Capitolo 26

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Martina era lì immobile e impassibile. Martina aveva gli occhi puntati in direzione della finestra ma in realtà fissava il vuoto. Le sue iridi erano perse, vagavano nell'oblio.
«Martina, tesoro, fai colazione?»
La voce di Isabel comparve nella stanza d'improvviso, dal nulla nella penombra che riempiva la stanza. Martina sbatté le palpebre e nel farlo le bruciarono gli occhi. Poi ammiccò, a modo suo, un no.
«Che ne dici di uscire? Andiamo ad ordinare la torta, al cioccolato come piace a te.» provò ad essere convincente. «E dopo andiamo a prendere Mati all'asilo. Dai, vai a farti una doccia.» il velo d'insicurezza ricopriva la voce della donna, camuffata da un sorriso.
«Mamma?»
«Sì, tesoro?»
«Non essere così apprensiva come se cioè voglio dire alla fine io» Sto bene mamma. Certo, sì, benissimo. «E' uscito di prigione. Lo sai?» schiuse le labbra. Quasi a voler fare uscire l'anima al posto del fiato.
Isabel annuì impercettibilmente «Lo so.» e trattenne il respiro per una manciata di secondi.
Martina sorrise con fare arrogante. Già, per forza doveva saperlo. «Sta' tranquilla, è distante chilometri da questa città.» Così tanti chilometri
«E l'hai incontrato?» sussurrò.
Alzò il mento spostando lo sguardo verso il soffitto. Lì verso il centro vi era una crepa che molti anni prima era un puntino appena visibile, negli anni si era fatto sempre più visibile e che da un momento all'altro avrebbe ceduto, oppure sarebbe stato in quel punto ancora per anni. Martina la paragonò alle persone: le debolezze danno forza, ma delle volte cadi e basta.
«Cè chi si rialza e chi no.»
«Martina rispondi, per piacere, santo cielo!»
«Sono qui. Non è una risposta? Va proprio come vuoi tu mamma.»
«L'ho fatto per te. Io faccio tutto per il tuo...»
«Per il mio bene, mamma, dovresti lasciarmi libera, dovresti smetterla di controllare ogni singolo movimento che faccia. Per il mio bene devi smetterla.»
Incrociò le braccia, piuttosto severa «Guardati! Guardarti Martina, se veramente non ti sei vista con lui come dici basta molto meno per farti stare così. Dovrei forse stare a guardare mentre ti distruggi?» camminò fino all'altra parte della stanza ricoperta dal buio «Martina tu vuoi che ti lasci perdere mentre ti logori, mentre consumi ogni energia senza riflettere alle conseguenze. Ma io non ne ho intenzione. Ahimè, la stessa testardaggine che c'hai sin da piccola l'hai ereditata dalla sottoscritta» spalancò la finestra affinché entrassero i raggi del sole che quella mattina era un po' spento, il cielo parzialmente grigio minacciava di piovere.
Martina strizzò gli occhi e gettò il viso nel cuscino. Le lenzuola non emanavano l'odore buono del detersivo da giorni e lei necessitava di una doccia «Puoi andartene?» il lamento che seguì la frase fu attutito dal cuscino.
«Fatti una doccia.»
Non l'ascoltò. Non la ascoltava da giorni. Non ascoltava più neppure la sua stessa coscienza.

Tuttavia uscì con la madre, senza impegnarsi tanto: lavò velocemente il viso, indossò una tuta e alzò i capelli in una coda sfatta. Disse più volte alla madre che non ci fosse bisogno di comprare la torta «Non è un evento, mamma. Sono solo diciannove anni.» ma fu vano.
Riconosceva di non meritarsela, tanto più non meritava le attenzione che la donna le dedicasse. Non era una figlia all'altezza e da tale non era entusiasta per l'arrivo del proprio compleanno.
«Hai speso soldi inutili.» sbuffò in macchina.
«Ancora Martina! E una torta, per la miseria, e voglio che festeggiamo tutti insieme domani. Magari potresti invitare Julio a cena»
Balzò dal sedile, ma si trattenne «Non dirò nulla a lui.»
Isabel sospirò, «Vi siete sentiti? Si sarà preoccupato che non sei andata a scuola negli ultimi tre giorni.»
Alzò le spalle noncurante, «Sopravvivrà.» dopo che ho ignorato le sue chiamate e non ho risposto a nessuno dei trenta messaggi si sarà stancato, infondo è da ieri che non ho sue notizie.
«Sarebbe giusto che gli chiamassi, per gli appunti magari.» svoltando verso destra cambiò marcia, dopo un paio di tentativi.
Julio.
Julio è decisamente una persona buona. Non potrei mai dire il contrario.
Imbecille, troglodita, ottuso, sì, ma è senz'altro buono. Con quell'allegria riprodotta sullo stupido viso che ha.
Il suo sorriso, be Invidio ed odio quel sorriso, e vorrei continuare a vederlo sulle sue labbra per il resto dei miei giorni. Saprei, così, che almeno uno di noi è sereno.

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