continuare la storia mi è venuta l'idea di inserire già da ora due nuovi personaggi (avevo previsto la loro entrata più in là ma come sempre cambio tutto sul momento ahaha). Ovviamente scoprirete il carattere e tutto ciò che c'è da sapere su di loro nei capitoli successivi, questo è solo un qualche modo di inserirli. ;))
Beneee, termino qui la mia spiegazione perchè sono molto stanca e non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo. Finalmente ci sono riuscita!!
Byeee, <3

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